Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 25/11/2011, n. 24890
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In tema di spese giudiziali, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari in relazione a ciascun grado del giudizio, poiché solo tale specificazione consente alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e, di conseguenza, le ragioni per le quali sono state eventualmente ridotte le richieste presentate nelle note spese.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R F - Presidente -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. C P - rel. Consigliere -
Dott. B U - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI ROCCABIANCA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell'avvocato B B, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato L A, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI T, M P;
- intimati -
Nonché da:
M P, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato M A, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato P M, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
COMUNE DI ROCCABIANCA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell'avvocato B B, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato L A, giusta delega in atti;
- controricorrente al ricorso incidentale -
e contro
COMUNE T;
- intimato -
Nonché da:
COMUNE T, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AQUILEIA 12, presso lo studio dell'avvocato MORSILLO ANDREA, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato LASCIOLI MAURIZIO, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
COMUNE DI ROCCABIANCA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell'avvocato B B, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato L A, giusta delega in atti;
- controricorrente al ricorso incidentale -
e contro
M P;
- intimata -
avverso la sentenza n. 844/2008 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/06/2008 R.G.N. 1876/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;
Udito l'Avvocato BRUNO BELLI;
udito l'Avvocato P M;
udito l'Avvocato MORSILLO ANDREA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
FATTO E DIRITTO
Paola M fu assunta il 3 novembre 1997 dal Comune di Trenzano (BS) con la qualifica di istruttore direttivo contabile- economico;passata, a seguito di mobilità volontaria, al Comune di Roccabianca (PR), vi prese servizio il 29 giugno 1998;si assentò per malattia dal 20 luglio al 22 novembre 1998;l'il dicembre successivo l'amministrazione le sottopose per la firma il contratto di lavoro, con patto di prova;alla sua richiesta di un tempo per riflettere, in relazione all'inserzione del patto di prova, venne allontanata dal servizio.
Chiese al Tribunale di Parma, giudice del lavoro, di accertatore l'illegittimità del licenziamento, di ordinare la sua immediata reintegra con le mansioni di istruttore direttivo contabile economico;di condannare il comune di Roccabianca a pagare tutte le retribuzioni spettanti ed il risarcimento del danno, conseguente all'illegittimo demansionamento e all'illegittimo recesso, ivi compreso il danno alla professionalità, alla dignità della persona e biologico. In subordine chiese di essere riammessa in servizio alle dipendenze del Comune di Trenzano. Il Tribunale respinse la domanda, ritenendo che la delibera di assunzione avesse il valore di un atto di nomina;che il rapporto di lavoro dovesse essere costituito in forma scritta ad substantiam;che, non avendo la M sottoscritto il contratto di assunzione con l'amministrazione ad quem, il rapporto dovesse essere qualificato come rapporto di fatto, disciplinato dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 36, comma 8, e, per gli enti locali, dalla 1. n. 3 del 1979, art. 5;che dall'art.2126 cod. civ. non derivasse il diritto alla prosecuzione del
rapporto.
La decisione fu confermata dalla Corte d'Appello di Bologna con sentenza 23 ottobre/28 novembre 2003 n. 362. Il giudice d'appello qualificò la mobilità volontaria come passaggio diretto che consente la costituzione, senza soluzione di continuità, di un nuovo e diverso rapporto di lavoro con altra amministrazione pubblica, senza l'espletamento di una nuova procedura concorsuale, implicante la estinzione del rapporto originario con l'amministrazione cedente. Da tale ricostruzione fece derivare il rigetto dell'appello della M e la declaratoria del difetto di giurisdizione sulla domanda subordinata (in accoglimento dell'appello incidentale del Comune di Trenzano).
La M propose ricorso per Cassazione, con sei motivi, dei quali i primi cinque attinenti alla domanda principale, il sesto riguardante la declaratoria del difetto di giurisdizione sulla domanda subordinata di riammissione in servizio presso il Comune di Trenzano, questione per la quale la causa venne assegnata alle Sezioni Unite. La Corte osservò che la dottrina, già sotto la vigenza del D.Lgs. n. 29 del 1993, aveva qualificato in maniera pressoché unanime il fenomeno, denominato nel testo legislativo passaggio diretto, come modificazione meramente soggettiva del rapporto, con continuità del suo contenuto, e quindi come cessione di contratto e dichiarò di condividere e fare propria tale posizione: "Infatti la cessione del contratto, ammissibile anche per il contratto di lavoro (Cass. 6 novembre 1999 n. 12384), comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali (Cass. 5 novembre 2003 n. 16635, Cass. 6 dicembre 1995 n. 12576, Cass. 9 agosto 1990 n. 8098). Tale qualificazione, aggiunse, è confermata da una serie di altri elementi normativi, analiticamente esaminati nella motivazione, a cominciare dal fatto che la L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 16, nel modificare il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 30 pur mantenendo la rubrica di "passaggio diretto", nel testo della norma parla testualmente di "cessione del contratto", così offrendo un elemento per la interpretazione dell'espressione atecnica "passaggio diretto" anche per il passato. Da tale premessa, le Sezioni unite trassero una serie di conseguenze: 1) la illegittimità della pretesa della stipulazione di un nuovo contratto di assunzione e di un nuovo patto di prova, giudicato inammissibile. 2) La "illegittimità del licenziamento per mancata sottoscrizione di patto di prova (peraltro preteso con efficacia retroattiva), e quindi la fondatezza, per quanto di ragione, dei primi tre motivi di ricorso, con i quali la M, denunciando violazione e falsa applicazione delle norme sopra esaminate, aveva censurato la sentenza impugnata nella parte in cui negava la qualificazione della mobilità volontaria come cessione del contratto e nella parte in cui aveva ritenuto necessaria la stipulazione di un nuovo contratto di lavoro ed ammissibile un nuovo patto di prova, anche con effetto retroattivo. Sulla base di questa ricostruzione, la sentenza della Corte d'appello di Bologna venne cassata con rinvio alla Corte d'appello di Firenze.
Quest'ultima, a seguito della riassunzione della M, in riforma della sentenza del Tribunale di Parma, 1) dichiarò la illegittimità del licenziamento;2) ordinò la reintegrazione della lavoratrice;3) condannò il Comune al risarcimento del danno mediante la corresponsione delle retribuzioni maturate dal momento della estinzione del rapporto, compresa la retribuzione di posizione;
4) condannò inoltre il Comune al pagamento degli interessi sulle somme rivalutate dalla maturazione al saldo;5) nonché alla regolarizzazione previdenziale;6) condannò il Comune di Roccabianca al rimborso delle spese di tutti i gradi del giudizio, liquidate complessivamente in 14.000,00 Euro, di cui 8.000,00 per onorari e 6.000,00 per diritti. 7) compensò le spese relative al rapporto processuale con il Comune di Trenzano.
Contro tale decisione ricorre per cassazione il Comune di Roccabianca, articolando diciassette motivi.
La M ha notificato e depositato controricorso con ricorso incidentale condizionato ed il Comune di Trenzano ha notificato e depositato controricorso con ricorso incidentale. Il Comune di Roccabianca ha notificato e depositato controricorso nei confronti dei due ricorsi incidentali.
I motivi ricorso del Comune Roccabianca sono i seguenti:
Con il primo, denunziando Error in procedendo per difetto di motivazione 360 c.p.c., n. 5, si assume che la Corte di Firenze avrebbe emesso una sentenza che presenta un difetto di motivazione per erronea interpretazione della sentenza rescindente. Con il secondo si denunzia violazione di legge costituita dagli artt.384 e 394 c.p.c.. Nel quesito si specifica che, premesso che le
Sezioni unite avevano affermato un principio di diritto per quanto di ragione, avendo il Comune riproposto eccezioni e domande, anziché esaminarle la Corte di Firenze le aveva considerate in forza della decisione della Cassazione.
Con il terzo motivo si denunzia violazione di legge individuata negli art. 1418 e 1421 c.c. per omesso rilievo della nullità del contratto per violazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 33 e dell'art. 2096 c.c. La tesi è che la Corte avrebbe dovuto, anche d'ufficio,
verificare la regolarità del procedimento di mobilità. Con il quarto motivo si denunzia violazione di legge costituita dagli artt. 1418 e 1421 per omesso rilievo della nullità della cessione del contratto per violazione di norme imperative previste dalla L. n.142 del 1992, art. 51, comma 3 e D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 2
perché nella mobilità non sarebbero intervenuti i dirigenti, come dimostrano i documenti da cui si desume che gli atti furono compiuti da organi politici.
Con il quinto motivo si denunzia un ulteriore Error in procedendo per difetto di motivazione art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame delle questioni di nullità di un procedimento di mobilità fra enti pubblici per la non ricorrenza dei presupposti della mobilità stessa e per il mancato intervento dei dirigenti.
Questi primi cinque motivi devono essere esaminati congiuntamente, perché sono intrinsecamente correlati. A parte, infatti, difetti specifici (il n. 4 manca di autosufficienza, il n. 1 e il 4, confondono error in procedendo con vizio di motivazione, il che li rende di per sè inammissibili), ripropongono tutti questioni già affrontate nella analitica motivazione delle Sezioni unite, che ha deciso sulla questione della qualificazione giuridica del passaggio della M da un Comune all'altro, scandendone le conseguenze, non in astratto, ma con riferimento al caso specifico. Si tratta di questioni che non possono, quindi essere riaperte e rispetto alle quali la Corte di Firenze si è limitata ad una pronuncia assolutamente consequenziale. Con il sesto ed il settimo motivo si denunzia violazione di legge costituita dagli artt. 394, 414, 420, 434, 437 c.p.c. ed error in procedendo per difetto di motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n.