Cass. pen., sez. II, sentenza 19/01/2023, n. 02118

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 19/01/2023, n. 02118
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 02118
Data del deposito : 19 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da C C, nato a P V il 04/02/1966 rappresentato ed assistito dall'avv. L M, di fiducia avverso la sentenza n. 1983/16 in data 15/02/2021 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il ricorrente è stato ammesso alla richiesta trattazione orale in presenza;
udita la relazione svolta dal consigliere A P;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, L G, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udita la discussione della difesa del ricorrente, avv. L M, che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 15/02/2021, la Corte di appello di Lecce, in riforma della pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Brindisi in data 11/03/2013, appellata da C C, lo assolveva dal reato di cui al capo B (artt. 75, comma 2, d.lgs. 159/2011, 7, primo comma, prima ipotesi e comma 3, I. n. 575/1965) per insussistenza del fatto e rideterminava nei confronti dello stesso la pena per il capo A (artt. 81, comma 2, 629, comma 1, cod. pen.) nella misura di anni cinque di reclusione ed euro 1.500 di multa, con conferma nel resto.

2. Avverso la predetta sentenza, nell'interesse di C C, è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. -Primo motivo: violazione di legge ed in particolare degli artt. 191, 500, comma 4, 526, comma 1, cod. proc. pen. nonché carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. La Corte territoriale sembra essersi limitata ad un'analisi superficiale della vicenda, soffermandosi su aspetti che alla difesa appaiono privi di obiettività e significatività, come l'atteggiamento che la teste Pati avrebbe assunto nel corso della deposizione dibattimentale e che ai giudici di appello, come a quelli di prime cure, sarebbe apparso emblematico della subìta intimidazione. La difesa, sin dall'impugnazione d'appello, ha inteso sostenere che la scelta operata dal legislatore del giusto processo con la riformulazione dell'art. 500, comma 2, cod. proc. pen., consiste nella non valutabilità, come prova, delle precedenti dichiarazioni rese dal testimone, contenute nel fascicolo del pubblico ministero, anche se utilizzate per le contestazioni, sicchè non può esserci dubbio alcuno che la regola di esclusione probatoria possa essere superata solo nei casi tassativamente indicati dall'art. 500, comma 4, cod. proc. pen.: ne discende che il recupero delle dichiarazioni ante-dibattimentali non opera in ogni situazione di probabile inquinamento della fonte, ma solo in quelle riconducibili a minaccia, violenza, corruzione in danno del testimone. Secondo il prevalente insegnamento giurisprudenziale, nel procedimento incidentale diretto ad accertare gli elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità al fine di non deporre o di deporre il falso, il grado della prova richiesta va individuato dal giudice in concreto, secondo uno standard probatorio capace di raggiungere un quantum di natura indiziaria tale da far presumere l'esistenza di un'intimidazione che abbia compresso la genuinità della deposizione dibattimentale, con la precisazione che è necessaria una certa cautela nel dedurre l'esistenza di un fatto inquinante attraverso l'uso di criteri logici. -Secondo motivo: violazione di legge ed in particolare degli artt. 62 bis, 69 e 99 cod. pen. nonchè manifesta carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della recidiva e dell'operato giudizio di bilanciamento tra attenuanti generiche e contestata aggravante. La Corte, per riconoscere la recidiva, si è limitata ad affermare che si è in presenza di un soggetto dedito al crimine dal 1993, il tutto in evidente contrasto logico con le riconosciute circostanze attenuanti generiche, pur nel senso del bilanciamento per equivalenza.
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