Cass. civ., sez. III, sentenza 23/05/2019, n. 13967

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 23/05/2019, n. 13967
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13967
Data del deposito : 23 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

nunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 1657/2018 R.G. proposto da G G, rappresentato e difeso dall'Avv. L Z, con domicilio eletto in Roma, Via Morgnagni, n. 2/A, presso lo studio dell'Avv. U S;

- ricorrente -

contro ,2015 6-00 Finterni Due S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dall'Avv. E C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. Ferrari, n. 2;
- controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza della Corte d'appello di Perugia, n. 876/2017, pubblicata il 27 novembre 2017;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 febbraio 2019 dal Consigliere E I;
udito l'Avvocato L Z;
udito l'Avvocato G A, per delega orale;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale I P, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità o il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale.

FATTI DI CAUSA

1. La Finterni Due S.r.l. in liquidazione conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Terni Giovanni Gionrimi chiedendone la condanna alla restituzione della somma di C 835.859,55 che deduceva di aver indebitamente pagato, dal 1996 al 2003, allorquando era amministrata dal convenuto, a fronte di fatture emesse dallo stesso, quale titolare dell'impresa individuale «Finterni di G G», a titolo di provvigioni in realtà prive di alcun titolo giustificativo. Costituendosi in giudizio il G contestava la fondatezza della domanda, assumendo che: — le somme riscosse costituivano in realtà il corrispettivo di un «pacchetto di servizi» quali: la fruizione dei due appartamenti di sua proprietà, completamente arredati e attrezzati, con le relative utenze;
la possibilità di avvalersi delle prestazioni di due dipendenti;
la sua stessa attività di amministratore;
— per finalità di carattere fiscale tra lui e l'altro socio (l'attuale liquidatore della società) si era convenuto che il compenso loro spettante come amministratori fosse fittiziamente imputato ad attività di procacciamento d'affari, in realtà mai svolta;— solo dal gennaio 2003 la fruizione di quei servizi fu formalizzata attraverso: la stipula di un contratto di locazione, verso il pagamento di un canone mensile di C 3.600, oltre Iva;
la previsione di un compenso agli amministratori di C 8.000 al mese. In subordine, in via di eccezione riconvenzionale, il convenuto opponeva in compensazione il proprio controcredito indennitario per l'ingiustificato arricchimento della società. Con sentenza del 22/12/2014 il tribunale accoglieva la domanda.

2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Perugia, in parziale accoglimento dell'appello interposto dal soccombente, ha riconosciuto allo stesso un controcredito indennitario, per ingiustificato arricchimento, solo in relazione alla incontestata messa a disposizione della società, nel periodo in questione, dei due appartamenti di sua proprietà, liquidandolo equitativamente in C 234.000 sulla base dell'importo di C 3.600 convenuto dalle parti, al netto dell'Iva, quale canone mensile per la locazione successivamente stipulata.

3. Avverso tale sentenza G G propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste la società intimata, depositando controricorso e proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi. A quest'ultimo replica del ricorrente principale, depositando controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del proprio ricorso G G deduce, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2389, 1414, 1315, 1655, 2555, 2562 cod. civ. per avere la Corte d'appello escluso l'esistenza di una giustificazione contrattuale a base dei pagamenti eseguiti in suo favore dalla società. Lamenta che al riguardo la sentenza muove erroneamente «dalla atomizzazione del credito complessivo» cui erano riferiti i pagamenti, violando «i canoni ermeneutici codificati» che — in relazione alle circostanze di fatto date per non contestate nell'ordinanza con la quale, per tale motivo, in data 30/5/2016, la Corte d'appello aveva rigettato le iterate richieste di prova per testi dirette a dimostrarle — avrebbero dovuto condurre a riconoscerne il collegamento sinallagmatico con un accordo che prevedeva (alla stregua di un contratto atipico) la messa a disposizione della società di un «"pacchetto" di servizi, costituenti un tutto unitario». In tale prospettiva deduce l'irrilevanza del richiamo in sentenza alla giurisprudenza che esclude che la sola approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori sia idonea a determinare l'insorgenza del relativo diritto in mancanza di una espressa delibera.

2. Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2389, 2041 e 2042 cod. civ., in relazione al rigetto della reiterata eccezione riconvenzionale di compensazione nella parte in cui è riferita a preteso credito indennitario per ingiustificato arricchimento derivato dall'attività di amministratore: rigetto giustificato in sentenza sul rilievo che «per l'insorgenza di un diritto a tale titolo (si richiede sempre, n.d.r.) la presenza di una formale delibera assembleare ... non potendosi aggirare il divieto attraverso il ricorso all'arricchimento». Rileva che detta motivazione mostra di confondere la pretesa creditoria di natura negoziale con quella di natura extracontrattuale ed indennitaria, legata ai diversi presupposti dell'arricchimento da un lato e del corrispondente impoverimento dall'altro.

3. Con il terzo motivo il G infine denuncia, ancora ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1414, 1615, 1655, 2555, 2562, 2041 e 2042 cod. civ., nonché dell'art. 1 legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e dei principi in materia di negozi misti, per avere la Corte d'appello parimenti negato il diritto all'indennizzo per ingiustificato arricchimento con riferimento alla prestazione lavorativa resa in favore della società da personale da lui dipendente, ritenendovi ostare «la valenza in ogni caso illecita di un accordo diretto all'utilizzo di personale, formalmente alle dipendenze di un terzo», integrante un'ipotesi, vietata, di intermediazione di manodopera. Sostiene di contro il ricorrente che il divieto posto dalla citata normativa impedisce che l'intermediario della prestazione possa esigere contrattualmente il corrispettivo, ma non viene in rilievo nell'ipotesi in cui, come nella specie, il credito venga dedotto sulla base dei diversi presupposti dell'ingiustificato arricchimento. Rileva inoltre, iterando argomentazioni esposte nel giudizio di appello ma non prese in esame dalla Corte di merito, che non può nella specie considerarsi realizzata un'ipotesi di intermediazione di manodopera dal momento che l'utilizzo da parte della Finterni Due S.r.l. dei dipendenti della ditta individuale di esso ricorrente era avvenuto nell'ambito dell'organizzazione e del coordinamento del lavoro propri di quest'ultimo, non disponendo invece la società di una propria autonoma organizzazione di cose e mezzi all'interno della quale si fosse inserita la prestazione lavorativa.
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