Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/03/2010, n. 6538

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L'obbligazione restitutoria conseguente alla dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell'art. 64 della legge fall., di un pagamento eseguito dal fallito nel "periodo sospetto", ha natura di debito di valuta e non di valore, atteso che l'atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito; ne consegue che: a) gli interessi sulla somma da restituirsi da parte del soccombente decorrono dalla data della domanda giudiziale; b) il risarcimento del maggior danno conseguente al ritardo con cui sia stata restituita la somma di denaro oggetto della domanda spetta solo ove l'attore alleghi specificamente tale danno e dimostri di averlo subito; c) gli interessi possono attribuirsi solo su espressa domanda di parte, la quale non può essere avanzata, per la prima volta, in comparsa conclusionale, non essendo, in tal caso, ipotizzabile un'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte, consentita soltanto fino al momento della rimessione della causa al collegio per la discussione.

Nell'adempimento del debito altrui da parte del terzo, mancando nello schema causale tipico la controprestazione in favore del disponente, si presume che l'atto sia stato compiuto gratuitamente, pagando il terzo, per definizione, un debito non proprio e non prevedendo la struttura del negozio nessuna controprestazione in suo favore: pertanto, nel giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di tale atto, ai sensi dell'art. 64 della legge fall., incombe al creditore beneficiario l'onere di provare, con ogni mezzo previsto dall'ordinamento, che il disponente abbia ricevuto un vantaggio in seguito all'atto che ha posto in essere, in quanto questo perseguiva un suo interesse economicamente apprezzabile.

In tema di dichiarazione di inefficacia degli atti a titolo gratuito, ai sensi dell'art. 64 legge fall., la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato, e non può quindi fondarsi sull'esistenza, o meno, di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma dipende necessariamente dall'apprezzamento dell'interesse sotteso all'intera operazione da parte del "solvens", quale emerge dall'entità dell'attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento, collegato o meno ad un sia pur indiretto guadagno ovvero ad un risparmio di spesa. Pertanto, nell'ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi fallito, di un'obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l'atto solutorio può dirsi gratuito, ai predetti effetti solo quando dall'operazione - sia essa a struttura semplice perché esaurita in un unico atto, sia a struttura complessa, in quanto si componga di un collegamento di atti e di negozi - il terzo non tragga nessun concreto vantaggio patrimoniale, avendo egli inteso così recare un vantaggio al debitore; mentre la causa concreta deve considerarsi onerosa tutte le volte che il terzo riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, così da recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio, cui l'ordinamento pone rimedio con l'inefficacia "ex lege".

La costituzione di parte civile del curatore fallimentare nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta a carico del fallito (nella specie, a carico degli amministratori della società fallita) non determina l'estinzione del giudizio civile precedentemente introdotto ai sensi dell'art. 64 della legge fall., né la sospensione di quello introdotto successivamente, neppure nel caso in cui il curatore sia stato autorizzato ad estendere la domanda risarcitoria, fondata sui medesimi fatti, al terzo convenuto nel giudizio civile, in qualità di responsabile civile, in quanto si tratta di domande diverse ed, anzi, aventi "causae petendi" opposte, dato che la domanda risarcitoria si fonda su di un fatto illecito-reato e l'altra riguarda un atto lecito, che può essere dichiarato inefficacie anche qualora al disponente ed al beneficiario non si possa rimproverare alcunché; inoltre, il "petitum" dell'azione risarcitoria è rivolto a conseguire la reintegrazione del patrimonio del soggetto depauperato dall'illecito mediante la corresponsione dell'equivalente pecuniario del pregiudizio subito, mentre, nella fattispecie di cui all'art. 64 della legge fall., l'azione ha per oggetto la sanzione di inefficacia del pagamento eseguito dal "solvens" e la restituzione della somma pagata assume carattere strumentale al fine della ricostituzione della massa fallimentare nella consistenza originaria.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/03/2010, n. 6538
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 6538
Data del deposito : 18 marzo 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. E A - Presidente di Sezione -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. S S - rel. Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. T S - Consigliere -
Dott. S M B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 451/2006 proposto da:
B ME DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., aderente al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, Capogruppo del Gruppo Bancario M.P.S. (00884060526), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II

32 6, presso lo studio dell'avvocato S R, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato N G, per procura in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA FRATELLI STATTI S.R.L.;

- intimata -
sul ricorso 8011/2006 proposto da:
CURATELA DEL FALLIMENTO STATTI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TEODORO MONTICELLI

12, presso lo studio legale PILEGGI - MATERA, rappresentata e difesa dall'avvocato ROPERTO MICHELE, per delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
B ME DEI PASCHI DI SIENA S.P.A.;

- intimata -
avverso la sentenza n. 570/2004 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 08/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/02/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

uditi gli avvocati Claudio SCOGNAMIGLIO per delega dell'avvocato Renato Scognamiglio, Michele ROPERTO;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.

IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. Il Tribunale di Lamezia Terme con sentenza dell'8 febbraio 2002,in accoglimento della richiesta del Fallimento della s.r.l. Statti, dichiarava inefficace il pagamento della somma di L. 2 miliardi, - ricevuta a titolo di mutuo dalla Isveimer - mediante 7 assegni bancari emessi dal legale rappresentante di detta società su di un conto corrente presso la Banca popolare di Nicastro (poi incorporata dalla Banca Monte dei Paschi di Siena) al fine di estinguere i debiti dei soci della SATTI nei confronti di detto istituto di credito. Condannava l'Istituto di credito alla restituzione della somma di L. 2.136.000.000, oltre agli interessi legali.
L'impugnazione di quest'ultima Banca è stata accolta in parte dalla Corte di appello di Catanzaro che, con sentenza dell'8 novembre 2006 ha dichiarato inammissibile la domanda della Curatela rivolta al pagamento degli interessi legali perché tardivamente formulata nella comparsa conclusionale;
ha confermato nel resto la decisione di primo grado osservando (per quanto qui interessa): a) che la domanda della Curatela, costituita parte civile nel procedimento penale instaurato per bancarotta fraudolenta nei confronti di S R, Pivetta Luciano e Cesare Silvio Ventura, era procedibile per essere diversi i presupposti dell'azione revocatoria rispetto alla richiesta risarcitoria avanzata nel giudizio penale;
b)che l'azione intrapresa dal Fallimento andava ricondotta nell'ambito di applicazione della L. Fall., art. 64, in quanto gli assegni erano stati emessi dall'amministratore unico della società poi fallita, R S e da questi fatti transitare su altro conto corrente afferente al c.d. Gruppo Statti al fine di estinguere i debiti di costoro, perciò da considerarsi terzi, nei confronti della Banca popolare;
ed era fondata anche ove gli assegni fossero stati emessi in favore di S R in proprio e da questi utilizzati per ripianare la propria posizione debitoria. Per la cassazione della sentenza la s.p.a. Banca Monte Paschi ha proposto ricorso per 3 motivi;
cui resiste la Curatela del Fallimento con controricorso recante ricorso incidentale per due motivi. Questa Corte, con ordinanza 21 maggio 2009 n. 11822, ha rilevato la sussistenza di un contrasto sulla qualificazione quale atto a titolo gratuito ovvero oneroso del pagamento eseguito dal terzo ai sensi dell'art. 1180 c.c., per cui la controversia è stata rimessa alle Sezioni Unite per la sua composizione. Le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE


2. I ricorsi vanno,anzitutto riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., perché proposti contro la medesima sentenza.
Con il primo motivo di quello principale, la Monte Paschi, deducendo violazione dell'art. 75 c.p.p., e art. 295 c.p.c., nonché difetto di motivazione censura la sentenza impugnata: a) per non avere dichiarato estinta per rinuncia l'azione civile malgrado in data 23 ottobre 1987 il Fallimento avesse esteso la propria costituzione civile nel procedimento penale contro la Statti anche nei confronti della Banca popolare;
b) per non avere sospeso il giudizio in attesa della definizione di quello penale in quanto entrambi vertenti sullo stesso fatto illecito costituito dalla condotta distruttiva della somma di L. 2 miliardi.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha accertato, e le parti confermato che la Curatela del fallimento: a) in data 19 novembre 1986 si è costituita parte civile nel procedimento penale a carico di S R, allora amministratore della società, nonché di Pivetta Luciano e Cesare Silvio Ventura, rispettivamente direttore e presidente della Banca popolare di Nicastro, ora incorporata nella Banca ricorrente;
b) con citazione del 28 luglio 1987 ha iniziato il presente giudizio nei confronti della sola Banca, da entrambi i giudici di merito qualificato "azione revocatoria L. Fall., ex art.64";
c) ottenuta l'autorizzazione dal giudice penale ha esteso la
costituzione di parte civile anche nei confronti della Banca popolare con atto del 23 ottobre 1987.
Ora, dalla disciplina del codice di procedura penale si ricava che il nostro ordinamento non è più ispirato al principio dell'unità della giurisdizione, ma a quello dell'autonomia di ciascun processo e della piena cognizione da parte di ciascun giudice, dell'uno e dell'altro ramo, delle questioni giuridiche o di accertamento dei fatti rilevanti ai fini della propria decisione;e quindi alla regola della completa autonomia e separazione del giudizio civile anche da quello penale pregiudiziale, non offrendo l'ordinamento altro mezzo preventivo di coordinamento dei due giudizi all'infuori di quello previsto dall'art. 75 c.p.p., relativamente ai giudizi risarcitori e restitutori;
con il duplice corollario della prosecuzione parallela del giudizio civile e del giudizio penale, senza alcuna possibilità di influenza del secondo sul primo, e dell'obbligo del giudice civile di accertare in modo autonomo i fatti e la responsabilità (cfr. Cass. 14.3.2002, n. 3753). Questa disposizione disciplina nel comma 1, che riproduce sostanzialmente l'art. 24 del codice previgente, l'ipotesi in cui l'azione civile è proposta prima della costituzione di parte civile e, nel comma 3, quella in cui è proposta dopo: nella prima ipotesi prevede la facoltà di trasferire l'azione civile in sede penale con il corollario che l'esercizio della facoltà comporta, in deroga al principio regolatore della litispendenza - cioè quello della prevenzione - rinuncia "ex lege" agli atti del giudizio civile a preservazione dell'esigenza che non restino pendenti due giudizi identici;
sicché il giudice civile deve anche d'ufficio dichiarare l'estinzione del processo, senza che sia necessaria l'accettazione della parte (Cass. 317/2009). Mentre alla seconda ipotesi, ravvisata come eccezione in casi particolari,collega la sospensione necessaria del giudizio civile, considerando quindi quale regola generale non più la sospensione suddetta per la pendenza di quello penale, bensì la separazione dei due giudizi e l'autonoma prosecuzione di essi (Cass. 6185/2009;
13544/2006;
3753/2002
). Per l'applicazione dell'una o dell'altra disposizione,è tuttavia necessario che tra le due azioni vi sia identità di oggetto (eadem res) oltre che di soggetti;

che l'identità suddetta venga accertata non in base alla loro funzione ultima,ovvero al risultato concreto che l'attore intendeva trarre,bensì esclusivamente alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni: persone, petitum, causa petendi. Nel caso in esame, invece il giudice di merito ha accertato che le due azioni si fondano su presupposti diversi e perseguono finalità egualmente differenti. E le Sezioni Unite devono aggiungere che la loro causa petendi è addirittura opposta in quanto quella dell'azione risarcitoria è necessariamente fondata su di un fatto illecito - reato, nel caso ravvisato nella bancarotta fraudolenta di cui si è detto;
mentre in tutte le ipotesi contemplate dalla L. Fall., artt. 64 e 67, l'atto contro cui l'azione è indirizzata è lecito, valido ed efficace, e perde effetto - anche se al disponente ed al beneficiario non si possa rimproverare alcunché - solo a seguito della pronuncia di revoca. Egualmente diverso è il petitura delle due azioni, che in quella risarcitoria è rivolto a conseguire la reintegrazione del patrimonio del soggetto depauperato dall'illecito mediante la corresponsione dell'equivalente pecuniario o tantundem del pregiudizio subito;
mentre nella fattispecie di cui alla L. Fall., art. 64, ha per oggetto la sanzione di inefficacia del pagamento eseguito dal solvens (Cass. 1831/2001;
6929/1983
;

3854/1980) e la restituzione della somma pagata assume carattere strumentale al fine della ricostituzione della massa fallimentare nella consistenza originaria.
A maggior ragione non è poi censurabile la sentenza impugnata per aver escluso la sospensione del presente giudizio ex art. 75 c.p.c., comma 3, in quanto proposto dopo che la stessa Curatela si era
costituita parte civile nei confronti dello Statti e dei coimputati (19 novembre 1986): difettandone anche il presupposto logico- giuridico dell'identità soggettiva tra i due procedimenti dato che quello in esame è rivolto esclusivamente nei confronti della Banca.

3. Con il secondo motivo, l'Istituto di credito, deducendo violazione della L. Fall., art. 64, anche in relazione all'art. 112 c.p.c., nonché carenza e contraddittorietà di motivazione su di un punto decisivo della controversia,censura la sentenza impugnata per non essersi avveduta che la Curatela aveva prospettato in primo grado un'azione di impugnativa di negozi per frode ai creditori con richiesta di annullamento di vari negozi;
che esso ente con l'atto di impugnazione aveva rilevato l'erronea qualificazione dell'azione da parte del Tribunale;
e che la Corte di appello si era limitata ad esporre una motivazione per relationem alla sentenza di primo grado ed a giudicare erroneamente corretta la qualificazione della domanda come azione L. Fall., ex art. 64. Questo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Costituiscono principi del tutto pacifici nella giurisprudenza di legittimità: a) che il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione, sussiste allorché essa sia priva dell'esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione;
b) che la motivazione della sentenza di appello "per relationem" alla sentenza pronunciata in primo grado è legittima purché il giudice d'appello,facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Nel caso, la sentenza impugnata ha anzitutto esposto dettagliatamente i fatti di causa,evidenziando in particolare il mutuo contratto dalla soc. F.lli Statti con l'ISVEIMER, e la successiva apertura di uno speciale conto corrente presso la Banca popolare per il deposito della relativa somma (e solo di essa);
i 7 assegni per un totale di L. 2 miliardi tratti nello stesso giorno dell'accreditamento sul conto suddetto ed asseritamente emessi a favore di R S in proprio e portati a scomputo dei debiti dei fratelli Statti nei confronti della stessa Banca;
ed infine la chiusura immediatamente successiva del suddetto conto corrente senza che sullo stesso venissero effettuate ulteriori operazioni.
Ne ha tratto il convincimento che l'intero rapporto e le operazioni che aveva comportato rientrano nell'ambito di applicazione della fattispecie di cui alla L. Fall., art. 64;
e tale particolare disamina sia del provvedimento appellato,che delle censure proposte contro di esso,peraltro condotta avvertendo che la qualificazione dell'azione da parte di entrambi i giudici di merito doveva necessariamente adeguarsi al principio espresso dall'art. 112 c.p.c., della corrispondenza della pronuncia alla richiesta del Fallimento, è già sufficiente ad esaurire l'obbligo di motivazione gravante sulla sentenza impugnata,nonché ad escludere il vizio di mera acritica adesione alla decisione di primo grado prospettato dalla Banca ricorrente.

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