Cass. pen., sez. I, sentenza 18/02/2022, n. 05810
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: G M nato a MILANO il 11/04/1968 avverso l'ordinanza del 12/07/2021 del TRIB. LIBERTAI di ROMAudita la relazione svolta dal Consigliere P T;
sentite le conclusioni del PG ANTONIETTA PICARDI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore: l'avvocato S A del foro di ROMA in difesa di G M, anche in sostituzione del codifensore avvocato S FERICO del foro di Roma, conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso..
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12 luglio 2021, il Tribunale di Roma, decidendo sulla richiesta di riesame proposta nell'interesse di G M, indagato del delitto di cui all'art. 278 cod. pen., confermava il decreto di sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica del Tribunale di Roma in data 5.5.2021. 2. Avverso detta ordinanza, l'indagato ha proposto ricorso per cassazione per il tramite dei suoi difensori di fiducia, avvocati A e F S, formulando i seguenti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione di legge (artt. 346 e 343 cod. proc. pen.)", articolando più censure. Ha, innanzitutto, osservato che la perquisizione e il sequestro sarebbero stati eseguiti prima della richiesta dell'autorizzazione a procedere per il delitto di cui all'art. 278 cod. pen. ai sensi dell'art. 313 cod. pen., con maturazione del termine perentorio di trenta giorni dall'iscrizione dell'indagato nell'apposito registro. Sulla possibilità di sottoporre a riesame il decreto di perquisizione, esclusa dal Tribunale di Roma, il ricorrente ha evidenziato che l'ordinanza impugnata non avrebbe tenuto conto delle più recenti evoluzioni della giurisprudenza sovranazionale, che ha condannato lo Stato Italiano per l'assenza di strumenti impugnatori a disposizione del destinatario di un provvedimento di perquisizione (C.E.D.U. 27 settembre 2018, Brazzi
contro
Italia) e che, in attesa di un opportuno intervento legislativo, il Tribunale avrebbe dovuto interpretare il quadro normativo in modo convenzionalmente orientato. Conseguentemente, ha sostenuto che l'illegittimità della perquisizioné avrebbe dovuto comportare la illegittimità derivata del sequestro, che sarebbe il frutto "dell'albero avvelenato".
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione di legge (art. 253 cod. proc. pen.)". Secondo la difesa, del tutto apodittica sarebbe l'individuazione delle finalità del sequestro operata dal Tribunale del riesame in supplenza del pubblico ministero;
il provvedimento impugnato avrebbe disposto il sequestro dell'intero patrimonio informatico e telematico dell'indagato senza espressamente indicare le finalità se non in termini assolutamente generici;
al contrario, nella prospettiva della tutela dei diritti del singolo, sarebbe stato necessario esporre le esigenze probatorie da soddisfare, le attività da compiere e la durata del sequestro, alla stregua della sentenza della Corte di cassazione n. 34265 del 20.9.2020, che ha delineato le condizioni di legittimità del c.d. sequestro digitale omnibus.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione del legge (art. 278 cod. pen.)" e ha osservato che la motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 278 cod. pen. sarebbe assolutamente apodittica;
che le espressioni dell'indagato non sarebbero, infatti, connotate da alcun intento o potenziale offensivo o ingiurioso, piuttosto sarebbero espressione di un atteggiamento critico rispetto alle politiche del Presidente della Repubblica e del Governo in relazione alle problematiche connesse alle misure di contrasto alla epidemia da Coronavirus.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito illustrate.
1. E' infondata la prima doglianza contenuta nel primo motivo di ricorso, con cui la difesa del G ha sostenuto che la perquisizione e il sequestro sarebbero nulli in quanto sarebbero stati eseguiti dopo la maturazione del termine perentorio di trenta giorni dall'iscrizione dell'indagato nell'apposito registro. E, infatti, detto termine non è perentorio, come sostenuto dal ricorrente, ma ordinatorio;
in tal senso la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio aderisce, secondo cui "per la proposizione da parte del pubblico ministero della richiesta di autorizzazione a procedere è previsto un duplice termine: uno, di carattere
sentite le conclusioni del PG ANTONIETTA PICARDI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore: l'avvocato S A del foro di ROMA in difesa di G M, anche in sostituzione del codifensore avvocato S FERICO del foro di Roma, conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso..
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12 luglio 2021, il Tribunale di Roma, decidendo sulla richiesta di riesame proposta nell'interesse di G M, indagato del delitto di cui all'art. 278 cod. pen., confermava il decreto di sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica del Tribunale di Roma in data 5.5.2021. 2. Avverso detta ordinanza, l'indagato ha proposto ricorso per cassazione per il tramite dei suoi difensori di fiducia, avvocati A e F S, formulando i seguenti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione di legge (artt. 346 e 343 cod. proc. pen.)", articolando più censure. Ha, innanzitutto, osservato che la perquisizione e il sequestro sarebbero stati eseguiti prima della richiesta dell'autorizzazione a procedere per il delitto di cui all'art. 278 cod. pen. ai sensi dell'art. 313 cod. pen., con maturazione del termine perentorio di trenta giorni dall'iscrizione dell'indagato nell'apposito registro. Sulla possibilità di sottoporre a riesame il decreto di perquisizione, esclusa dal Tribunale di Roma, il ricorrente ha evidenziato che l'ordinanza impugnata non avrebbe tenuto conto delle più recenti evoluzioni della giurisprudenza sovranazionale, che ha condannato lo Stato Italiano per l'assenza di strumenti impugnatori a disposizione del destinatario di un provvedimento di perquisizione (C.E.D.U. 27 settembre 2018, Brazzi
contro
Italia) e che, in attesa di un opportuno intervento legislativo, il Tribunale avrebbe dovuto interpretare il quadro normativo in modo convenzionalmente orientato. Conseguentemente, ha sostenuto che l'illegittimità della perquisizioné avrebbe dovuto comportare la illegittimità derivata del sequestro, che sarebbe il frutto "dell'albero avvelenato".
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione di legge (art. 253 cod. proc. pen.)". Secondo la difesa, del tutto apodittica sarebbe l'individuazione delle finalità del sequestro operata dal Tribunale del riesame in supplenza del pubblico ministero;
il provvedimento impugnato avrebbe disposto il sequestro dell'intero patrimonio informatico e telematico dell'indagato senza espressamente indicare le finalità se non in termini assolutamente generici;
al contrario, nella prospettiva della tutela dei diritti del singolo, sarebbe stato necessario esporre le esigenze probatorie da soddisfare, le attività da compiere e la durata del sequestro, alla stregua della sentenza della Corte di cassazione n. 34265 del 20.9.2020, che ha delineato le condizioni di legittimità del c.d. sequestro digitale omnibus.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione del legge (art. 278 cod. pen.)" e ha osservato che la motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 278 cod. pen. sarebbe assolutamente apodittica;
che le espressioni dell'indagato non sarebbero, infatti, connotate da alcun intento o potenziale offensivo o ingiurioso, piuttosto sarebbero espressione di un atteggiamento critico rispetto alle politiche del Presidente della Repubblica e del Governo in relazione alle problematiche connesse alle misure di contrasto alla epidemia da Coronavirus.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito illustrate.
1. E' infondata la prima doglianza contenuta nel primo motivo di ricorso, con cui la difesa del G ha sostenuto che la perquisizione e il sequestro sarebbero nulli in quanto sarebbero stati eseguiti dopo la maturazione del termine perentorio di trenta giorni dall'iscrizione dell'indagato nell'apposito registro. E, infatti, detto termine non è perentorio, come sostenuto dal ricorrente, ma ordinatorio;
in tal senso la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio aderisce, secondo cui "per la proposizione da parte del pubblico ministero della richiesta di autorizzazione a procedere è previsto un duplice termine: uno, di carattere
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