Cass. pen., sez. V, sentenza 26/05/2020, n. 15818

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 26/05/2020, n. 15818
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15818
Data del deposito : 26 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari nel procedimento a carico di C G, nato a Gragnano il 04/11/1946 avverso la sentenza del 15/11/2018 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M R;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A P, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
uditi i difensori dell'imputato, avv.ti C B e A M, che hanno chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bari, decidendo in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte di cassazione - Sez. 1, n. 13571 del 2017 - della sentenza della medesima Corte di appello del 9 luglio 2015, ha riformato la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bari del 20 novembre 2004, che, all'esito del giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilità di G C per il delitto di cui all'art. 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, cod. pen. per avere fatto parte di un'associazione di tipo mafioso finalizzata al contrabbando all'ingrosso di ingenti quantitativi di tabacco lavorato estero acquistato in Svizzera mediante licenze di importazione rilasciate dalla Repubblica del Montenegro e poi portato in Italia dal Montenegro. La sentenza del Giudice dell'udienza preliminare era stata già riformata con sentenza della Corte di appello di Bari del 20 febbraio 2008, che aveva assolto il C per insussistenza del fatto, ma la decisione era stata annullata da questa Corte di cassazione (Sez. 1, n. 13972 del 2009) con rinvio alla Corte di appello di Bari che con sentenza del 28 gennaio 2011 aveva assolto nuovamente l'imputato per non aver commesso il fatto. Anche questa decisione veniva annullata da questa Corte di cassazione - Sez. 5, n. 24612 del 2012 - con rinvio alla Corte di appello di Bari, la quale, con sentenza del 9 luglio 2015, applicate al C le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, dichiarava non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione. Anche avverso questa decisione proponevano ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari ed il C (quest'ultimo limitatamente alla confisca dei beni già sequestrati e da lui rivendicati);
questa Corte di cassazione - Sez. 1, n. 13571 del 1/02/2017 - decidendo sui ricorsi, precisava che la penale responsabilità del C doveva ritenersi definitivamente accertata, non essendo stato proposto ricorso sul punto dall'imputato, e poi, ritenuta la motivazione della sentenza della Corte di appello illogica nella parte in cui applicava le circostanze attenuanti generiche e nella parte in cui dette circostanze erano ritenute equivalenti alle aggravanti, annullava la sentenza della Corte di appello limitatamente a tali punti e a quello della confisca, ritenendo fondato anche il ricorso del C. A seguito dell'annullamento, la Corte di appello, con la sentenza indicata in epigrafe, decideva come già sopra esposto.

2. In particolare, la Corte di appello ha accolto l'eccezione fondata sul ne bis in idem.

2.1. A tale proposito, la Corte territoriale ha osservato che con provvedimento del 5 novembre 2014 il Procuratore della Repubblica Federale Elvetica aveva emesso un «decreto di abbandono» dell'azione penale nei confronti del C, imputato di partecipazione e/o supporto di organizzazione criminale e riciclaggio di denaro, reati commessi in Svizzera, in Montenegro e in Italia. Nel provvedimento dell'autorità giudiziaria svizzera, come si legge nella sentenza di secondo grado, si affermava che la Procura Federale aveva aperto un procedimento penale per tali reati a carico di G C e altri e che il procedimento a carico del C era stato separato e poi sospeso in data 1 giugno 2005, in quanto egli risultava sottoposto a giudizio e condannato dal Tribunale di Bari con sentenza non definitiva del 20 novembre 2004 e la sospensione soddisfaceva «l'economia di procedura ed è nell'interesse dell'imputato, che in tal modo non deve difendersi in due procedimenti uguali in due paesi diversi»;
quindi, il Procuratore Federale, con provvedimento del 27 agosto 2008, preso atto che il procedimento a carico del C in Italia non si era ancora concluso, aveva revocato la sospensione e con atto di accusa del 26 settembre 2008 aveva esercitato l'azione penale nei confronti dei suoi coindagati;
successivamente, essendosi concluso con varie sentenze assolutorie il procedimento penale svizzero nei confronti dei coindagati del C, il Procuratore federale aveva, con il «decreto di abbandono», deciso di porre fine al procedimento. Difatti, con lettera del 16 dicembre 2013 la Procura federale aveva comunicato al legale del C l'intenzione di abbandonare il procedimento contro quest'ultimo e di rilasciare i beni confiscati e il legale del C aveva replicato di non avere obiezioni all'archiviazione ed al rilascio dei beni.

2.2. La Corte di appello ha avuto cura di precisare che il decreto di abbandono risulta passato in giudicato, come attestato con apposito timbro su di esso, e di indicare i fatti oggetto di indagine. Il coindagato Alfred Bossert, attraverso una società con sede a Lugano, negli anni 1998, 1999 e 2000 aveva gestito alcuni conti bancari di cui in realtà era titolare il C e che erano stati utilizzati per accreditarvi somme di denaro in contanti in lire italiane per un valore equivalente ad oltre 38 milioni di dollari provenienti da esponenti della criminalità pugliese e campana;
tali somme venivano impiegate dal Bossert per pagare fatture per l'acquisto ed il trasporto di sigarette e le spese per il transito di queste attraverso il Montenegro;
tramite questo Paese ingenti quantità di sigarette, centinaia di tonnellate al mese, venivano poi contrabbandate in Italia. Il Procuratore federale aveva, tuttavia, ritenuto che mancasse la prova che il C, pur essendo titolare di licenza per il commercio di tabacchi lavorati esteri rilasciata dalle autorità del Montenegro ed avendo organizzato transiti di sigarette dal Montenegro dal 1996 al 2000 attraverso diverse aziende, sapesse che la Camorra e la Sacra Corona Unita prelevavano un'imposta correlata al fatturato e per tale motivo aveva deciso di archiviare la causa contro il C per sostegno ad un'organizzazione criminale.

2.3. La Corte di appello ha, pertanto, affermato che i fatti ai quali si riferiva il decreto di abbandono emesso dall'autorità giudiziaria svizzera e quelli per i quali si procede in questa sede sono gli stessi, identica essendo la condotta ed i tempi ed i luoghi di consumazione dei reati;
ha aggiunto che il decreto di abbandono, emesso nei confronti del C ai sensi dell'art. 319 del codice di procedura penale svizzero, equivale ad una pronuncia assolutoria se passato in giudicato, secondo quanto previsto dall'art. 320 dello stesso codice;
poiché avverso il decreto di abbandono non era stato proposto ricorso, esso era passato in giudicato, come risultava dall'attestazione apposta su di esso. La presenza di una causa ostativa alla procedibilità come il ne bis in idem, rilevabile in qualunque stato e grado del processo, ai sensi dell'art. 649, comma 2, cod. proc. pen., imponeva al giudice del rinvio di pronunciare sentenza di proscioglimento, anche quando la Corte di cassazione avesse fissato l'area della sua cognizione. Né tale pronuncia poteva essere esclusa in applicazione del c.d. giudicato progressivo, che precludeva solo un nuovo esame di merito su determinati punti non annullati dalla Corte di cassazione, ma non elideva il dovere di dichiarare improcedibile l'azione penale che perdurava sino all'irrevocabilità della decisione.

2.4. La Corte di appello ha anche segnalato che il principio del ne bis in idem doveva applicarsi anche in questo caso, in cui il divieto di secondo giudizio trovava causa nell'emissione di una pronuncia assolutoria nei confronti del C per il medesimo fatto ad opera di un'autorità giudiziaria straniera, in virtù dell'art. 54 della CAAS del 19 giugno 1990 (Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 che era stato ratificato anche dalla Svizzera). La Corte territoriale ha osservato che il principio del ne bis in idem internazionale previsto dal citato art. 54 trova applicazione in tutti i casi in cui il provvedimento dell'autorità straniera estingua definitivamente l'azione penale, indipendentemente dalla circostanza che esso sia stato emesso da un giudice o da un pubblico ministero, come nel caso di specie, e che la natura del provvedimento decisorio e la sua attitudine a passare in giudicato devono essere valutate sulla base dell'ordinamento processuale dello Stato straniero al quale appartiene l'autorità giudiziaria che lo ha emesso. Poiché il decreto di abbandono emesso dal Procuratore federale elvetico era passato in giudicato e precludeva in modo definitivo la riproposizione dell'azione penale, esso comportava l'applicazione del citato principio e non consentiva un'utile prosecuzione dell'azione penale in Italia a carico del C. ,v 3. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari, chiedendone l'annullamento ed affidandosi a sei motivi.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi