Cass. civ., sez. V trib., sentenza 29/07/2005, n. 16018
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L'imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita dall'art. 1 del d.l. 30 settembre 1992, n. 394 (convertito nella legge 26 novembre 1992, n. 461) - e successivamente abolita dall'art. 36 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, con effetto dall'1 gennaio 1998 -, non contrasta con la direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE (modificata dalla direttiva 10 giugno 1985, n. 85/303/CEE), la quale, come statuito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sent. 27/10/1998, in causa C-4/97, ed ord. n. 1573/2001, nelle cause riunite C-279/99, C-293/99, C-296/99, C-330/99 e C-336/99), non osta alla riscossione, a carico delle società di capitali, di un'imposta come quella in esame, nemmeno quando questo tributo colpisce la componente del patrimonio netto costituita dal capitale sociale annualmente rilevato in bilancio, ed anche se tale componente sia stata in precedenza assoggettata all'imposta sui conferimenti. Né può ritenersi non manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale della normativa, per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., in quanto l'imposta, istituita per fronteggiare esigenze finanziarie transitorie e rimasta in vigore, in forza delle proroghe disposte, per sei anni, ha tuttavia conservato il carattere di manovra finanziaria di carattere straordinario, ha coinvolto tutte le società e gli enti di cui all'art. 87, lettere a) e b), del t.u.i.r., ed ha tenuto conto del principio di capacità contributiva, essendo stati previsti degli specifici limiti di applicabilità (art. 3, commi 2 e 3, del d.l. n. 394 del 1992).
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S B - Presidente -
Dott. E V G - rel. Consigliere -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. A U - Consigliere -
Dott. M A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- ricorrente -
e da
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
- ricorrente -
contro
ASTRAZENECA SPA, in persona dell'Amministratore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA G. PUCCINI 9, presso lo studio dell'avvocato P L, che la difende unitamente all'avvocato G T, giusta procura Notaio GIANCARLO ORRÙ di MILANO, rep. 92958 del 17.2.2004;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 43/03 della Commissione tributaria regionale di MILANO, depositata il 03/10/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/03/05 dal Consigliere Dott. Vittorio Glauco EBNER;
udito per il ricorrente, l'Avvocato dello Stato GENTILI, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avvocato PERRONE, che venga riproposta alla Corte di Giustizia la questione e quindi rinviata la causa;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del primo motivo;
l'accoglimento del secondo motivo del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con istanza in data 29.1.1998, rivolta alla Direzione Generale per le Entrate della Lombardia - sez. staccata di Milano - la Zeneca spa chiedeva il rimborso della complessiva somma di L. 2.868.241.000 versata a titolo di imposta straordinaria sul patrimonio netto delle imprese per gli anni dal 1992 al 1996.
La contribuente assumeva la non debenza della imposta perché contraria ai principi della Direttiva del Consiglio n. 69/335/CEE, secondo cui, nei confronti di una medesima società, l'imposta sulla raccolta dei capitali non può avere luogo che una sola volta e nella stessa misura in tutti gli Stati membri dell'Unione Europea. Successivamente, la società proponeva ricorso avverso il silenzio- rifiuto dell'A.F. in ordine a tale istanza di rimborso. Con sentenza n. 446/30/2000 l'adita Commissione Tributaria Provinciale di Milano rigettava il ricorso, richiamandosi alla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia CEE secondo cui la menzionata direttiva - concernente le imposte indirette sulla raccolta dei capitali - non osta alla riscossione a carico delle società di capitali di una imposta diversa, quale quella sul patrimonio netto delle imprese.
L'appello proposto dalla società contro tale sentenza veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza n. 43/48/03, depositata il 3.10.2003, sulla base della ritenuta equivalenza economica delle due imposizioni(quella annuale sul patrimonio netto delle imprese, introdotta con DL 394/1992;e quella di registro, sui conferimenti, percetta dall'Erario in occasione della costituzione della società) nonostante la diversità dei tributi per quanto attiene sia alla base imponibile, che all'aliquota ed alle modalità di riscossione. Ricorrono congiuntamente per cassazione il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate, con due mezzi di doglianza. Si è costituita e resiste con controricorso la intimata società.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un primo motivo la ricorrente A.F. deduce violazione falsa applicazione dell'art. 38 DPR 602/1973;dell'art. 3 comma 4 DL 394/1992 conv. in L. 461/1992;e dell'art. 2969 c.c.. I Giudici di appello avrebbero omesso di rilevare - ex officio - che la società, avendo inoltrato domanda di rimborso solo in data 29.1.1998, era decaduta dal diritto al rimborso delle annualità d'imposta sul patrimonio versate fino al 28.5.1996 e che pertanto la domanda stessa era da ritenersi tempestiva solo per i versamenti - relativi all'anno 1996 - effettuati il 28.11.1996 ed il 30.5.1997. La doglianza formulata con il primo motivo non può trovare accoglimento. Invero, dalla impugnata sentenza risulta la data (29.01.1998) dell'inoltro della domanda di rimborso ma non anche, come era invece necessario, quella dei singoli versamenti cui la domanda stessa si riferisce. Pertanto - come del resto questa Corte in casi analoghi ha già più volte avuto modo di afFermare (ex plurimis, Cass. 8466/2000;Cass. 11620 e 14297/2003;Cass. 21510/2004) - nella specie la parziale decadenza della società dal
diritto al rimborso non poteva essere utilmente eccepita (nè potrebbe essere rilevata d'ufficio) per la prima volta in sede di legittimità, stante la preclusione ad ogni nuova indagine di fatto occorrente al fine di risolvere la relativa questione di diritto. Con un secondo articolato motivo si deduce poi violazione e falsa applicazione dell'art. 1 DL 394/92 conv. in L. 461/92;degli artt. 4 e 10 della Direttiva 69/335/CEE;dell'art. 234 (ex 177) del Trattato in data 25.3.1957 e successive modifiche, istitutivo della CEE;inoltre, omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione. In particolare, Giudici di appello non avrebbero tenuto conto della interpretazione data in materia dalla Corte di Giustizia CEE circa la non contrarietà alla disciplina comunitaria della riscossione, a carico delle società di capitali, di una imposta sul patrimonio netto, in quanto strutturalmente diversa da quella sui conferimenti percetta in occasione della costituzione della società;ed avrebbero comunque omesso di giustificare adeguatamente, con riferimento al caso concreto, la ritenuta equivalenza degli effetti economici dei tributi in contestazione. Ritiene la Corte che le censure formulate con il secondo motivo siano fondate, alla luce della interpretazione al riguardo offerta dalla Corte di Giustizia CEE con la sentenza in data 27.10, 1998, in causa C- 4/97 Nonwoven e con la successiva ordinanza in data 15.3.2001 nelle cause C-279/99;293/99;296/99;
330/99 e 336799, Petrolvilla &Bortolotti ed altri.
In proposito va osservato che la Corte, posta (causa C- 4/97) dinanzi al quesito "se sia compatibile con l'ordinamento comunitario e segnatamente con la direttiva 69/335/CEE, la previsione di una imposta sul patrimonio netto delle società di capitali che abbia effetti economicamente equivalenti a quelli di un'imposta indiretta sui conferimenti, ha concluso all'effermativamente: nel senso, cioè, che tale direttiva del Consiglio, concernente le imposte indirette sulla raccolta dei capitali, come modificata dalla direttiva 10.6.1985 n. 85/303/CEE, non osta alla riscossione a carico delle società di capitali di un'imposta come quella sul patrimonio netto delle imprese.
A tale conclusione la Corte di Giustizia - dopo un esame comparativo della disciplina comunitaria dell'imposta sui conferimenti e della disciplina di un'imposta sul patrimonio (come appunto quella sottoposta al suo esame) - è pervenuta osservando quanto segue. In primo luogo, che la riscossione dell'imposta sul patrimonio netto, a differenza dell'imposta sui conferimenti, non presuppone alcuna operazione implicante un movimento di capitali o di beni e non corrisponde quindi a nessuna delle operazioni imponibili enumerate nell'art. 4 delle Direttiva 69/335/CEE, al quale fa riferimento l'art. 10 letta) e b) della stessa direttiva, che elenca le operazioni societarie per le quali è vietata l'applicazione di tributi, sotto qualsiasi forma.
Inoltre, che pur se la base dell'imposta sul patrimonio tiene conto dell'ammontare del capitale sottoscritto, che può o deve essere assoggettato all'imposta sui conferimenti, tale capitale rappresenta solo un componente del patrimonio netto, in quanto la base imponibile è costituita dalla somma di svariate voci contabili: tra le quali le riserve o i fondi nonché golì utili degli esercizi precedenti portati a nuovo e le perdite sia dell'esercizio attuale che di quelli anteriori.
Da qui il finale convincimento della Corte di Giustizia che il tributo de quo, previsto dalla normativa dello Stato italiano - non risolvendosi in un aumento dell'aliquota dell'imposta sui conferimenti o in un'ulteriore riscossione di tale impostale non costituendo esso stesso un' imposta sui conferimenti ne' un'imposta avente le stesse caratteristiche di questa - non trova alcun ostacolo nella indicata disciplina comunitaria.
L'interpretazione al riguardo offerta dalla Corte di Giustizia - cui peraltro ha fatto seguito un conforme orientamento di legittimità (ex plurimis, Cass. 8907, 13310, 14517, 15637, 15653 e 15654/2004) - a prescindere dall'ovvio rilievo circa il suo carattere vincolante per il Giudice nazionale, appare al Collegio del tutto da condividere risultando perfettamente individuate le differenze fra i tributi in questione, ed evidenziati altresì i non coincidenti effetti economici degli stessi, che appunto rendono compatibile l'imposta interna con la disciplina comunitaria circa le imposte sui conferimenti.
Sotto quest'ultimo profilo non si ravvisa pertanto alcuna necessità di un ulteriore rinvio pregiudiziale a detta Corte, quale invece sollecitato dalla difesa della controricorrente società. Quanto poi al prospettato contrasto(v. memoria ex art. 378 c.p.c.) della prima richiamata normativa interna con gli artt. 3, 47 e 53 della Costituzione, lo stesso, ad avviso di questa Corte, non è configurabile.
Al riguardo è il caso di osservare che l'imposta sul patrimonio netto delle imprese è stata istituita per fronteggiare esigenze finanziarie transitorie fino alla revisione della disciplina tributaria del reddito d'impresa (art. 1 comma 1 DL 394/1992, convertito con modificazioni in L. 461/1992: con effetti, ex art. 4 comma 1, per il periodo d'imposta in corso alla data - 30.08.1992 - di entrata in vigore del citato DL);e che l'iniziale termine finale (30.9.1994) di applicazione della normativa è stato oggetto di successive proroghe, fino all'abrogazione delle disposizioni in questione, operata con l'art. 36 comma 1 lett. e) D.Lgs. 446/1997, con effetti dall'1.1.1998.
Peraltro, tale evoluzione normativa non contraddice la complessiva coerenza del sistema Tessendosi trattato pur sempre di una manovra finanziaria di carattere straordinario, che ha coinvolto, per quanto in questa sede rileva) tutte le società e gli enti di cui all'art. 87 lett. a) e b) del TUIR;che ha tenuto conto del principio di capacità contributiva, prevedendo anche (art. 3, commi 2 e 3 DL 394/92 cit.) degli specifici limiti di applicabilità;e che comunque si è esaurita nell'arco di sei anni. Sicché, essendo da escludere che tale disciplina sia in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, la relativa eccezione di illegittimità costituzionale deve ritenersi manifestamente infondata. Quanto, poi, alla dedotta violazione dell'art. 47 della Costituzione, laddove incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, l'eccezione risulta del pari infondata, una volta riconosciuta la conformità della imposizione de qua ai menzionati principi di eguaglianza e di capacità contributiva, e, comunque, essa appare priva di concreta rilevanza ai fini del decidere.
Invero, l'argomento che la disciplina relativa all'imposta sul patrimonio netto delle imprese discriminerebbe le società che portano a patrimonio netto gli utili prodotti rispetto a quelle che li distribuiscono, appare nella specie fine a se stesso: non risultando dalla sentenza impugnata quale posizione avesse al riguardo la società interessata, non è dato comunque a questa Corte di valutare la effettiva rilevanza di una siffatta questione nella decisione della causa.
Alla stregua dei rilievi tutti che precedono il ricorso deve, per quanto di ragione, essere accolto.
Conseguentemente, va cassata la impugnata sentenza. Peraltro, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 comma primo cpc, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Ritiene la Corte, per le medesime ragioni in base alle quali il ricorso per Cassazione dell'A.F. è stato accolto, di dovere rigettare l'appello della società avverso la sentenza di prime cure. Quanto alle spese del grado di appello e del presente giudiziosi ravvisano giusti motivi di compensazione delle stesse.