Cass. civ., SS.UU., sentenza 31/03/2015, n. 6495
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Il magistrato del P.M. che conferisce al consulente tecnico un incarico con quesito indeterminato volto alla qualificazione giuridica di fatti penalmente rilevanti commette l'illecito disciplinare previsto dall'art. 2, comma 1, lett. o, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, poiché affida ad altri funzioni giudiziarie indeclinabili, ancorché egli riservi a sé la valutazione finale degli esiti della consulenza.
Sul provvedimento
Testo completo
SENTENZA
sul ricorso 26357-2014 proposto da:
D.G.M.P.G. , elettivamente domiciliato in
ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'Avvocato CIMADOMO DONATELLO, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la sentenza n. 146/2014 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 23/09/2014;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/03/2015 dal Consigliere Dott. A G;
udito l'Avvocato GIUSEPPE CAMPANELLI per delega dell'Avvocato DONATELLO CIMADOMO;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. A U, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. - In data 7 novembre 2012, il Ministero della giustizia promuoveva l'azione disciplinare nei confronti del dott. D.G.M. .P.G. , sostituto procuratore in servizio presso
la Procura
della Repubblica del Tribunale di Taranto, per l'illecito di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1 e art. 2, comma 2, lett. o), (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma della L. 25 luglio 2005, n. 150, art. 1, comma 1, lett. f), in quanto, violando i doveri di diligenza, correttezza e laboriosità, indebitamente affidava a terzi attività rientranti nei propri compiti e, in particolare, in otto procedimenti penali, conferiva ai consulenti tecnici incarichi aventi ad oggetto accertamenti e valutazioni inerenti la qualificazione giuridica di fatti e la conformità a diritto di comportamenti.
2. - La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con sentenza depositata il 23 settembre 2014, ha dichiarato il dott. D.G. responsabile della incolpazione ascrittagli e gli ha inflitto la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di due mesi.
2.1. - La Sezione disciplinare ha respinto l'eccezione preliminare di decadenza dell'azione disciplinare, essendo la stessa stata esercitata dal Ministro della giustizia nel 2012, a fronte di una notizia pervenuta nello stesso anno.
Nel merito, la Sezione disciplinare - premesso che nella specie è sostanzialmente contestato l'illecito della violazione del divieto di delega di giurisdizione - ha osservato che l'art. 2, comma 1, lett. o), vieta, tra l'altro, al magistrato di affidare a un perito o a un consulente tecnico indagini di natura prettamente giuridica dirette ad accertare la liceità o la stessa rilevanza penale del fatto o della condotta o l'interpretazione della norma. All'ausiliario, perito o consulente tecnico, può essere affidato il compito di ricostruire entro limiti rigorosamente descrittivi un dato quadro di riferimento, ma non è consentito di essere investito di compiti strettamente connessi con l'esercizio della giurisdizione, pena la credibilità della stessa funzione giurisdizionale. Nella specie - ha proseguito il giudice disciplinare - il dott. D. .G. ha operato una indebita delega di attività giurisdizionale ai consulenti e ha sostanzialmente rinunziato al proprio ruolo, che, nel momento di conferimento dell'incarico di consulente, è quello di individuare le questioni tecniche, separarle da quelle di natura giuridica, dare una precisa traccia al proprio ausiliario, il quale deve, anche per questo, vedere sempre nel magistrato un punto di riferimento in cui trovare dialogo e suggerimento.
Ad avviso della Sezione disciplinare, l'inequivoco tenore letterale degli incarichi mostra che il dott. D.G. sembra non avere approfondito neanche le questioni di fatto e di diritto emergenti dai fascicoli processuali, essendosi approcciato ad esse soltanto investendo altri di un esame che a lui spettava. Il che - ha proseguito la Sezione - danneggia anche l'immagine del magistrato sotto il profilo della indipendenza, che non è solo capacità di non essere dolosamente influenzato, ma anche idoneità a non dipendere dalle altrui ricostruzioni senza un preventivo vaglio critico. Secondo la Sezione disciplinare del CSM, "dalla lettura delle consulenze tecniche in atti emerge evidente una sistematicità di comportamenti, nei conferimenti di incarico, finalizzati a delegare la propria attività ad altri". Difatti, "nei quesiti posti dal magistrato spesso non viene individuato il tema di fondo sul quale il consulente dovrebbe effettuare il proprio accertamento e soltanto attraverso l'esame dell'intero modulo di origine ministeriale, che impone l'indicazione del reato, è possibile comprendere quale sia la materia da trattarsi. Ma tale indicazione è superficiale. Si riporta, infatti, soltanto l'art. del codice o della legge contestato senza indicare la rubrica ne', come sarebbe stato più opportuno o corretto, una pur minima ricostruzione della vicenda storica da esaminarsi".
Tale "deplorevole condotta" è stata posta in essere dal magistrato nella generalità dei casi di cui agli addebiti. Significativi di questo atteggiamento sono apparsi al giudice a quo "i due procedimenti 1191/08 RGNR e 7533/05 RGNR, entrambi in materia di abuso di atti di ufficio, nei quali il quesito è posto in una forma così ampia ed indeterminata da non lasciare neanche comprendere su quali elementi di fatto e di diritto debba vertere l'attività di accertamento", neppure venendo indicata "la qualifica professionale del consulente a cui viene data la possibilità di servirsi a sua volta di collaboratori per acquisire elementi utili all'attività ricostruttiva".
Ai fini della commisurazione della sanzione, la Sezione disciplinare ha dato rilievo alla sistematicità dei comportamenti. 3. - Per la cassazione della sentenza della Sezione disciplinare del CSM il dott. D.G. ha proposto ricorso, sulla base di sei motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Con il primo motivo (inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 14, comma 2, in riferimento all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ci si duole che la sentenza impugnata non
abbia dichiarato l'impromovibilità dell'azione disciplinare, essendo essa stata promossa tardivamente. L'azione disciplinare - si osserva - deve essere promossa entro un anno dalla notizia del fatto, e nella specie l'azione disciplinare è stata promossa dal Ministro in data 7 novembre 2012, mentre nel decreto di incolpazione si da conto che la notizia circostanziata dei fatti è stata acquisita in Taranto nel mese di novembre 2011. Ad avviso del ricorrente, in omaggio al favor rei si dovrebbe ritenere che la notizia sia stata acquisita il primo giorno del mese di novembre 2011.
1.1. - La censura è infondata.
Ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 14, comma 2, l'azione disciplinare del Ministro deve essere promossa entro un anno dalla notizia del fatto.
Poiché nella specie la notizia del fatto è stata acquisita dal Ministro della giustizia a seguito di relazione dell'Ispettorato generale in data 27 febbraio 2012, la quale racchiude i risultati dell'ispezione periodica ordinaria svolta presso la Procura della Repubblica di Taranto dall'8 novembre 2011 al 10 dicembre 2011, l'azione disciplinare, promossa dal Ministro il 7 novembre 2012 con comunicazione indirizzata al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, è stata esercitata tempestivamente, nel rispetto del prescritto termine annuale.
2. - Il secondo mezzo deduce nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa ex art. 178 c.p.p., lett. c), con