Cass. civ., SS.UU., sentenza 16/04/2009, n. 8992
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In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, la decadenza del Ministro della giustizia dall'azione disciplinare non può essere prospettata per la prima volta in sede di legittimità. (Nella specie, il ricorrente aveva prodotto solo in sede di legittimità il documento che avrebbe dovuto comprovare il decorso del relativo termine e non aveva indicato in ricorso di aver eccepito la decadenza "de qua" nel giudizio disciplinare, nè precisato in quale atto di tale giudizio l'eccezione era stata sollevata).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Primo Presidente f.f. -
Dott. ELEFANTE Antonino - Presidente di Sezione -
Dott. PREDEN Roberto - Presidente di Sezione -
Dott. PICONE Pasquale - rel. Consigliere -
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - Consigliere -
Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DR. C.G. , magistrato in servizio quale presidente di sezione presso il Tribunale di Frosinone, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli n. 180, presso l'avv. Mario Sanino che lo rappresenta e difende, per procura a margine dei ricorsi.
- ricorrente -
contro
1) PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE. 2) MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, ex lege domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato.
- intimati -
avverso la sentenza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 50/08 del 16 maggio - 9 luglio 2008. Udita, alla pubblica udienza del 10 marzo 2008, la relazione del Cons. Dr. Fabrizio Porte.
Uditi l'avv. Celani, per delega dell'avv. Sanino, per il ricorrente, e il P.M. Dr. Pivetti Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 9 luglio 2008, la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha dichiarato il dr. C.G. , presidente di sezione del Tribunale di Frosinone, responsabile della violazione del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18, tipizzata con il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. d) e sanzionata dall'art. 12, comma 1, lett. e, di tale decreto, perché, nel compimento dell'attività giurisdizionale, ha tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti del Dr. U.A. , presidente del medesimo tribunale e lo ha assolto da altri addebiti relativi a condotte con le quali egli aveva mostrato il suo contrasto con il capo dell'ufficio in forma meno grave e privata. Dalla sentenza emerge che, con una relazione del 18 maggio 2006, l'Ispettorato aveva riferito del grave contrasto tra il dr. C. e il presidente del Tribunale di Frosinone al Ministro della giustizia, che in data 27 marzo 2007 aveva sollecitato il Procuratore generale presso questa Corte ad iniziare l'azione disciplinare contro il ricorrente, presidente della sezione penale del Tribunale di Frosinone. Lo stesso, nell'esercizio delle funzioni e alla pubblica udienza del 14 giugno 2005, ha censurato l'ordine di servizio n. 63/2005 del 13 giugno 2005 del Presidente del Tribunale, relativo alla partecipazione ai collegi penali dei magistrati onorari e al successivo calendario delle udienze, dando lettura della sua richiesta di astenersi nei processi fissati per quel giorno. In particolare, nella richiesta di astensione, era scritto che "il provvedimento amministrativo de quo ...annulla il potere-dovere, strettamente processuale e funzionale del presidente del collegio penale di articolare autonomamente la calendarizzazione e trattazione partitica dei processi..." e tale condotta costituiva un abuso dell'istituto dell'astensione, decisa in reazione a un provvedimento amministrativo e resa pubblica con immediata divulgazione dell'episodio, dalla stampa locale, che aveva così dato l'immagine di una "giurisdizione subalterna e condizionata da inottemperanze, opposizioni e impropri personalismi", come scritto dal presidente del tribunale nel rigetto dell'istanza del C. .
La sezione disciplinare ha ritenuto applicabile alla fattispecie il R.D. n. 511 del 1946, per il quale la lesione del prestigio dell'ordine giudiziario o la perdita di credibilità del magistrato sono elementi costitutivi dell'infrazione, ritenendo sussistere una palese contrapposizione dell'incolpato con il presidente del Tribunale di Frosinone, per la pretesa del primo di astenersi nei processi in cui era imputato un imprenditore che aveva eseguito lavori per conto di lui. Il capo dell'ufficio aveva respinto le richieste di astensione del C. , che risiedeva in XXXXXX e cercava di evitare, per ragioni d'opportunità, processi incidenti nel suo piccolo ambiente di vita, per la modesta rilevanza dei lavori eseguiti, che escludeva la esigenza di astensione.
I pregressi comportamenti alterati dell'incolpato per tale vicenda nei confronti del presidente del Tribunale e in specie un alterco verbale con questo, potevano giustificarsi sul piano disciplinare e di essi non era emerso con certezza il carattere pubblico, come tale lesivo del prestigio dell'ordine giudiziario, pur se in un episodio il C. aveva strappato dalle mani del dr. U. il
provvedimento che respingeva la sua istanza di astensione in presenza di due colleghi.
Costituiva invece illecito disciplinare e abuso della funzione la dettatura a verbale, nella udienza del 15 giugno 2005, delle censure del C. all'ordine di servizio del Presidente del Tribunale, che aveva disposto il rinvio dell'udienza del martedì 15 giugno al giovedì successivo, vietando le successive udienze collegiali penali con giudici onorari, per effetto della mancata approvazione delle tabelle proposte dal C.S.M., di cui aveva avuto conoscenza in via ufficiosa.
La divulgazione della richiesta di astensione fondata sul richiamo alla lesione dei poteri giurisdizionali di presidente di sezione dell'incolpato, in ordine alla "calendarizzazione e trattazione partitica dei processi", non rilevanti per la richiesta di astensione, ha leso il prestigio dell'ordine giudiziario. Nella sentenza impugnata si afferma che "il dott. C. ha provato, formalizzando l'astensione, di privilegiare personali puntigli e scontri interni (se non il desiderio tout court di sottrarsi ai suoi obblighi di ufficio), rispetto ai doveri elementari di chi esercita la giurisdizione e alle aspettative delle diverse persone coinvolte, che attendevano, per quel giorno, la celebrazione di tutti e tre i procedimenti fissati al ruolo" (pag. 7), così manifestando il suo dissenso dai provvedimenti del capo ufficio e censurandoli al di fuori delle sedi istituzionali.
La sezione disciplinare ha ritenuto di limitare la sanzione all'ammonimento in ragione della mancanza di precedenti a carico dell'incolpato e della complessiva storia professionale di lui. Per la cassazione di tale sentenza, depositata il 9 luglio 2008 e notificata all'incolpato presso il difensore domiciliatario il 23 luglio successivo, ha proposto due distinti ed identici ricorsi, di cinque motivi illustrati da memoria, il dr. C. .
Il primo ricorso è stato presentato, ai sensi dell'art. 582 c.p.p., presso la segreteria del C.S.M. in data 3 ottobre 2008, nel termine di cui all'art. 585 c.p.p., e iscritto a ruolo nel registro degli affari civili, dopo la trasmissione a questa Corte, il 23 - 29 ottobre 2009 con il n. 23968/2008, mentre il secondo risulta notificato a mezzo posta agli intimati in data 7-9 ottobre 2008, con allegato un documento, ed è stato iscritto a ruolo con il n, 24710/2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I due procedimenti sorti dai distinti e identici ricorsi della stessa parte e iscritti a ruolo con numero diverso, devono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., perché impugnano il medesimo provvedimento.
Il documento allegato al secondo ricorso è la relazione del 25 luglio 2005, a firma dell'ispettore generale, che aveva in corso l'ispezione ordinaria al Tribunale di Frosinone allorché il dr. C. ha tenuto il comportamento contestato, trasmessa al capo dello Ispettorato presso il Ministero della giustizia;
in essa sono riportati i fatti avvenuti all'udienza del 15 giugno 2005 e addebitati poi al ricorrente.
Il documento deve ritenersi ritualmente prodotto, dopo la proposizione della prima impugnazione "nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale", ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 24, comma 1;
il secondo ricorso,
tempestivo e proposto nelle forme del c.p.c., vale come atto di deposito della relazione, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., in riferimento all'ammissibilità del ricorso, per il principio conservativo degli atti processuali di cui all'art. 156 c.p.c. (sui rapporti tra fase introduttiva del ricorso secondo le norme di rito penali e successivo giudizio a sezioni unite civili, cfr. S.U. 18 giugno 2008 n. 16541, 28 novembre 2007 n. 20603 e le ordinanze 1 ottobre 2007 n.ri 20601 e 20603).
2.1. Nelle due impugnazioni in premessa sono esposti i fatti culminati nell'episodio per il quale il dr. C. è stato incolpato e sanzionato, deducendosi, in aggiunta a quanto sopra riportato, che il C.S.M. aveva