Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 18/10/2013, n. 23704

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In tema di immigrazione, il provvedimento di espulsione dello straniero adottato, quale misura di sicurezza, dal giudice penale non è - salvo che non ne sia stata disposta l'applicazione provvisoria - immediatamente operativo, presupponendo il successivo intervento del magistrato di sorveglianza e, in caso di impugnazione delle determinazioni di quest'ultimo, del tribunale di sorveglianza. Ne consegue che l'ordine di espulsione disposto con sentenza non produce, di per sé, la condizione soggettiva di straniero espulso, né comporta il rifiuto del rinnovo o la revoca del permesso di soggiorno. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C., con riguardo a vicenda soggetta alla previsione di cui all'art. 22 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 268, nel testo antecedente al d.lgs. 30 luglio 2002, n. 189, ha corretto la motivazione della decisione di merito che, senza considerare che era già intervenuto un autonomo diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, aveva ritenuto l'ordine di espulsione contenuto nella sentenza penale la ragione dell'insorgere del divieto di occupazione del lavoratore e, dunque, di cessazione del rapporto per impossibilità sopravvenuta della prestazione).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 18/10/2013, n. 23704
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23704
Data del deposito : 18 ottobre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V G - Presidente -
Dott. DE R A - Consigliere -
Dott. B G - rel. Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. M R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso 25200/2008 proposto da:
L'TAIEF AMOR, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TACITO

50, presso lo studio dell'avvocato C B, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato P A, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
DUCATI ENERGIA S.P.A.;

- intimata -
Nonché da:
DUCATI ENERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

RIPETTA

22, presso lo studio dell'avvocato V G, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato D G, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
L'TAIEF AMOR;



- intimato -


avverso la sentenza n. 408/2006 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/10/2007 r.g.n. 434/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/2013 dal Consigliere Dott. G B;

udito l'Avvocato G S per delega C B;

udito l'Avvocato NICOLI ANNALISA per delega D G;

udito l'Avvocato DELLA VALLE GIROLAMO per delega V G;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE

Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e assorbito l'incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 23.5.2006 - 18.10.2007, la Corte d'Appello di Bologna rigettò i gravami principale e incidentale promossi rispettivamente da L'Taief Amor e dalla Ducati Energia spa (incorporante della Ducati Iskra spa) avverso la pronuncia di prime cure, che, accertata la violazione dell'obbligo di assunzione da parte della Società, l'aveva condannata al risarcimento del danno nei confronti del lavoratore limitandolo alla data (27.4.2000) in cui quest'ultimo, cittadino straniero, era stato condannato a pena detentiva con ordine di espulsione.
A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne in particolare quanto segue:
- con il suddetto provvedimento penale di espulsione si era concretizzata la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 266 del 1998, art.22, comma 10, con conseguente divieto di occupazione del lavoratore,
assimilabile all'impossibilità sopravvenuta della prestazione;

- il risarcimento del danno doveva essere determinato, sulla base dell'ammontare complessivo delle retribuzioni non percepite per l'indebito rifiuto di procedere all'assunzione, a decorrere dalla data dell'avviamento al lavoro e non, come sostenuto dalla Società, da una data successiva;

- il danno doveva essere liquidato in misura pari al livello più basso di inquadramento per la categoria operaia, corrispondente, secondo le previsioni del CCNL applicabile, al secondo;

in adesione alle conclusioni della CTU, rinnovata in grado d'appello, doveva essere ritenuta la sussistenza di mansioni lavorative compatibili con le condizioni di salute del lavoratore, ne' tali conclusioni risultavano scalfite dai rilievi del consulente tecnico della parte datoriale.
Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, L'Taief Amor ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria.
La Ducati Energia spa ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale fondato su cinque motivi;
ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. I ricorsi vanno riuniti, siccome proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 cpc).

2. Va preliminarmente osservato che l'art. 366 bis c.p.c., è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l'entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (cfr, D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della
L. n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 18.10.2007. In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l'illustrazione di ciascun motivo si
deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'illustrazione di ciascun motivo deve
contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Secondo l'orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall'art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta - negativa od affermativa - che ad esso si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). In particolare deve considerarsi che il quesito di diritto imposto dall'art. 366 bis c.p.c., rispondendo all'esigenza di soddisfare l'interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell'interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l'enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all'esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008;
19892/2007
). Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d'impugnazione;
ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice;
od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto;
od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, explurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.).

3. Con il primo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione di plurime violazioni di legge, deduce che l'espulsione ordinata con la sentenza penale di condanna, costituendo una misura di sicurezza, avrebbe potuto essere applicata soltanto all'esito della valutazione di pericolosità sociale da parte della magistratura di sorveglianza (che, nella specie, l'aveva revocata in data 21.2.2001) e non comportava la perdita automatica del permesso di soggiorno;
il diniego di tale permesso era stato sì disposto precedentemente dal Questore di Bologna (e allo stesso era seguito un provvedimento di espulsione amministrativo, poi annullato il 18.9.2000 dal Giudice Istruttore del Tribunale di Bologna), ma lo stesso era stato fondato sul presupposto della mancata prova della capacità patrimoniale di esso ricorrente, che avrebbe quindi ottenuto il rinnovo se la Società avesse proceduto immediatamente alla sua assunzione.
Con il secondo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione di plurime violazioni di legge, deduce che la Società non avrebbe potuto invocare l'impossibilità sopravvenuta della prestazione, posto che era prevedibile che, nel caso di specie, esso ricorrente avrebbe avuto problemi di collocazione lavorativa e quindi di legittima permanenza nel territorio dello Stato a seguito del rifiuto dell'assunzione.
Con il terzo motivo il ricorrente principale, denunciando vizio di motivazione, deduce che se, come ritenuto nella sentenza impugnata, la cessazione di validità del permesso di soggiorno determina non già la risoluzione del rapporto lavorativo, ma solo la sospensione totale dei suoi effetti economici, la Corte territoriale avrebbe dovuto affermare detta sospensione solo fino al settembre 2000 e condannare la parte datoriale al pagamento delle retribuzioni per il periodo successivo (salvo eventualmente il periodo corrispondente all'espiazione della pena detentiva inflitta), non potendo la Società ricavare un vantaggio dal fatto che, durante la potenziale sussistenza del rapporto lavorativo, si fosse determinato un evento che avrebbe eventualmente giustificato un licenziamento;
che peraltro, nel caso di specie, neppure sarebbe stato giustificato. Con il primo motivo la ricorrente incidentale, denunciando vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale non abbia replicato alle contestazioni mosse alla CTU, con particolare riferimento: 1) al fatto che l'ausiliario aveva espresso la compatibilità delle mansioni con le condizioni di salute del lavoratore in termini di mera probabilità e non di certezza;
2) al mancato rispetto dell'obbligo di tutela della salute del lavoratore, tanto più se invalido, derivante dall'esposizione dello stesso a sostanze broncoirritanti, seppure al disotto dei limiti valevoli per i lavoratori sani;
3) all'obiezione secondo cui non sarebbe stato possibile, data l'organizzazione del lavoro, adibire il lavoratore invalido a mansioni meno esposte al contatto con le sostanze broncoirritanti;
4) alla contraddittorietà della CTU in ordine alla negata rilevanza della tossicodipendenza del lavoratore al fine di valutare la compatibilita del suo stato fisico con le mansioni che si effettuavano in azienda.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione di plurime disposizioni di legge, si duole che la Corte territoriale, nella determinazione del risarcimento del danno, non abbia tenuto conto che essa ricorrente avrebbe potuto procedere all'assunzione solo dopo un congruo lasso di tempo successivo all'avviamento, necessario e sufficiente per il completamento delle verifiche sanitarie circa l'idoneità allo svolgimento delle mansioni presenti in azienda e alla compatibilità delle stesse con il suo stato di salute.
Con il terzo motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione dell'art. 112 c.p.c., si duole che la Corte territoriale non abbia esaminato e non si sia pronunciata sul motivo di appello secondo cui, nel caso di specie, avrebbe dovuto ritenersi estremamente improbabile il superamento del periodo di prova, onde il risarcimento avrebbe dovuto essere limitato alla durata (12 giorni) di tale periodo. Con il quarto motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione dell'art. 112 c.p.c., si duole che la Corte territoriale non abbia esaminato e non si sia pronunciata sul motivo di appello secondo cui, avendo il lavoratore dichiarato al CTU di essersi sottoposto dal 7.3.2000 ad un programma di riabilitazione con ricovero e cura presso una struttura sanitaria (ricovero cessato alla fine del 2001), tale programma avrebbe impedito l'effettuazione della prestazione lavorativa, onde la cessazione dell'obbligo retributivo non avrebbe dovuto essere fissata dopo la suddetta data del 7.3.2000. Con il quinto motivo la ricorrente incidentale, denunciando violazione di plurime disposizioni di legge e di CCNL, si duole che la Corte territoriale, nella determinazione del risarcimento del danno, non abbia riconosciuto che, in base alla previsioni pattizie collettive, il livello più basso di inquadramento per la qualifica operaia corrispondeva al primo e non al secondo.

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