Cass. pen., sez. IV, sentenza 01/02/2023, n. 04191
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CO NN nato a [...] il [...] avverso l'ordinanza del 11/11/2021 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIAudita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;
lette/sentite le conclusioni del PG Le. C-WLISj '1;
ot.ck 1.4Gono
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Reggio Calabria ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da UL ZI, sottoposta a misura cautelare in carcere in data 30/05/2012, perché accusata del reato di associazione mafiosa, rimanendo detenuta sino al 29/07/2015, quando veniva assolta dalla Corte di appello, con sentenza divenuta definitiva il 16/02/2017. 1.2. La UL, in particolare, era accusata di aver fatto da latrice di messaggi provenienti dal fratello detenuto e diretti agli altri associati all'esterno. Gli elementi a carico della stessa derivavano dai colloqui carcerari che la donna intratteneva con il congiunto, nei quali discuteva espressamente di proventi estorsivi, del "rango" mafioso del fratello e di argomenti simili.
1.3. Nel giudizio di cognizione, la Corte di appello - pur avendo dato conto che non vi era alcun dubbio che l'odierna ricorrente e la madre avessero manifestato, nei colloqui con il congiunto detenuto, la propria convinta adesione morale ai valori della 'ndrangheta (apparendo, invece, di estrema chiarezza il rimprovero dalle stesse mosso al fratello/figlio per non aver osservato le modalità di comportamento inequivocabilmente illecite attraverso il paragone con le figure del padre e dello zio) - ha ritenuto che, per affermare la colpevolezza in ordine ad una contestazione associativa occorre accertare non soltanto l'adesione psicologica alle finalità della consorteria ma anche una concreta messa a disposizione in favore del sodalizio medesimo, condizione che, nel caso di specie, non appariva essersi realizzata, giacché tutte le condotte di , cui le due donne si erano rese responsabili nella presente vicenda erano essenzialmente finalizzate a proteggere e ad avvantaggiare non l'intero sodalizio, di cui faceva parte il congiunto in quel momento detenuto, ma i soli interessi patrimoniali e giudiziari di quest'ultimo. La Corte di merito, peraltro, aveva trasmesso gli atti al Pubblico ministero, avendo ritenuto sussistente la fattispecie di cui all'art. 379 cod. pen., con riferimento alla condotta di raccolta di denaro, attuata dall'odierna ricorrente in favore del congiunto detenuto, denaro che era frutto delle corresponsioni illecite delle vittime delle estorsioni e che costituiva, per UL PP, il corrispettivo della sua partecipazione all'associazione.
2. Avverso l'ordinanza di rigetto ricorre il difensore dell'istante che, con un unico motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, 314, comma 1, 646 e 192 cod. proc. pen. Il provvedimento sarebbe sguarnito di un adeguato percorso motivazionale, essendosi limitato a riportate la decisione di condanna di primo grado ed elementi di fatti smentiti dagli accertamenti processuali. Nel provvedimento impugnato mancherebbe l'esplicitazione dell'iter