Cass. civ., sez. III, sentenza 07/07/2005, n. 14314
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La chiamata in causa del terzo, nel giudizio davanti al giudice di pace, non è disciplinata dalle norme dettate dagli artt. 167, terzo comma, e 269, secondo comma, cod. proc. civ., per cui il convenuto che intende chiamare un terzo in causa non è tenuto a farne dichiarazione a pena di decadenza nella comparsa di risposta, ma può richiederla nella prima udienza di comparizione, ed anche in una udienza successiva, qualora in prima udienza il convenuto sia comparso di persona, e il giudice, senza opposizione dell'altra parte e senza svolgere alcuna attività, abbia spostato l'udienza per consentire in quella sede al convenuto di costituirsi, formulando in quella udienza domande ed eccezioni, ivi compresa l'istanza di chiamata in causa del terzo. Pertanto, deve ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione avverso una sentenza di giudice di pace, con il quale si lamenti l'omesso esame di una riconvenzionale, indicandosi che essa era stata proposta nella comparsa di risposta (atto meramente facoltativo), senza specificare se in concreto si era formulata al giudice la richiesta di dar corso al suo esame (almeno riportandosi alla comparsa), atteso che ciò sarebbe dovuto avvenire in ossequio al principio della oralità.
In tema di giudizio secondo equità del giudice di pace, a far data dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza "additiva" della Corte costituzionale del 6 luglio 2004 n. 206, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 113, secondo comma, del codice di procedura civile, "nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia", il testo vigente della medesima disposizione, come testualmente (ri)formulato, deve essere applicato d'ufficio in sede di giudizio di legittimità alla duplice condizione che l'applicazione della nuova disposizione alla fattispecie non richieda nuovi accertamenti di fatto (nel qual caso essa viene rimessa al giudice di rinvio) e non risulti preclusa dalla circostanza che i motivi del ricorso per cassazione, come concretamente formulati ed apprezzabili dalla S.C. nei limiti del potere di qualificazione che le compete (nei limiti in cui esso è esercitabile in relazione alla tecnica di introduzione del giudizio di cassazione), la rendano irrilevante, senza che il ricorrente possa dolersi di non aver potuto impostare il ricorso attraverso la denuncia di violazione di eventuali principi informatori, in quanto, in presenza di una situazione normativa che al momento della presentazione del ricorso non consentiva quella denuncia, egli bene avrebbe potuto sollevare la relativa questione di costituzionalità.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. N G - Presidente -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. L P M - Consigliere -
Dott. F R - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C M, elettivamente domiciliato in ROMA VIA VITTORIO VENETO 7, presso lo studio Serges, rappresentato e difeso dall'avvocato P F, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
CO.DA.CONS (coordinamento delle associazioni per la tutela dell'ambiente e per i diritti degli utenti e dei consumatori), in persona del presidente Dr. A O, elettivamente domiciliato in Roma presso la Cancelleria Corte di cassazione, difeso dall'avvocato V L, con studio in C. Mare di Stabia (NA), Viale Europa 165 - 80053 - giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
ARIPS AZD RISORSE IDRICHE PENISOLA SORR;C F;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2279/03 del Giudice di pace di SORRENTO, emessa il 27/11/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3/03/05 dal Consigliere Dott. R F;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C R che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO D P
p. 1. Fortunata Coppola conveniva in giudizio avanti al Giudice di Pace di Sorrento il Comune di Meta e l'A.R.I.P.S. (Azienda Risorse Idriche Penisola Sorrentina) per sentirli condannare solidalmente o alternativamente alla restituzione dei canoni o diritti versati per il servizio di depurazione nel periodo 1999-2000.
A sostegno della domanda l'attrice deduceva che le relative somme si dovevano ritenere pagate illegittimamente ed indebitamente, in quanto il Comune di Meta era sprovvisto di impianto di depurazione, non aveva in fase di realizzazione un depuratore ed immetteva i liquami nel collettore fognario comprensoriale che scaricava in mare con una condotta sottomarina in località Punta Gradelle, senza che sussistesse alcun impianto a terra.
I convenuti si costituivano e contestavano l'avversa domanda. Nell'udienza di comparizione interveniva nel giudizio il CO.DA.CONS. aderendo alla domanda dell'attore.
L'adito Giudice di Pace pronunciava sentenza in data 6 dicembre 2002, con la quale dichiarava il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. e la giurisdizione della Commissione Tributaria di Napoli riguardo alla pretesa concernente il periodo dal 1 gennaio al 3 ottobre 2000, mentre accoglieva "la domanda proposta così come ridotta" e condannava i convenuti in solido alla restituzione all'attore del 25% del canone versato nell'anno 2000, oltre interessi legali dalla data dei pagamenti al saldo effettivo, con l'aggravio delle spese di un terzo delle spese di lite.
p. 2. Per quello che in questa sede interessa la sentenza, riguardo al parziale accoglimento della domanda, è fondata sulle seguenti ragioni: era stato ammessa dai convenuti l'inesistenza di un impianto di depurazione a terra delle acque reflue e, conseguentemente, non sussisteva prestazione di servizio ai sensi dell'art. 1559 cod. civ. e, quindi, non poteva essere richiesto "alcun corrispettivo di prezzo (canone-quota di tariffa)";non poteva altresì argomentarsi che, ex art. 14 della l. n. 36 del 1994, la quota di tariffa, riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione fosse dovuta dagli utenti anche nel caso di fognatura sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o di temporanea inattività degli stessi, in quanto il Comune convenuto non aveva fornito alcuna prova che i proventi riscossi affluissero in un fondo vincolato e fossero destinati "esclusivamente" alla realizzazione ed alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione;"in ogni caso" essendo la causa di valore non superiore a due milioni era da decidere secondo equità e, quindi, competeva al giudice "il potere di dettare od integrare la regola particolare per il caso singolo secondo un criterio di opportunità", essendo, pertanto, ammesso che la regola legislativa potesse essere sostituita o modificata in considerazione della modestia economica della causa;ne conseguiva che, quand'anche la norma avesse imposto che la quota di tariffa era dovuta dall'utente anche nel caso di fognatura sprovvista di impianto di depurazione, doveva ritenersi che il legislatore aveva detto meno di quanto aveva effettivamente voluto, in quanto non poteva ritenersi, "risalendo al principio che ne (aveva) suggerito la statuizione, che il legislatore medesimo (avesse) avallato l'assurdo che il cittadino debba sostenere per un periodo indeterminato oneri economici per un depuratore inesistente, che non entra in funzione, senza che la P.A. fornisca doverosa e puntuale motivazione";sulla base di tali rilievi doveva ritenersi l'iniquità ed illegittimità della riscossione del canone e pertanto doveva ritenersi non dovuto il canone, il cui pagamento era privo di giustificazione causale ed aveva dato luogo ad un indebito oggettivo;la somma oggetto di restituzione era equitativamente quantificabile nei termini suindicati.
p. 3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi il Comune di Meta.
Ha resistito con controricorso il CO.DA.CONS..
Sia il ricorrente che il controricorrente hanno depositato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE
p. 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta testualmente:
"Errores in Indicando: omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia: omesso esame di documenti decisivi. Mancata valutazione di ammissibilità e rilevanza di mezzi di prova (art. 360 c.p.c.)". Dopo un esordio con cui si sostiene che la sentenza sarebbe viziata "per carenza assoluta di motivazione", si prospettano i seguenti argomenti, che costituiscono distinti profili del motivo:
a) il Giudice di Pace non avrebbe valutato alcuni documenti esibiti e depositati, aventi carattere decisivo per la controversia: in primo luogo l'impugnata sentenza non avrebbe in alcun modo argomentato "in merito a quanto riferito dall'Amministrazione comunale relativamente all'orientamento e alla direttiva espressa, su tale specifico argomento" da una prodotta (e non meglio precisata) circolare n. 177 del 5 ottobre 2000, nella quale veniva affermato che il pagamento del canone doveva essere effettuato anche in mancanza dell'erogazione del servizio sulla base dell'art. 14 della l. n. 36 del 1994, che secondo la circolare stessa non sarebbe stata abrogata e sarebbe in vigore e richiederebbe come unico presupposto per l'obbligo di pagamento del canone l'allacciamento alla pubblica fognatura;in base a quanto sostenuto nella circolare, dunque, l'amministrazione comunale non avrebbe potuto "senza incorrere in eventuali responsabilità contabili" non riscuotere il canone di depurazione per il fatto della mancanza o inattività dell'impianto di depurazione;d'altro canto, quand'anche il contenuto della circolare avesse esaurito la sua efficacia nell'ambito dei rapporti interni alle pubbliche amministrazioni e non avesse posto alcun obbligo al giudice, si sarebbe trattato di una circostanza che rappresentava "un elemento inserito all'interno del processo sul quale il Giudice si sarebbe dovuto pronunciare anche se solo per dichiarare la sua irrilevanza al fine della risoluzione della controversia";altro documento non esaminato sarebbe una risoluzione del 9.7.02 n. 222, prodotta dal ricorrente "a sostegno delle doverosità del canone di depurazione";
b) sotto un secondo profilo sarebbe stato "completamente assente sotto il profilo motivazione" l'esame da parte del Giudice di Pace "della documentazione esibita dal Comune, attestante il deposito presso un fondo vincolato delle somme riscosse a titolo di canone di depurazione vincolate nella uscita al rispetto delle finalità previste dalla legge regolamentante la materia";inoltre non sarebbero state ammesse le prove testimoniali articolate proprio sul punto ed anzi il Giudice di Pace avrebbe erroneamente affermato che il Comune non aveva provveduto a vincolare in apposito fondo le somme;in tale modo sarebbero state poste a fondamento del proprio argomentare "circostanze fattuali palesemente opposte a quanto attestato e certificato dall'Amministrazione comunale ricorrente e a quanto in seguito a regolare attività istruttoria il Comune avrebbe potuto provare".
c) in terzo luogo l'assoluta carenza di motivazione viene sostenuta - con sostanziale specificazione di quanto dedotto sub b);- assumendosi che non sarebbero stati ammessi, senza alcuna motivazione sulla loro eventuale inammissibilità o irrilevanza, i due capitoli di prova per testi dedotti in comparsa di risposta (che vengono trascritti), tendenti a dimostrare rispettivamente l'affluenza dei proventi del canone di depurazione ad un fondo vincolato, destinato esclusivamente alla realizzazione dell'impianto centralizzato di depurazione, e l'inizio della progettazione dell'impianto stesso. La suddetta mancanza di motivazione avrebbe determinato un vizio della sentenza che sarebbe rilevabile in sede di legittimità, in quanto avrebbe comportato una omessa od insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia viene citata la massima di Cass. n. 5269 del 2000. Nella specie la decisività sarebbe dimostrata dal fatto che il Giudice di Pace ha posto a fondamento della sua decisione proprio l'inesistenza delle circostanze che i detti capitoli avrebbero voluto dimostrare, asserendo che il Comune non aveva fornito la prova del vincolo dei proventi e della loro destinazione alla realizzazione e gestione dell'impianto centralizzato di depurazione.
d) in quarto luogo il Giudice di pace avrebbe omesso del tutto la motivazione sulla richiesta del Comune di autorizzazione alla chiamata in causa - al fine di escludere la propria responsabilità per la mancata realizzazione dell'impianto - del Presidente della Regione Campania, quale commissario ad acta nominato per la progettazione e realizzazione dell'impianto di depurazione da un'ordinanza del Ministro degli Interni n. 3011 del 21 novembre 1999, ed anzi avrebbe posto a fondamento della sua decisione circostanze opposte a quanto sostenuto dal Comune, là dove ha ritento l'indebito, assumendo che non poteva ritenersi "che il legislatore medesimo avesse avallato l'assurdo che il cittadino debba sostenere per un periodo indeterminato oneri economici per un depuratore inesistente, che non entra in funzione, senza che la P.A. fornisca doverosa e puntuale motivazione".
e) sotto un quinto profilo, del tutto contraddittorio apparirebbe l'argomentare del Giudice di Pace, là dove avrebbe ritenuto la causa matura per la decisione sulla base dell'esistenza di una questione di diritto, per tale motivo non dando corso all'attività istruttoria, e poi avrebbe affermato espressamente di decidere applicando una regola equitativa.
p.