Cass. civ., sez. III, sentenza 21/10/2005, n. 20355

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Massime3

Il decreto di impromuovibilità dell'azione penale (adottato ai sensi dell'art. 408 e segg. cod. proc. pen.) non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile, stante il principio dell'indipendenza delle azioni penale e civile introdotto con la riforma del rito penale, poiché, a differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, né ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata. Ne consegue che, in tema di causa attinente all'accertamento della responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, spetta al giudice civile stabilire, con piena libertà di giudizio, se nei fatti emersi, e legittimamente ricostruiti in modo difforme dall'avviso del giudice penale, siano ravvisabili gli estremi di delitti colposi, anche ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale, tutelato dall'art. 2059 cod. civ., fermo restando in ogni caso che il danno non patrimoniale (riconducibile al danno morale soggettivo implicante il patema d'animo o la sofferenza contingente), che consegua all'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato.

L'I.N.A.I.L., quale titolare di un autonomo diritto di agire in surrogatoria (alternativamente ai sensi dell'art. 1916 cod. civ., dell'art. 28, secondo comma, della legge n. 990 del 1969 o degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965) nei confronti del responsabile civile dell'infortunio indennizzato e nei limiti del risarcimento da questi dovuto secondo le norme generali in materia di fatti illeciti, è legittimato, ai sensi dell'art. 344 cod. proc. civ., a spiegare intervento in appello, nel giudizio promosso dall'infortunato (o suoi aventi causa) contro lo stesso responsabile, per la liquidazione del danno ulteriore rispetto a quello coperto dalle prestazioni assicurative,stante l'incidenza della relativa quantificazione sulla determinazione dei limiti suddetti ed il possibile pregiudizio che essa può arrecare alla esaustiva soddisfazione delle ragioni surrogatorie dell'istituto.

Esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro e resta devoluta alla cognizione del giudice competente secondo il generale criterio del valore la domanda di risarcimento dei danni proposta dai congiunti del lavoratore deceduto non "jure hereditario", per far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro dei confronti del loro dante causa, bensì "jure proprio", quali soggetti che dalla morte del loro congiunto hanno subìto danno e, quindi, quali portatori di un autonomo diritto al risarcimento che ha la sua fonte nella responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 cod. civ.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 21/10/2005, n. 20355
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20355
Data del deposito : 21 ottobre 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Presidente -
Dott. P L R - rel. Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.M.T. AZIENDE MUNICIPALE TRASPORTI DI CATANIA, in persona del suo Direttore F.F. Dott. G T, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA LUIGI

41 presso Avvocato VITTORIO OLIVIERI, difesa dall'Avvocato G N, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE

CONTRO

INFORTUNI SUL LAVORO (INAIL) in persona del Dirigente Generale Dott. P A, Direttore della Direzione Centrale Prestazioni, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA IV NOVEMBRE

144, presso l'Avvocato T C che lo rappresenta e difende con procura speciale del Dott. Notaio C F in Roma 26/04/2002, rep. n. 60063;



- controricorrente -


e contro
PUGLISI CARMELA, VECCHIO DAVIDE, VECCHIO ALESSANDRO, VECCHIO AGATINO, VECCHIO GIUSEPPE, ASSITALIA ASSIC SPA, ABATE CARMELO;



- intimati -


e sul 2^ ricorso n. 15543/02 proposto da:
PUGLISI CARMELA, VECCHIO DAVIDE, VECCHIO ALESSANDRO, VECCHIO AGATINO, VECCHIO GIUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA presso CANCELLERIA CORTE CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO RUSSO, ANTONINO CORSARO, con studio in 95129 CATANIA VIA Q.

SELLA

10, giusta delega in atti;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
e contro
ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE

CONTRO

GLI INFORTUNI SUL LAVORO (INAIL), in persona del Dirigente Generale Dott. P A, Direttore della Direzione Centrale Prestazioni, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA IV NOVEMBRE

144, presso l'Avvocato CRISTOFARO TARANTINO che lo rappresenta e difende, con procura speciale del Dott. Notaio C F Tuccari, in Roma 26/04/2002, RG. 60063;

- controricorrente al ricorso incidentale -
contro
AZIENDA MUNICIPALE DI CATANIA, in persona del suo direttore f.f. Dott. G T, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA L RIZZO

41, presso lo studio dell'avvocato VITTORIO OLIVIERI, NINO GIANNITTO, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -
e contro
ASSITALIA SPA, ABATE CARMELO;



- intimati -


avverso la sentenza n. 809/2001 della Corte d'Appello di CATANIA, Sezione Seconda Civile emessa il 24/10/2001, depositata il 17/11/2001;
RG. 370/1999;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 15/06/2005 dal Consigliere Dott. Renato PERCONTE LICATESE;

udito l'Avvocato TARANTINO CRISTOFORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAFIERO

Dario che ha concluso per rigetto ricorso principale inammissibilità o rigetto ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
P Carmela nonché V D, A, Agatino e Giuseppe convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Catania, Abate Carmelo, l'Azienda Municipale Trasporti di Catania e l'Assitalia s.p.a. e, premesso di essere vedova e figli di V Giovanni, chiedevano la condanna dei convenuti al risarcimento del danno loro derivato dal sinistro verificatosi in Catania il 17/11/1993, allorché l'Abate, nell'eseguire, alla guida di un automezzo dell'Azienda, assicurato con l'Assitalia, una retromarcia al fine di parcheggiarlo, aveva schiacciato il V, altro dipendente dell'Azienda, che si trovava davanti a un altro automezzo che aveva appena terminato la manovra di parcheggio con l'assistenza della vittima.
I convenuti, ad eccezione dell'Abate, si costituivano, contestando la competenza per materia del giudice adito e negando nel merito la responsabilità.
Con sentenza del 05/02/1999, il Tribunale, affermata la propria competenza e accertato il concorso di colpa della vittima nella misura del venti per cento, condannava i convenuti a rifondere agli attori il danno morale (liquidato, per la parte di competenza, in lire 80 milioni per la vedova e in lire 60 milioni per ciascuno dei figli) nonché il danno patrimoniale in favore della vedova e dei suoi due figli conviventi, D e A, nella misura di lire 92.600.000 ciascuno.
Interponevano appello l'Assitalia e l'Azienda Municipale Trasporti, chiedendone la riforma. Si costituivano i danneggiati, i quali chiedevano rigettarsi l'appello e, in via incidentale, accertarsi la responsabilità esclusiva dell'Abate.
Interveniva l'I.N.A.I.L., esercitando la rivalsa, per lire 354.478.683, nei confronti dell'Abate, dell'Assitalia e dell'Azienda Municipale Trasporti.
Con sentenza del 17 novembre 2001, la Corte catanese ha accertato la colpa esclusiva dell'Abate;
ha condannato l'Assitalia, l'Azienda Municipale Trasporti e l'Abate, in solido, a rifondere alla P e ai V i soli danni morali, nella misura di lire 100 milioni per la prima e di lire 75.000.000 per ciascuno dei V, oltre agli interessi come dalla sentenza di primo grado;
ha condannato i suddetti convenuti a rifondere all'I.N.A.I.L. lire 354.478.683, oltre agli interessi e alla rivalutazione.
Ricorre per la Cassazione di tale sentenza l'Azienda Municipale Trasporti, formulando cinque mezzi di annullamento. Resistono con controricorso l'I.N.A.I.L. nonché la P e V D e A.
Questi ultimi tre hanno proposto anche un ricorso incidentale, sostenuto da un solo motivo, cui resistono con controricorso l'Istituto e l'Azienda Municipale Trasporti.
Quest'ultima ha depositato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
È preliminare, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi.
Col primo motivo, denunciando la violazione dell'art. 442 c.p.c. (art. 360 n. 2, 3 e 5 c.p.c.), la ricorrente principale reitera l'eccezione di incompetenza del giudice ordinario, essendo invece competente il giudice del lavoro, giacché il sinistro mortale si verificò durante lo svolgimento del rapporto di lavoro della vittima e del responsabile e va quindi ad ogni effetto qualificato come infortunio sul lavoro;
senza che abbia alcun rilievo, contrariamente all'avviso del giudice di appello, l'evocazione del principio del "neminem laedere".
Col secondo e terzo motivo, denunciando la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1227 c.c. (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), lamenta che i giudici
di appello abbiano immotivatamente disatteso le prove raccolte nel processo penale, dalle quali risulta l'assoluta assenza di colpa dell'Abate o, nella peggiore delle ipotesi, la prevalente colpa della vittima.
Del resto, o si ritiene che l'evento ebbe tutte le caratteristiche dell'infortunio sul lavoro, e allora nessun ulteriore risarcimento spetta agli eredi, già interamente indennizzati dall'I.N.A.I.L.;

oppure l'evento è estraneo al rapporto di lavoro e in tal caso deve valorizzarsi la partecipazione colposa della vittima. Col quarto mezzo, denunciando la violazione dell'art. 2059 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), sostiene che, in presenza del decreto di
archiviazione emesso dal giudice penale, il giudice civile non poteva ravvisare nell'episodio gli estremi del delitto di omicidio colposo e liquidare il danno non patrimoniale.
Col quinto mezzo, infine, denunciando la violazione dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965 (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), l'Azienda nega
che l'istituto abbia diritto alla rivalsa, poiché il suo esborso, sotto forma di costituzione della rendita agli eredi, è stato determinato da un infortunio sul lavoro per il quale è stata esclusa dal giudice penale qualsiasi responsabilità del lavoratore e dello stesso datore di lavoro;
e comunque una tale azione doveva essere esperita dinanzi al magistrato del lavoro, la cui competenza è al riguardo esclusiva e inderogabile.
Le questioni di competenza sollevate col primo e il quinto motivo del ricorso principale sono infondate.
La soluzione adottata dalla Corte di merito è conforme all'insegnamento di questo Supremo Collegio, secondo cui esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro e resta devoluta alla cognizione del giudice competente secondo il generale criterio del valore la domanda di risarcimento dei danni proposta dai congiunti del lavoratore deceduto non "jure hereditario", per far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro nei confronti del loro dante causa, ma "jure proprio", quali soggetti che dalla morte del loro congiunto hanno subito danno e quindi quali portatori di un autonomo diritto al risarcimento che ha la sua fonte nella responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c. (Cass. 07/04/1992 n. 4248;
conf. Cass. 12/11/1996 n. 9874 e 16/04/1994 n.
3647
). Quanto poi alla rivalsa esercitata dall'I.N.A.I.L. (alternativamente ai sensi dell'art. 1916 c.c., dell'art. 28 2^ comma della legge n. 990 del 1969 o degli artt. 10 e 11 del T.U. n. 1124 del 1965), è
decisivo osservare che l'Istituto è intervenuto in appello, esercitando una sua legittima facoltà (Cass. 09/03/1992 n. 2819 e 12/04/1980 n. 2382), comunque oggi non più contestata;
e quindi, per necessità, davanti al giudice in sede ordinaria investito del gravame, anche in deroga a ogni eventuale diversa competenza, non trovando applicazione in appello l'art. 38 c.p.c.. Non possono trovare accoglimento nemmeno le censure con le quali l'Azienda sostiene l'esclusiva o per lo meno prevalente colpa della vittima.
La sentenza impugnata, non senza premettere che il decreto di archiviazione non comporta effetto di giudicato e che comunque nemmeno sono stati prodotti i verbali delle deposizioni rese dinanzi al giudice penale dalle quali si dovrebbe desumere l'insussistenza della colpa dell'Abate;
rileva come rottamente il giudice di primo grado abbia individuato la colpa nel fatto che l'Abate, il quale agiva senza la collaborazione di colleghi a terra, abbia intrapreso la retromarcia senza usare l'accortezza e la prudenza dovuta in considerazione dell'oggettiva pericolosità della manovra e della presenza di persone a terra nella zona interessata. Colpa che la Corte, in accoglimento del gravame degli eredi, attribuisce in via esclusiva al conducente, attraverso un'approfondita disamina critica delle deposizioni testimoniali.
Ciò premesso, vale rammentare che, in tema di incidenti stradali, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno (cioè del sinistro), la valutazione, in termini di colpa, della condotta dei soggetti che vi sono coinvolti, l'accertamento o l'esclusione del rapporto di causalità tra i singoli comportamenti e l'evento dannoso e la determinazione infine della misura dei rispettivi contributi causali integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità, qualora il procedimento posto a base delle conclusioni sia completo, corretto e coerente dal punto di vista logico giuridico.
La surriferita motivazione, esauriente e congrua, esente da vizi logici e giuridici, e dunque incensurabile, viene pertanto vanamente oppugnata dalla ricorrente la quale, appellandosi ad una fonte probatoria priva di efficacia vincolante per il giudice civile, quale il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale, mira in realtà ad una rivalutazione, nel senso da essa auspicato, del materiale probatorio, così introducendo, nella sede di legittimità, un'inammissibile istanza di riesame del merito della causa. È infondata anche la censura mossa col quarto motivo. Il decreto di impromovibilità dell'azione penale (art. 4 c.p.p. abr.;
artt. 408 e segg. c.p.p. vigente) non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile, stante il principio dell'indipendenza delle azioni penale e civile introdotto con la riforma del rito penale, poiché, a differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non da luogo a preclusioni di alcun genere ne' ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata. Era perciò di competenza del giudice civile stabilire, con piena libertà di giudizio, se nei fatti emersi, e legittimamente ricostruiti in modo difforme rispetto all'avviso del giudice penale, fossero ravvisabili gli estremi del delitto di omicidio colposo, anche ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale, ai sensi dell'art. 2059 c.c. (comunque, secondo la più recente giurisprudenza di
legittimità, tutte le volte che si verifichi la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, il pregiudizio consequenziale integrante il danno morale soggettivo, come il patema d'animo o la sofferenza contingente, è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato: Cass. 31/05/2003 n. 8827). Del pari destituita di fondamento è la residua parte del quinto mezzo.
Nel giudizio instaurato dall'I.N.A.I.L. contro il datore di lavoro (nella specie, il regresso contro l'Azienda) per ottenere il rimborso di quanto corrisposto agli eredi di un lavoratore deceduto per effetto di un infortunio sul lavoro, non assumono rilievo gli accertamenti compiuti in sede penale nel corso del procedimento conclusosi con l'archiviazione, posto che la sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 1981 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del 5^ comma dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non consentiva che, ai fini dell'esercizio dell'azione di regresso dell'I.N.A.I.L., l'accertamento del fatto reato potesse essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si fosse concluso col proscioglimento in sede istruttoria o vi fosse un provvedimento di archiviazione (Cass. 07/10/2002 n. 14323 e 14/07/2001 n. 9601).
In conformità di questa giurisprudenza dunque la Corte d'appello, in seguito all'intervento in regresso dell'istituto ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. cit., ha accertato, anche nei suoi confronti, gli estremi del delitto di omicidio colposo nella condotta del dipendente dell'Azienda e per conseguenza la responsabilità di quest'ultima ai sensi dell'art. 2049 c.c., malgrado fosse intervenuto, sulla posizione dell'Abate, un decreto di archiviazione. Col ricorso incidentale V D e A, denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), lamentano che ad essi, figli del defunto all'epoca con lui
conviventi, la Corte abbia negato il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, riconosciuto in loro favore dal Tribunale. Anche queste censure sono infondate.
La Corte d'appello ha negato ai V il risarcimento del danno patrimoniale col rilievo che l'I.N.A.I.L. ha "già attribuito ai superstiti le dovute prestazioni per lire 354,478.683 (...) nel rispetto delle specifiche norme di settore (...), che appaiono, in mancanza tra l'altro di espresse allegazioni e dimostrazioni dell'esistenza di ulteriore danno patrimoniale, idonee a pervenire alla corretta determinazione totale del danno stesso (...)";

cosicché "l'appellata sentenza va riformata nella parte in cui ha condannato l'Assitalia ed i responsabili al risarcimento del danno patrimoniale in favore (...) di V D e di V A, posto che esso è stato integralmente e congruamente indennizzato dall'assicuratore sociale".
E, poco prima, la sentenza precisa che tutti i danneggiati, nella comparsa di risposta, "hanno confermato che sono state loro corrisposte dall' I.N.A.I.L. le prestazioni del caso". Trattasi di un accertamento di fatto, che vuole liquidata la rendita (rispetto alla quale non è stato provato il danno differenziale) anche ai due figli, basato su un'espressa ammissione degli interessati e perciò adeguatamente motivato e dunque inoppugnabile in questa sede.
È bene sottolineare, per rispondere alla seconda parte del terzo motivo del ricorso principale, che il danno morale, non coperto dall'assicurazione obbligatoria, spetta in ogni caso ai congiunti in aggiunta alla rendita.
Qualora poi i ricorrenti intendessero denunciare che la ritenuta liquidazione della rendita anche in loro favore sia frutto non di un errore di giudizio ma di una semplice svista materiale nella lettura dei documenti della causa ("la Corte di merito non si è resa conto (...) che la somma, per cui vi è richiesta di rivalsa, è costituita da quanto corrisposto al coniuge superstite"), si cadrebbe in un'ipotesi di errore di fatto, da far valere col rimedio della revocazione (art. 395 n. 4 c.p.c.). Nei rapporti tra la ricorrente principale e l'I.N.A.I.L. le spese, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza;
nei rapporti tra le altre parti stimasi equa la compensazione.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi