Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 16/04/2003, n. 6030

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Massime1

Ai fini dell'applicazione dell'art. 2103 cod. civ., spetta all'autonomia collettiva fissare la gerarchia delle mansioni e delle relative qualifiche allo scopo di stabilire la "categoria superiore" e le "mansioni superiori"; peraltro, per appurare l'effettiva unicità di inquadramento nell'ambito di una determinata area lavorativa, in base alla contrattazione collettiva, non sono sufficienti mere affermazioni di principio, anche se più volte ribadite, qualora la stessa contrattazione stabilisca, nell'ambito della medesima area e per mansioni diverse, retribuzioni differenti, identificando in tal modo mansioni e qualifiche differenziate, nell'ambito delle quali operano i principi affermati dal suddetto art. 2103 cod. civ. Peraltro, l'autonomia collettiva non si sottrae alle prescrizioni del citato art. 2103, con conseguente nullità dei patti contrari al divieto di declassamento di mansioni, dovendosi escludere tale nullità solo ove il nuovo contratto collettivo prevede il riclassamento del personale, consistente in un riassetto delle qualifiche e dei rapporti di equivalenza tra mansioni, fatta salva in ogni caso la tutela della professionalità già raggiunta dal lavoratore. (Nella specie, applicando i principi di cui alla massima, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto illegittimo il provvedimento di assegnazione al settore recapito, collocato nella IV categoria, di una dipendente della Poste Italiane SpA in precedenza addetta a mansioni rientranti nella V o VI categoria, ancorché per effetto del contratto collettivo del 26 novembre 1994 i lavoratori di queste tre categorie fossero confluiti in un'unica area operativa).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 16/04/2003, n. 6030
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 6030
Data del deposito : 16 aprile 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DELL'

ANNO

Paolino - Presidente -
Dott. F R - Consigliere -
Dott. C G - Consigliere -
Dott. C F - rel. Consigliere -
Dott. M U - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
POSTE I S, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VLE EUROPA

190, presso lo studio dell'avvocato C M, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
GILE LOREDANA;

- intimata -
e sul 2^ ricorso n. 16815/00 proposto da:
GILE LOREDANA, elettivamente domiciliata in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difeso dall'avvocato S P, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
nonché

contro

POSTE I S;



- intimato -


avverso la sentenza n. 561/00 del Tribunale di AVELLINO, depositata il 07/04/00 - R.G.N. 300/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/02 dal Consigliere Dott. F C;

udito l'Avvocato M;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. E M CESQUI che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Loredana Gentile con ricorso al Pretore di Avelline espose:
di esser stata assunta nel 1987 dall'altera Amministrazione Poste e telecomunicazioni con qualifica di dattilografa;

di esser stata assegnata all'ufficio di segreteria della direzione provinciale di Avellino con compiti amministrativi e successivamente, dal 24 gennaio 1997, al settore produzione presso l'ufficio di Avellino centro, continuando a svolgere mansioni di tipo amministrativo;

di esser stata infine assegnata, a decorrere dal 3 luglio successivo, al servizio recapito postale, con evidente sottrazione di mansioni e di professionalità.
Su tali premesse la Gentile chiese che fosse dichiarata l'illegittimità di tale assegnazione e fosse accertato il suo diritto all'inquadramento nell'Area Operativa, tipologia amministrativa di staff, con reintegrazione nella segreteria della Direzione provinciale della filiale di Avellino, o in subordine, che fosse dichiarato il suo diritto all'assegnazione al settore produzione presso l'ufficio promiscuo di Avellino centro. Il pretore accolse la domanda e la sentenza, impugnata dalle Poste italiane S.p.A. è stata confermata dal Tribunale di Avellino. Per ciò che rileva in questa sede, il Tribunale ha osservato innanzitutto che, contrariamente a quanto dedotto dall'appellata, il ricorso in appello non poteva considerarsi nullo per omessa esposizione dei fatti.
Benché in esso mancasse in esso una parte espressamente dedicata a tale esposizione, dalla sua complessiva lettura emergeva , pur con difficoltà, la narrazione della vicenda storica sottoposta all'esame del giudice.
Quanto al merito, secondo il Tribunale non aveva fondamento la tesi dell'appellante, che, sul presupposto della riconducibilità alla medesima area di inquadramento tanto della categoria e delle mansioni di provenienza quanto di quelle di destinazione, negava la ricorrenza di alcuna dequalificazione nell'assegnazione della Gentile al settore recapito. Infatti, ad avviso del giudice d'appello, la fungibilità delle mansioni prevista all'interno dell'unica area operativa (ossia in una delle quattro nuove aree di inquadramento stabilite dal contratto collettivo de 26 novembre 1994) nella quale erano confluiti i lavoratori appartenenti alle ex 4^, 5^ e 6^ categoria doveva esser coordinata con la necessità di salvaguardare il principio dell'equivalenza delle mansioni stesse, dovendo escludersi che mansioni rientranti nella ex 4^ categoria possano dirsi equivalenti a mansioni rientranti nella 5^ o 6^ categoria. Quindi la fungibilità doveva infetti ritenersi consentita fra i vari filoni operativi ma nel rispetto della omogeneità delle categorie di appartenenza.
Inoltre la fungibilità tra profili professionali e mansioni appartenenti alla stessa area doveva esser valutata in concreto e confrontando le mansioni attuali con quelle in precedenza effettivamente svolte e non con la categoria formale in precedenza attribuita. Su tali premesse, il Tribunale, ritenuta raggiunta la prova che la Gentile, assegnata al Primo Reparto presso la Direzione provinciale di Avellino, avesse svolto dal 1987 sino al 24 gennaio 1997, mansioni rientranti nelle ex qualifiche 5^ e 6^ livello (quali il disbrigo di pratiche riguardanti le assenze per malattia, la disposizione delle visite fiscali e la gestione della relativa documentazione, l'esame quotidiano degli statini di presenza del personale, e la collaborazione nell'espletamento delle pratiche concernenti le assunzioni) e dopo quella data mansioni di tipo amministrativo presso l'ufficio promiscuo di Avellino centro, osservava che la figura dell'operatore amministrativo contabile corrispondente a quella della Gentile era collocata in passato all'interno della 5^ o della 6^ categoria, diversamente dall'addetto al recapito collocato nella 4^. Pertanto l'assegnazione della lavoratrice alle mansioni di portalettere comportava dequalificazione professionale rispetto alle mansioni precedentemente svolte con progressivo azzeramento del bagaglio culturale acquisito, perdita delle conoscenze e delle esperienze maturate e deterioramento della professionalità.
Le Poste Italiane S.p.A. chiedono la cassazione di questa sentenza formulando un unico articolato motivo di censura.
L'intimata resiste con controricorso contenente ricorso incidentale, articolato su due censure.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La società ricorrente deduce violazione e o falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e segg. c.c., difetto di motivazione per
contraddittorietà e insufficienza.
Premette che per espressa previsione dell'art. 6 comma 6 della legge 71/94, di conversione del d.l. 487/93, il rapporto di lavoro dei
dipendenti delle Poste italiane è stato privatizzato, e che in data 26 novembre 1994 è stato sottoscritto il primo contratto collettivo di lavoro con potere originario di dettare nuove regole per la classificazione del personale. L'art. 40 di tale contratto prospetta i criteri posti per la ridefinizione ordinamentale di tutto il personale finalizzata alla creazione di un assetto aziendale efficiente e funzionale, e l'art. 41 dispone espressamente che " il personale .... In relazione al diverso grado di partecipazione al processo produttivo aziendale, al differente grado apporto professionale richiesto e alle diverse responsabilità connesse ad ogni funzione aziendale è inquadrato nelle seguenti nuove aree funzionali: 1) area di base;
2) area operativa;
3) area quadri di 2^ livello;
4)area quadri di 1^ livello".
L'art. 43 specifica la declaratoria dell'area operativa facendo riferimento ai dipendenti che posseggano "conoscenze specifiche", abbiano "responsabilità personali e di grucce con contenuti professionali di parziale a media specializzazione" , impegnati in "business di base" svolgano mansioni che presuppongano "adeguata preparazione professionale " e "capacità di autonomia operativa nei limiti dei regolamenti di esecuzione". Il successivo art. 53 dello stesso contratto sub 1) prescrive che a partire dal 15 febbraio 1995 sarebbe stato effettuato l'inquadramento dei dipendenti in servizio in relazione alle nuove aree di classificazione. In esecuzione di tale clausola le Poste hanno provveduto all'automatico inquadramento in funzione delle ex categorie di provenienza. Per i dipendenti delle ex categorie 4^, 5^, e 6^ era stata stabilita la confluenza nell'unica Area operativa. Analogamente, si era provveduto ad inquadrare le categorie 1^ e 2^ nell'area di base, la 7^ nei quadri di 2^ livello, la 7^, l'8^ e la 9^ e il ruolo ad esaurimento della funzione direttiva e la cat. 8^ esercizio nell'area Quadri di 1^ livello. L'inquadramento della Gentile nell'area operativa era conseguenza delle pattuizioni intervenute con le parti sociali, nell'esercizio dell'autonomia contrattuale e sulla base della sola categoria di provenienza della dipendente.
Esso era pienamente legittimo non essendo vietato accorpare all'interno di un solo livello professionalità di livelli diversi, nell'ambito di modelli organizzativi più rispondenti alle esigenze produttive dell'azienda, salvo il rispetto dei livelli retributivi in precedenza raggiunti. Quindi, doveva ritenersi precluso, successivamente al nuovo inquadramento dei personale avvenuto con il c.c.n.l. 26 novembre 1994, far rivivere le pregresse categorie di inquadramento pubblicistiche.
Il Tribunale per contro pur avendo dato atto della riorganizzazione e dell'accorpamento in un'unica area delle precedenti categorie pubblicistiche, della fungibilità nell'ambito dell'unica area tra i vali filoni operativi nei rispetto della omogeneità delle categorie di provenienza, della non inferiorità della figura professionale dei portalettere rispetto alle mansioni in ultimo svolte dalla Gentile, aveva concluso, contraddicendosi, che fino al gennaio 1997 la lavoratrice aveva svolto mansioni rientranti nelle ex qualifiche di 5^ e 6^ livello e che rientrando la figura del portalettere nella ex inferiore categoria del 4^ livello vi sarebbe stata dequalificazione professionale.
In tale modo però il Tribunale aveva considerato quale ultrattiva la disciplina pubblicistica, mentirai fine di stabilire l'equivalenza delle mansioni avrebbe dovuto verificare se i compiti attribuiti alla dipendente rientrassero o meno nella declaratoria dell'area all'interno della quale le mansioni corrispondenti alle vecchie categorie soppresse erano confluite, tutte con pari dignità. Il Tribunale, invece, senza alcun supporto interpretativo aveva riconosciuto uno svolgimento di funzioni superiori nell'ambito di un'unica area che le parti hanno invece escluso, avendo concepito le Aree come raggruppamenti omogenei di mansioni. In particolare, quanto all'Area operativa l'art. 47 del contratto aveva stabilito che all'interno delle qualifiche e categorie in essa confluite si sarebbe attuata sia la piena fungibilità orizzontale fra i vari profili nell'ambito delle esistenti categorie sia la fungibilità verticale ascendente e discendente senza che ciò possa concretizzare aspettative giuridiche di diverso inquadramento, il Tribunale, non valutando alcuno di tali profili, aveva finito con il riconoscere come superiori mansioni che non erano più tali, essendo state unificate all'interno dell'unica Area operativa, trascurando di considerare che. a norma del nuovo ordinamento la Gentili dalla data dei nuovo contratto collettivo non poteva rivendicare io svolgimento di mansioni esclusivamente appartenenti ad una sola delle ex categorie pubblicistiche ma doveva svolgere tutte le mansioni comprese nell'area di inquadramento, ivi comprese quelle di addetto al recapito.
Il ricorso incidentale contiene due motivi.
Con il primo, denunziandosi anche vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria si deduce la violazione dell'art. 434 c.p.c., per avere il Tribunale escluso la nullità dell'atto di appello, benché questo mancasse totalmente del requisito della esposizione, ancorché sommaria, dei fatti.
Con il secondo motivo deducendosi violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e segg. c.p.c., in relazione all'Accordo integrativo al ceni Poste italiane, inserito nella circolare n. 25 dell'8 agosto 1985, nonché vizio di motivazione, si lamenta che il Tribunale non abbia considerato il contenuto di tale accordo Integrativo, il quale aveva completamente innovato l'assetto contrattuale derivante dal ccnl. Alla stregua di tale accordo le mansioni della Gentile non potevano esser quelle degli addetti al recapito, inquadrati nella tipologia "Produzione: vendita a domicilio" ma richiedevano un inquadramento nella tipologia "Produzione/vendita presso le agenzie".
Il primo motivo del ricorso incidentale va esaminato con priorità rispetto al ricorso principale, potendo il suo accoglimento condurre all'accertamento della nullità del procedimento d'appello. Il motivo è infondato, dato che, secondo l'apprezzamento del giudice di merito, l'atto di appello, doverosamente valutato nel suo insieme, consentiva l'individuazione dei fatti rilevanti per giudicare della controversia in sede di gravame.
Può quindi esser esaminato il ricorso principale.
In proposito si deve osservare, anzitutto, che la censura di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale deve esser senz'altro disattesa, dal momento che il ricorrente, mentre propone una propria interpretazione delle clausole contrattuali in questione non si è attenuto al criterio, sempre ribadito da questa Corte, secondo cui ove venga denunziato un vizio di ragionamento nell'interpretazione di un contratto da parie dei giudice di merito, la parte non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli art. 362 e seguenti cod. civ., ma deve specificare i canoni in concreto violati nonché il punto ed il modo in cui il giudice si sia da essi discostato, atteso che, diversamente, la critica della ricostruzione della volontà contrattuale operata dal giudice e la proposta di una diversa interpretazione investono il merito delle valutazioni del giudice stesso e sono perciò inammissibili in sede di legittimità (così, fra le molte, Cass. 20 marzo 2001 n. 4009;

15 ottobre 2001, n. n. 3780;
e con riferimento all'interpretazione del contratto collettivo di diritto comune, Cass. 18 marzo 1997, n. 235;

27 febbraio 1998, n. 2190;
3 luglio 2001, n. 8994). Quanto poi alla dedotta violazione dell'art. 2103 c.c., derivante dalla interpretazione accolta dal giudice di merito, valgono le seguenti considerazioni.
È costantemente riconosciuto nella giurisprudenza di questa Corte ha che ai fini dell'applicazione dell'art. 2103 cod. civ., spetta all'autonomia collettiva fissare la gerarchia delle mansioni e delle relative qualifiche allo scopo di stabilire la "categoria superiore" e le "mansioni superiori". Ma, occorre che tale potere (espressione di una specifica idoneità in materia dello strumento negoziale collettivo, che ha ricevuto recenti conferme in sede legislativa, ad.
es. nella materia dei ed rapporti di lavoro pubblici
contrattualizzati, dove al contratto collettivo è affidata anche la individuazione dell'equivalenza delle mansioni: v. ora art. 52 del d.lgs 30 marzo 2001, n. 165) sia innanzitutto esser effettivamente
esercitato dalle parti, mentre non è sufficiente che esse affermino di averlo esercitato, dovendo indagarsi non su ciò che esse hanno detto di aver voluto fare, ma su quello che esse hanno concretamente fatto. Pertanto, come questa Corte ha precisato, per appurare l'effettiva unicità di inquadramento nell'ambito di una determinata area lavorativa, in base alla contrattazione collettiva, non sono sufficienti mere affermazioni di principio, anche se più volte ribadite, qualora la stessa contrattazione stabilisca, nell'ambito della medesima area e per mansioni diverse, retribuzioni differenti identificando in tal modo mansioni e qualifiche differenziate, nell'ambito delle quali operano i principi affermati dai suddetto art. 2103 cod. civ. (v. Cass. 9 novembre 2000 n. 14546). D'altra parte, come ancor di recente puntualizzato da questa Corte, nell'esercizio dell'autonomia riconosciutale la contrattazione collettiva deve però rispettare le prescrizioni poste dall'art. 2103 c.c. la cui inderogabilità, espressamente sancita nel
capoverso, con la prevista sanzione di nullità di ogni patto contrario , per non essere limitata all'autonomia individuale deve ritenersi riferita anche all'autonomia collettiva essendo per di più espressamente previsto che quest'ultima è autorizzata nelle materie dello Statuto dei lavoratori solo ad introdurre condizioni più favorevoli ai lavoratori. Quindi la contrattazione collettiva non potrebbe autorizzare l'adibizione a mansioni inferiori ovvero il riconoscimento di una qualifica inferiore rispetto alle mansioni di fatto esercitate ovvero escludere il meccanismo della c.d. promozione automatica, ossia della stabilizzazione nella qualifica superiore in ragione dell'esercizio protratto nel tempo, di mansioni ad essa corrispondenti"(Cass. 3 settembre 2002, n. 12821) Vero è che, sempre secondo la sentenza appena cit. al divieto di patti contrari si sottrae il c.d. riclassamento "che è fattispecie dei tutto diversa in quanto implica un riassetto delle qualifiche e dei rapporti di equivalenza tra mansioni" nel rispetto peraltro "anche di quella tutela della professionalità raggiunta dal lavoratore che è insita nei precetto dell'art. 2103 c.c." Ma, come la sentenza cit. ha cura di aggiungere, con una precisazione che questa Corte condivide interamente, sebbene con il riclassamento il nuovo contratto collettivo possa prevedere il reinquadramento in unica qualifica dei lavoratori precedentemente inquadrati in qualifiche distinte, con la conseguente parificazione limitatamente a quella disciplina contrattuale (normativa ed economica) riferita alla nuova qualifica.........ciò non implica necessariamente anche che insorga un rapporto di equivalenza tra tutte le mansioni rientranti nella qualifica: e, soprattutto, non implica che la professionalità raggiunta dal lavoratore possa esser mortificata da un'introdotta nuova equivalenza verso mansioni che , quand'anche rivalutate nel contesto dei riclassamento abbiano in concreto l'effetto di mortificarla." La sentenza impugnata, ad onta di talune espressioni che possono indurre nell'equivoco di una certamente non consentita utilizzazione diretta dei livelli di inquadramento propri dei regime pubblicistico, si è in sostanza mantenuta nel quadro di questi principi. Essa infatti ha tenuto conto del contenuto del contratto collettivo e dell'inquadramento nell'unica Area operativa, ma dovendo stabilire se con il provvedimento di riassegnazione della Gentile ai compiti di portalettere vi fosse stata o non dequalificazione ha analizzato le mansioni svolte fino a quel momento dalla lavoratrice ed ha concluso per il loro diverso spessore professionale rispetto a quelle cui il datore intendeva destinarla, utilizzando a tal fine la diversa collocazione del precedente assetto pubblicistico quale elemento di valutazione e non certo quale diretto parametro normativo, indebitamente riesumato, il Tribunale si è, in definitiva, uniformato al principio per cui in tema di jus variandi del datore di lavoro il divieto di variazioni in pejus opera quando al lavoratore pur restando inalterata la sua collocazione nell'organizzazione gerarchica dell'impresa e la sua retribuzione siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori sicché, nell'indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto all'inquadramento formale ma è necessario che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali, con le conseguenti prospettive di miglioramento professionale (Cass. 29 agosto 2002 n. 12689;
17 marzo 1999 n. 2428;
10 agosto 1999 n. 8577
;

3 novembre 1997 n. 10775;
11 gennaio 1995, n.276).
Alla valutazione del Tribunale la ricorrente addebita contraddittorietà per aver escluso l'inferiorità delle mansioni di portalettere e al tempo stesso affermato la superiorità di quelle che la Gentili aveva svolto e chiedeva di continuare a svolgere. Ma è evidente che con il termine inferiorità (fra l'altro riportato tra virgolette ) il Tribunale ha inteso riferirsi, per escluderla, ad una diverso apprezzamento sociale dei compiti in questione, e non certo al loro contenuto professionale.
Poiché gli accertamenti di fatto sulle mansioni precedentemente svolte e su quelle che dalla Gentili si richiedevano e sulla perdita di professionalità che ne sarebbe derivata non sono censurati dalla ricorrente che, come detto argomenta su basi affatto diverse, la sentenza del Tribunale che ha accertato violazione dell'inderogabile disposto dell'art. 2103 c.c. non merita censura e il ricorso va rigettato, con conseguente assorbimento del secondo motivo del ricorso incidentale.
Sussistono giusti motivi per compensare fra la parti le spese del giudizio di legittimità.

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