Cass. civ., sez. II, sentenza 04/03/2019, n. 06240
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Ud. 27/11/2018 PU SENTENZA sul ricorso 179-2014 proposto da: ITALBONIFICHE s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore G S, rappresentata e difesa dagli Avvocati M E P e C Z, ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale Polese in ROMA, VIA G. SAVONAROLA 39 - ricorrente -contro LUSZCZYNSKI & C. S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore G L, rappresentata e difesa dall'Avvocato M A, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avvocato G S in ROMA, VIA PANAMA 88 - controricorrente - (f/t(4). avverso la sentenza n. 1413/2013 della CORTE d'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 20/08/2013;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/2018 dal Consigliere Dott. U B;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A C, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il rigetto;uditi gli Avvocati F G, con delega, per la ricorrente;e LUCA ARGINELLI, con delega, per le controricorrenti, i quali rispettivamente hanno concluso come in atti. FATTI DI CAUSA Con atto di citazione notificato in data 10.3.2003, la ITALBONIFICHE s.r.l. conveniva in giudizio la LUSZCZYNSKI & C. s.n.c. avanti al Tribunale di Forlì per ottenere l'accertamento del proprio credito di C 15.317,08 e la condanna della società convenuta al pagamento della suddetta somma, oltre interessi e rivalutazione. L'attrice deduceva che, in forza di un accordo verbale, che prevedeva il compenso a ore, era stata incaricata dalla convenuta per la rimozione e la scrostatura dell'intonaco plastico presso il Condominio di Piazzale Lunadei in Sant'Agata Feltria. Si costituiva in giudizio la società convenuta chiedendo il rigetto della domanda e precisando che i lavori edili, committente il Condominio, erano stati subappaltati all'attrice per un compenso a forfait di £ 15.000.000, somma regolarmente versata in due tranche a DERI GORZANELLI, che aveva sempre dichiarato di essere il legale rappresentante della società attrice. La convenuta chiedeva la chiamata in giudizio del G e, in via riconvenzionale, la condanna della Italbonifiche e del G, in solido tra loro, al pagamento di C 491,10, a titolo di corrispettivo di gasolio fornito e mai pagato, nonché della somma di C 4.083,00 per danni conseguenti alla mancata fatturazione dei 15 milioni di lire. Il chiamato si costituiva, contestando la versione dei fatti della convenuta e associandosi alle difese dell'attrice. All'esito dell'istruttoria documentale e orale, con sentenza n. 329/2007, depositata in data 4.5.2007, il Tribunale di Forlì rigettava la domanda principale proposta dalla Italbonifiche, dichiarando che la stessa avesse già ricevuto la somma di C 7.746,85 a saldo del corrispettivo dovuto;accoglieva parzialmente la domanda riconvenzionale per il prezzo del gasolio, condannando l'attrice e il chiamato a corrispondere la somma di C 491,10, oltre a interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo;condannava entrambi, in solido tra loro, al rimborso delle spese di lite. La domanda riconvenzionale di danni era rigettata perché non provata. Avverso detta sentenza proponeva appello la Italbonifiche per chiederne la riforma e l'accoglimento delle medesime questioni dedotte in primo grado. Si costituiva l'appellata, nella contumacia del G, per chiedere la conferma della sentenza e la condanna alle ulteriori spese del giudizio. Con sentenza n. 1413/2013, depositata in data 20.8.2013, la Corte d'Appello di Bologna accoglieva parzialmente l'appello,,' _ proposto da Italbonifiche s.r.l. e, riformando la sentenza di primo grado, compensava nella misura di un quarto sia le spese del primo che quelle del secondo grado. Confermava nel resto la sentenza gravata.Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la Italbonifiche s.r.l. sulla base di quattordici motivi, illustrati da memoria;resiste la L & C. s.n.c. con controricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Con il primo motivo, la ricorrente deduce la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 111, 1175 c.c. e/o 101, 113, 116, 215, 216 c.p.c., in riferimento all'interpretazione degli artt. 1188, 1189, 1345, 1387, 1391, 1393 e dunque dell'art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione all'abuso del diritto nell'interpretazione della norma e nella qualificazione dell'avversa resistenza come fondata», in quanto la Corte di merito non avrebbe conferito il giusto peso alle norme suindicate, essendo incorsa in errori di valutazione tali da costituire un vulnus giuridico nel procedimento logico di motivazione. I fondamenti posti alla base della sentenza impugnata sono: la circostanza pacifica dell'effettuazione del lavoro da parte della società attrice e del conseguente diritto a ottenere il corrispettivo (circostanza questa non contestata);le conferme dei testi Sigona e Modica sulla conclusione del contratto di subappalto tra D G e G L (non sarebbe provato che la Italbonifiche abbia concluso un contratto con L e soprattutto che lo abbia concluso del tenore di quello risultante dalle testimonianze);la partecipazione del G alle trattative e l'interessamento continuo al cantiere durante i lavori (circostanza che non sarebbe stata provata);la tacita ratifica del contratto di subappalto da parte della Italbonifiche, anche ammesso che lo stesso fosse stato concluso da un falsus procurator. Secondo la ricorrente, il Collegio, per accogliere le domande avrebbe dovuto accertare che l'eventuale accordo fosse regolare;che la Italbonifiche avesse consentito il pagamento a G;che il contratto fosse a corpo;che il pagamento senza fattura e in contanti fosse una sorta di pratica lecita. Pertanto, la prospettazione dei presupposti su cui fondare il giudizio è erronea. Si evidenziano altresì carenze nell'esame delle testimonianze. Inoltre la ricorrente richiama quanto dedotto nell'atto di appello, nel quale si specificava che il G non fosse mai stato legale rappresentante della società, la quale non aveva mai beneficiato dell'attività dello stesso, fatta eccezione per questioni tecniche;e si chiede come possa reputarsi dimostrata la buona fede del debitore che esegua il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo, di chi avrebbe accettato di appaltare un lavoro in nero a una s.r.I.;perché un asserito rappresentante, che tale si dichiara, sarebbe disposto a compiere i lavori oggetto di appalto dietro corrispettivo da consegnare in contanti, senza rilascio di fattura. La parte sottolinea, inoltre, che per due anni la resistente non rispose ai solleciti di pagamento, se non in seguito all'ennesimo invito. Nel comportamento della resistente si individuerebbe un abuso del diritto, che configurerebbe una responsabilità con obbligo di risarcimento. G L avrebbe assunto, infatti, una condotta qualificabile come del tutto abusiva del diritto e contraria a nome imperative, quali debbono reputarsi quelle tributarie. Inoltre, la Corte ha ritenuto che il primo Giudice avesse valorizzato la mancata comparizione della società attrice e del chiamato a rendere l'interrogatorio formale, sul punto se il denaro fosse stato consegnato e a chi, traendo da essa argomenti di prova. Invero, l'attrice non si era presentata in quanto il legale rappresentante della s.r.l. Italbonifiche era mutato e non era a conoscenza di tali fatti. Peraltro, secondo il Tribunale, la quietanza di pagamento firmata dal G e l'assegno non erano mai stati disconosciuti in modo formale. Ciò non risponde al vero, in quanto il difensore della Italbonifiche aveva precisato a verbale che si contestava la fotocopia relativa all'assegno di 5.000.000, che non aveva alcuna relazione con alcuna delle parti e che sembrava vi fossero due grafie sovrapposte. 1.1. - Il motivo è inammissibile. 1.2. - Ai sensi dell'art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata (da ultimo, Cass. n. 24773 del 2018). Se è vero che l'indicazione dei motivi non necessita dell'impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l'oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015;Cass.n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015;Cass.n. 13377 del 2015;Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l'altro, l'esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016;Cass. n. 22254 del 2015). Così, dunque, i motivi di impugnazione che [come nella specie] prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono altrettanto inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall'altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016). 1.3. - Il primo motivo di ricorso, così come formulato, si connota viceversa per una confusa articolazione di una pluralità di censure tra loro eterogenee - riferite tutte congiuntamente ed indistintamente ad asseriti vizi di violazione e/o falsa applicazione di plurime norme di legge - prive di una precisa identificazione e conseguenzialità applicativa, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il preciso contenuto ed analizzarne la rispettiva fondatezza o meno. Tali censure, viceversa, appaiono contraddistinte dall'evidente scopo comune di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale rivalutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018). Ma, l'apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 2 agosto 2016, n. 16056). 1.4. - Ulteriore profilo di inammissibilità del motivo, va ravvisato nel principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie). Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017;ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017;Cass. n. 195 del 2016;Cass. n. 26110 del 2016). Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall'art. 360 n. 3 c.p.c. deve essere dedotto, a '1" pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie;diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di "errori di diritto" individuati [come nella specie] per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesannente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell'ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006;Cass. n. 828 del 2007;Cass. n. 5353 del 2007;Cass. n. 10295 del 2007;Cass. 2831 del 2009;Cass. n. 24298 del 2016). Ciò in quanto, il controllo affidato alla Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014;richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014). 1.5. - Peraltro [e ciò vale in riferimento pressoché a tutti i motivi di ricorso, rispetto ai quali il presente assume una natura genericamente riepilogativa], così facendo, la censura si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata;quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile;ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass.n. 9275 del 2018). 2. - Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2721, 2724, 2726, 2729 e/o degli artt. 1189, 1345, 1387, 1391, 1393 c.c., in relazione all'errata ammissione e conseguente formazione della prova per testi del pagamento e, dunque, dell'art. 360, n. 3 c.p.c.», là dove la Corte di merito ha affermato che il divieto di prova testimoniale ex art. 2722 c.c. si riferisce al contratto e non a un atto unilaterale come la quietanza. Secondo la ricorrente, dal momento che l'asserito contratto si riferiva a lavori eseguiti dalla Italbonifiche per i quali non era stato effettuato il pagamento, la prova per testi del pagamento sarebbe stata soggetta agli stessi limiti della prova per testi del contratto (art.2726 c.c.). In base all'art. 2724 c.c., la prova testimoniale è ammessa quando, tra l'altro, vi sia un principio di prova per iscritto;mentre nella fattispecie, non c'era prova scritta in quanto la quietanza era inutilizzabile come mezzo di prova a causa del disconoscimento da parte del G, al quale non aveva fatto seguito l'istanza di verificazione. 2.1. - Il motivo è inammissibile. 2.2 - La Corte di merito, del tutto correttamente, ha richiamato i principi giurisprudenziali in materia di divieto di prova testimoniale ex art. 2722 c.c., secondo cui il divieto di prova testimoniale ex art. 2722 cod. civ. si riferisce al contratto e non ad un atto unilaterale, come la quietanza, mentre il divieto contenuto nell'art. 2726 cod. civ., riferito al "pagamento" , riguarda i patti aggiunti, contrari o posteriori, intesi a negare, in tutto o in parte, il debito estinto con il pagamento, ma non impedisce la prova di ulteriori debiti (Cass. n. 6685 del 2009;conf. anche Cass. n. 5417 del 2014);e secondo cui, poiché la quietanza costituisce atto unilaterale di riconoscimento del pagamento ed integra, tra le parti, confessione stragiudiziale, proveniente dal creditore e rivolta al debitore, che fa piena prova della corresponsione di una specifica somma di denaro per un determinato titolo,l'esistenza del fatto estintivo (pagamento) da essa attestato può essere contestata soltanto mediante la prova degli stessi fatti (errore di fatto o violenza) richiesti dall'art. 2732 cod. civ. per privare di efficacia la confessione (Cass. n. 3921 del 2006;conf. Cass. n. 1389 del 2007;Cass. n. 15380 del 2010;Cass. n. 9297 del 2012).Ciò detto, altrettanto correttamente il Giudice di secondo grado - evidenziato, altresì il fatto che l'eccezione non fosse mai stata formulata in primo grado - ha posto l'attenzione sulla evidente contraddizione, in base alla quale la stessa attrice aveva dedotto prove testimoniali per smentire l'assunto avversario. Inoltre, la Corte di merito ha affermato che la scelta del Tribunale di ammettere i capitoli di prova formulati dalle parti non presentasse manchevolezze sotto il profilo dei presupposti normativi, in quanto, appunto, il divieto di prova testimoniale si riferisce al contratto e non già a un atto unilaterale come la quietanza, mentre il divieto di cui all'art. 2726 c.c., riferito al pagamento, riguarda i patti aggiunti, contrari o posteriori, volti a negare il debito estinto con il pagamento, ma non impedisce la prova di ulteriori debiti. Quanto, poi, al presunto disconoscimento da parte del G (il quale, peraltro, non aveva prestato l'interrogatorio formale deferitogli, inducendo il Tribunale ad applicare il disposto dell'art. 232 c.p.c.), la sentenza impugnata fa riferimento alla pronuncia di primo grado, la quale aveva ritenuto che la quietanza e l'assegno non fossero stati disconosciuti in modo formale. 2.3. - A fronte di tali dati, le contestazioni della ricorrente risultano, ancora una volta, prospettare tesi di parte, quale quella della prova del contratto stipulato tra Italbonifiche e L, che nulla ha a che vedere con l'ammissibilità della prova testimoniale con riferimento a un atto unilaterale quale la quietanza. 3. - Con il terzo motivo, la ricorrente deduce l'«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, dunque, vulnerazione dell'art. 360, n. 5 c.p.c. in relazione alle risultanze probatorie che escludevano la prova della consegna del denaro e la tipologia del contratto intervenuto», in quanto nella sentenza impugnata si sarebbe omesso l'esame degli elementi da cui emergeva l'assenza di prova della consegna del denaro. Per la ricorrente dalla testimonianza del Sigona non risulta la quantità di denaro pagato e quindi non può essere provato il pagamento. Né risulta chiaro se il lavoro dovesse essere pagato a ore o a corpo. Le dichiarazioni del teste Modica, dipendente della resistente, erano difficilmente credibili, in quanto il L avrebbe consegnato una parte del denaro in contanti non appena incontrò il G e, alla domanda se fosse vero che il Lki avesse consegnato 10 milioni di lire al G, il teste affermava che fosse vero, che era presente e aveva visto il G che aveva firmato. Non si parlava nemmeno della consegna del denaro, per cui il pagamento non poteva considerarsi provato. Solo nel capitolo successivo il teste ricordava di avere dimenticato qualcosa e, a proposito di altra domanda su cui affermava di nulla sapere, specificava che erano stati consegnati dieci milioni di lire. 3.1. - Il motivo è inammissibile. 3.2. - L'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (nella nuova formulazione adottata dal d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla I legge n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 20 agosto 2013) consente (Cass. n. 8053 e n. 8054 del 2014) di denunciare in cassazione - oltre all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione - solo il vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). 3.3. - Nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente avrebbe, dunque, dovuto specificamente e contestualmente indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività" (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Orbene, nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter accedere all'esame del parametro di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c., non risulta la necessaria specificazione. Sicché, le censure mosse in riferimento a detto parametro si risolvono, in buona sostanza, nella ulteriore richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una rivalutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), inammissibile seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dal ricorrente. 4. - Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1189 e 1393 c.c. e, dunque, dell'art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione all'infondatezza dell'assunto per cui il G fosse suscettibile di qualificazione come amministratore apparente», poiché, nell'ipotesi di pagamento al creditore apparente è determinante che il solvens provi la sua buona fede. La giurisprudenza di legittimità afferma che tale forma di pagamento libera il debitore in buona fede a condizione che questo fornisca la prova non solo di avere confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma che il proprio erroneo convincimento sia stato determinato da un comportamento colposo del creditore che abbia fatto sorgere nel solvens una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell'accipiens. Di fronte a una contrattazione che prospetta un contratto in cui il terzo dovrebbe pagare in contanti senza fattura a un soggetto che si qualifica come rappresentante, una visura camerale che indichi l'esistenza dei poteri sarebbe un atto dovuto. 4.1. - Il motivo è inammissibile. 4.2. - La ricorrente impugna la sentenza in quanto avrebbe erroneamente qualificato il G come amministratore apparente della società ricorrente. Anche tale censura riguarda il la dimensione meramente fattuale.4.3. - E', infati, consolidato il principio secondo cui l'apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare [come nella specie la Corte ha fatto] le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018;Cass. n. 5939 del 2018;Cass.n. 16056 del 2016;Cass. n. 15927 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il "peso probatorio" di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014;Cass. n. 16716 del 2013;Cass. n. 1554 del 2004). Ed è altresì pacifico che il difetto di motivazione censurabile r-Ì in sede di legittimità è configurabile [cosa che nella specie non è dato ravvisare] solo quando dall'esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l'obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014). 4.4. - Invero, la Corte d'Appello ha richiamato la condivisa motivazione del Tribunale, elencando alcuni dati che suffragano la tesi del ruolo di rappresentante di Italbonifiche rivestito dal G (effettuazione del lavoro da parte di Italbonifiche;conferme testimoniali dei testi Sigona e Modica sulla conclusione del contratto di subappalto, intervenuto tra il G e il L;la partecipazione del G alle trattative e l'interessamento continuo dello stesso al cantiere durante i lavori;la tacita ratifica del contratto di subappalto da parte della Italbonifiche, anche ammesso che lo stesso fosse stato concluso da un falsus procurator). 5. - Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la «Violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost. e degli artt.116 c.p.c., 252, 253, 254 c.p.c. e, dunque, dell'art. 360, n. 3 c.p.c. in relazione all'inattendibilità dei testi», riportandosi a quanto già dedotto circa l'inattendibilità di due testimoni, dalle cui dichiarazioni non sarebbe possibile trarre né prove né presunzioni, sia a favore della stipula del contratto, sia della consegna del denaro, evidenziando che la Corte d'Appello avrebbe errato nel non approfondire con domande specifiche;nel non disporre il confronto;per imprudenza nell'apprezzamento;e nell'omettere di addivenire a una pronuncia secondo diritto. 5.1. - Il motivo è inammissibile. 5.2. - Valgono le considerazioni svolte sub 4.3., circa il fatto che sono riservate al Giudice del merito tanto l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, quanto il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 1359 del 2014;Cass. n. 16716 del 2013;Cass. n. 1554 del 2004);nonché quelle svolte sub 1.5. in ordine alla impropria sollecitazione ad effettuare da parte di questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito. 6. - Con il sesto motivo, la ricorrente eccepisce la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1188 e/o 1189, 1345, 1387, 1391, 1393 c.c. in relazione all'errata qualificazione dell'eventuale pagamento effettuato come liberatorio e, dunque, dell'art. 360, n. 3 c.p.c.». La ricorrente ritiene che l'eventuale pagamento non potesse comunque essere liberatorio per assenza di ratifica del creditore e per la mancanza di prova della buona fede del debitore, nonché per il fatto che il terzo non avesse preteso dal rappresentante la giustificazione dei suoi poteri e, se la rappresentanza fosse risultata da atto scritto, non gliene avesse data una copia. 6.1. - Il motivo non è ammissibile. 6.2. - Nuovamente il motivo riguarda il merito della controversia. Rispetto al quale va ribadito che l'apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare [come nella specie la Corte ha fatto] le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018;Cass. n. 5939 del 2018;Cass. n. 16056 del 2016;Cass. n. 15927 del 2016). 7. - Con il settimo motivo, la ricorrente lamenta l'«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, dunque, violazione dell'art. 360, n. 5 c.p.c., in relazione al mancato esame in merito alla consapevolezza del contenuto del contratto in capo alla parte legittimata alla ratifica», in quanto la Corte di merito, riportandosi ai presupposti individuati dal Tribunale, ha ritenuto, tra l'altro, che ci fosse stata la tacita ratifica del contratto di subappalto da parte della Italbonifiche, anche ammesso che lo stesso fosse stato concluso da un falsus procurator. Afferma la ricorrente che il Giudice di secondo grado, nel valutare l'eventuale ratifica del contratto, aveva omesso di indagare una circostanza determinante e cioè la consapevolezza del contratto in capo al rappresentato. Invece, la Italbonifiche non era consapevole del contratto posto in essere dal rappresentante, per cui non poteva ratificare il contratto. 7.1. - Il motivo è inammissibile. 7.2. - Valgono le medesime considerazioni svolte sub 3.2. e 3.3. circa la non rispondenza della formulazione e proposizione della censura rispetto al paradigma dettato dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (applicabile ratione temporis);risolvendosi detta censura, in buona sostanza, nella ulteriore richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una rivalutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), inammissibile seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dal ricorrente. 8. - Con l'ottavo motivo, la ricorrente deduce la «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 215 e 216 c.p.c. e, dunque, dell'art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione all'erroneo rilievo dell'ammissibilità dei documenti disconosciuti e non sottoposti a verificazione». La parte rileva che il G, a pag. 10 della comparsa di risposta, aveva disconosciuto i documenti sia quanto a conformità delle copie agli originali, sia con riferimento al contenuto degli stessi. Nell'udienza del 30.11.2004, il difensore della società resistente esibiva gli originali della ricevuta di £ 10.000.000 sottoscritta dal G e l'originale della matrice dell'assegno di £ 5.000.000. Il difensore della Italbonifiche rilevava che i documenti dovessero essere prodotti in originale, contestando la fotocopia dell'assegno, che non aveva relazione con alcuna delle parti del giudizio, evidenziando che sul titolo vi fossero due grafie sovrapposte. 8.1. - Il motivo è inammissibile. 8.2. - Viene contestata la decisione della Corte di merito, che ha ritenuto sufficiente l'esibizione senza la produzione e ne ha dedotto la veridicità considerando le produzioni disconosciute <, come un principio di prova scritta, tale da giustificare l'ammissione di testi e l'utilizzo di presunzioni.La Corte di merito ha offerto ampia e motivata spiegazione (come tale esente dal controllo di legittimità) di come sia stato raggiunto il convincimento dell'avvenuto pagamento del compenso da parte della società resistente e della mancanza di disconoscimento formale dei documenti prodotti dalla difesa della resistente in sede di richieste istruttorie di primo grado (quietanza firmata dal G e assegno). La Corte ha evidenziato, altresì, che l'eccezione di Italbonifiche, di inammissibilità della prova del pagamento del compenso, fornita dalla resistente, non sia mai stata formulata in primo grado e che la stessa attrice aveva dedotto prove testimoniali volte a smentire l'assunto avversario. 9. - Con il nono motivo, la ricorrente lamenta l'«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, dunque, dell'art. 360, n. 5 c.p.c., in relazione al mancato riscontro degli elementi volti a provare la tipologia di accordo qualificabile come ad ore». L'omesso esame avrebbe riguardato la teste di parte attrice Sandra Ghirelli che aveva dichiarato come fosse vero che il compenso dovesse essere determinato a ore, in quanto i loro lavori erano pagati sulla base del tariffario orario per l'impiego di operai e attrezzatura. Nonostante la medesima non fosse presente i t -) all'accordo, il G le aveva detto di fare i calcoli in quel modo. Tale circostanza era ribadita dalla teste L Z, moglie del G e socia della Italbonifiche. 9.1. - Il motivo è inammissibile. 9.2. - Ancora una volta, la doglianza riferita alla violazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. non rispettandone i presupposti di rituale formulazione [v. sub 3.2. e 3.3.], non consentendo l'esame della proposta censura. 10. - Con il decimo motivo, la ricorrente lamenta la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1345 c.c. e/o artt. 1173, 1174, 1175 c.c., in relazione all'art. 1389 c.c. e, dunque, dell'art. 360, n. 3 c.p.c., in relazione all'impossibilità del rappresentante di concludere un contratto vietato al rappresentato per illiceità della causa e per motivo illecito comune», poiché quando la resistente afferma di avere pagato in nero il G espone dei motivi che, di per sé, comportano la violazione degli artt. 1418 c.c. (violazione di norme imperative, ordine pubblico e buon costume), 1345 c.c.(motivo illecito comune) e art. 1389 c.c. (contratto vietato al rappresentato). La conseguenza è la nullità del contratto. 10.1. - Il motivo è inammissibile. 10.2. - Ancora una volta la ricorrente, in tal modo formulando il motivo, sostanzialmente, rimette al giudice di legittimità la contestata valutazione circa la nullità o meno del contratto, stante l'impossibilità per il rappresentante di concludere un contratto vietato al rappresentato per illiceità della causa o del motivo comune. Ma tale valutazione, implicante apprezzamenti di fatto del corredo probatorio acquisito da parte del giudice di merito, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018;Cass. n. 5939 del 2018;Cass. n. 16056 del 2016;Cass. n. 15927 del 2016);sicché tale valutazione, ove [come nella specie] congruamente e logicamente motivata, si sottrae al sindacato di legittimità per le ragioni sopra espresse [v. sub 1.5.]. 11. - Con l'undicesimo motivo, la ricorrente denuncia la «Violazione o falsa interpretazione dell'art. 1418 c.c. e, dunque, dell'art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. in relazione alla asserita fornitura di gasolio», evidenziando che le testimonianze sulla fornitura di gasolio fossero inammissibili oltre che inattendibili. Per di più il gasolio non si poteva vendere senza un'autorizzazione, che alla resistente mancava. Un siffatto contratto di vendita sarebbe affetto da nullità ex art. 1418 c.c. in quanto contrario a norme imperative. 11.1. - Il motivo è inammissibile. 11.2. - Ciò, per le medesime argomentazioni svolte riguardo al precedente motivo sub 10, cui si fa integrale riferimento, alle quali va aggiunta la considerazione della apoditticità (in assenza di altri elementi) dell'assunto della ricorrente circa la inammissibilità ed inattendibilità delle testimonianze rese in oridine alla fornitura di gasolio. 12. - Con il dodicesimo motivo, la ricorrente deduce l'«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dunque, dell'art. 360, n. 5 c.p.c. in relazione all'asserita fornitura di gasolio», in quanto la circostanza della fornitura di gasolio non sarebbe provata, data l'inattendibilità dei testi. 12.1. - Il motivo è inammissibile. 12.2. - Valgono le stesse considerazioni svolte sub 9.2., cui si aggiunge apoditticità (in assenza di altri elementi) dell'assunto della ricorrente circa la inattendibilità dei testi [v. sub 11.2.]. 13. - Con il tredicesimo motivo, la ricorrente deduce l'«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dunque, dell'art. 360 n.5 c.p.c., in relazione alla presunzione semplice del costo preventivato da L al Condominio che doveva essere superiore al costo del subappalto», sottolineando che nell'ottica dell'appaltatore principale va interpretato il contratto nella sua totalità e non le semplici singole attività che l'appaltatore può subappaltare. Sicché, alcune operazioni appaltate possono rappresentare un puro costo, che si potrà recuperare dal plusvalore derivante da altre attività incluse nel contratto d'appalto che appaiono più lucrative. Peraltro, se, come in questo caso, la società resistente non aveva gli strumenti per effettuare il lavoro, avrà stabilito con il Condominio il corrispettivo per quella certa attività, che avrebbe subappaltato, indicando dei prezzi inferiori rispetto a quelli poi richiesti dallo specialista. 13.1. - Il motivo è inammissibile. 13.2. - In primo luogo, va rilevato che il motivo soffre dei mededimi profili di inammissibilità evidenziati con riferimento innanzitutto, tra gli altri, al terzo motivo [v. sub 3], cui si fa rinvio. Inoltre, va sottolineato che le censure mosse in riferimento a detto parametro si risolvono, anche nel presente motivo, in buona sostanza, nella ulteriore inammissibile richiesta, sulla base peraltro di mere congetture, al giudice di legittimità di una rivalutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018).14. - Con il quattordicesimo motivo, la ricorrente lamenta la «Violazione o falsa interpretazione degli artt. 113, 116 c.p.c. in relazione all'art. 2710 c.c. e , dunque, dell'art. 360 n. 3 c.p.c, in relazione alla prova del lavoro svolto e alla mancata contestazione della fattura», giacché, in assenza di contestazione dei lavori svolti e della fattura emessa, doveva applicarsi l'art.2710 c.c., per cui le scritture contabili costituiscono prova tra gli imprenditori per i rapporti inerenti l'esercizio dell'impresa. 14.1. - Il motivo è inammissibile. 14.2. - Il motivo appare privo del necessario requisito della specificità, imposto dall'art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c.. Come sopra esaminato [sub 1.21, tale requisito richiede che i motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass.n. 14784 del 2015;Cass. n. 13377 del 2015;Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l'altro, l'esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016;Cass. n. 22254 del 2015). Ma, anche in questo caso, il motivo si connota essenzialmente della della assertiva affermazione che il credito azionato, unitamente alla circostanza che il lavoro svolto non era stato contestato, avrebbe dovuto essere accertato e la pretesa non potesse non essere accolta. 15. - Il ricorso è, pertanto, inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
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