Cass. pen., sez. III, sentenza 02/03/2021, n. 08220

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 02/03/2021, n. 08220
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 08220
Data del deposito : 2 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. D F E, nato a Torino il 12/03/1958 2. P B, nato a Torino il 09/09/1957 avverso la sentenza in data 22/10/2018 della Corte d'appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere A C;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale F B, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti;
udito, per le parti civili "I.T.T. Italia s.r.l." e "Immobiliare Joie di M T & C. s.n.c.", l'avvocato S R, in sostituzione degli avvocati G G, difensore di "I.T.T. Italia s.r.l.", e S C, difensore di "Immobiliare Joie di M T & C. s.n.c.", che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito, per il ricorrente D F, l'avvocato A M, che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 22 ottobre 2018, la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di Emanuele D F e B P per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all'art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006 (ora art. 452- quaterdecies cod. pen.), ed ha rideterminato le pene, rispettivamente, in due anni di reclusione e in un anno e due mesi di reclusione. Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, nel periodo compreso tra il 4 gennaio 2010 e il 2 novembre 2011, in particolare: a) Emanuele D F, nella qualità di amministratore unico della ditta di trasporti R.D. s.r.I., nonché, fino al 28 ottobre 2010, di amministratore della D F E s.r.I., attraverso l'allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, poneva a disposizione le strutture e gli impianti delle sue imprese, trasportava, riceveva e non avviava a recupero una ingente quantità di rifiuti non pericolosi (nel solo sito di Borgaro Torinese pari a 2.727.030 kg.), omettendo di destinarli alle attività per le quali gli erano stati conferiti;
b) B P gestiva una ingente quantità di rifiuti non pericolosi, per un totale non inferiore a 406.000 kg., abbandonandoli in un capannone nella sua disponibilità in Saliceto, in assenza di qualsiasi autorizzazione.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe B P, con atto a firma dell'avvocato Francesco Bosco, ed Emanuele D F, con atto a firma dell'avvocato A M. Emanuele D F ha anche presentato motivi nuovi.

3. Il ricorso di B P è articolato in un solo motivo, con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 110 cod. pen. e 256 e 260 d.lgs. n. 152 del 2006, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla qualificazione del fatto come delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, invece che come contravvenzione di attività di gestione di rifiuti non autorizzata. Si deduce che, nella specie, difettano gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto il profilo soggettivo. Si osserva, quanto all'elemento oggettivo, che non risulta l'allestimento di mezzi e di attività continuative organizzate, sia perché non può essere ritenuto sufficiente a tal fine il capannone dove erano stati sistemati i rifiuti, sia perché non vi è prova di accordi con i coimputati, ma solo di un contatto, non stabile, né continuativo, con P N. Si rileva, quanto all'elemento soggettivo, che non ricorre il dolo specifico, in quanto il ricorrente si era comunque attivato per ottenere le autorizzazioni necessarie per la gestione dei rifiuti, ed è del tutto inconferente attribuire rilievo ai suoi precedenti penali.

4. Il ricorso di Emanuele D F è articolato in tre motivi.

4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 238-bis cod. proc. pen. e 111, quarto comma, Cost., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta utilizzabilità della sentenza pronunciata nei confronti di P N come elemento a carico di Emanuele D F. Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ha addotto come elemento di prova dell'ingerenza di D F nelle attività della società R.I. s.r.l. la sentenza pronunciata a carico di P N. Si rappresenta che, di questa sentenza, si valorizzano in particolare gli apporti dichiarativi di P N, sebbene, nel processo a carico di D F, quest'ultimo, citato a norma dell'art. 210 cod. proc. pen., si è avvalso della facoltà di non rispondere, e le sue dichiarazioni rese in fase di indagini non sono state acquisite a norma degli artt. 512 o 513 cod. proc. pen. Si aggiunge, inoltre, che i contenuti probatori della sentenza a carico di N sono stati valorizzati senza nemmeno procedersi ad una valutazione congiunta degli altri elementi di prova, a norma dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., come invece necessario ex art. 238-bis cod. proc. pen.

4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006 (ora art. 452-quaterdecies cod. pen.), a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo specifico. Si deduce che erroneamente è stata ritenuta la sussistenza del profitto, posto che lo stesso è stato individuato, con riferimento all'attività di trasporto, nell'utile derivante dalla mera attività di impresa. Si osserva, in particolare, che: a) l'attività di trasporto è l'unica per la quale residuano elementi di prova a carico del ricorrente, una volta espunti i riferimenti alla sentenza pronunciata nei confronti di N;
b) i compensi pattuiti per questa attività erano corrispondenti ai valori di mercato per la tipologia di attività svolta;
c) la ditta R.D. s.r.l. disponeva delle autorizzazioni per il trasporto dei rifiuti indicati in contestazione.

4.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta colpevolezza dell'imputato ed alla affermazione di responsabilità civile nei il confronti della ditta ITT s.r.l. Si deduce, in primo luogo, che la dichiarazione di penale responsabilità poggia su affermazioni contraddittorie e contrastanti rispetto agli atti del processo. Si rileva che: a) l'affermazione della presenza di rifiuti eccedenti nel sito gestito dalla ditta di D F nel febbraio 2010, contrasta con tutte le risultanze processuali (in particolare: nota ARPA;
dichiarazione del teste Lorenzoni), posto che dalle stesse si evince la corretta gestione del sito al 27 settembre 2010;
b) l'affermazione circa la "probabile" destinazione dei rifiuti ammassati verso siti ulteriori è del tutto assertiva ed apodittica;
c) la valorizzazione delle conversazioni intercettate si scontra con l'assenza di contatti tra il ricorrente ed i coimputati;
d) l'affermazione della penale responsabilità di D F è in contrasto con quella relativa all'assoluzione dei coimputati G A e G P, posto che anche per il primo doveva essere valorizzata la regolarità dei documenti utilizzati e la mancata dimostrazione di un accordo criminoso. Si deduce, in secondo luogo, che erroneamente è stata ritenuta la legittimazione di ITT Italia s.r.l. a costituirsi parte civile, perché è stata fraintesa la deduzione difensiva, la quale aveva evidenziato come tale società, in quanto soggetto produttore dei rifiuti, aveva l'onere di verificare le autorizzazioni del destinatario dei rifiuti ex art. 188 d.lgs. n. 152 del 2006. 5. Il motivo nuovo di Emanuele D F denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo ancora alla ritenuta responsabilità penale dell'imputato. Si deduce che l'affermazione di responsabilità di D F in relazione alle condotte di ammasso di rifiuti contrasta con le conclusioni di altra sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Torino, la quale, con indicazione sul punto definitiva, ha rilevato che detto ricorrente non deve ritenersi coinvolto nelle vicende della società R.I. s.r.l. dopo le sue dimissioni del 29 ottobre 2010. Si osserva che la sopravvenienza di sentenza definitiva recante una ricostruzione dei fatti contrastante con quella accolta nella sentenza impugnata impone l'annullamento con rinvio di quest'ultima per consentire una verifica concernente la compatibilità tra le due decisioni (si cita Sez. 2, n. 19409 del 13/02/2019).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di Emanuele D F è infondato, mentre quello di B P è inammissibile, per le ragioni di seguito precisate.

2. Prive di specificità sono le censure esposte nel primo motivo del ricorso di Emanuele D F, e che contestano l'utilizzabilità come prova della sentenza pronunciata nel processo a carico di P N, nonché, in particolare, delle dichiarazioni rese in quel processo dal medesimo P N, deducendo che questi, nel presente processo, citato ex art. 210 cod. proc. pen., si è avvalso della facoltà di non rispondere.

2.1. Occorre premettere che non si intende in questa sede prendere le distanze dal principio, più volte affermato dalla Corte di cassazione, in forza del quale le sentenze divenute irrevocabili, acquisite ai sensi dell'art. 238-bis cod. proc. pen., costituiscono prova dei fatti considerati come eventi storici, mentre le dichiarazioni in esse riportate restano soggette al regime di utilizzabilità previsto dall'art. 238, comma 2-bis, cod. proc. pen., e possono quindi essere utilizzate, nel diverso procedimento, contro l'imputato soltanto se il suo difensore aveva partecipato all'assunzione della prova (cfr., per tutte, Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270384-01, e Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox, Rv. 264862-01). Invero, tale principio risulta pienamente coerente con quanto stabilisce l'art. 111, quarto comma, Cost., e, piuttosto, una diversa soluzione sembra incompatibile con la disposizione costituzionale appena citata. Tuttavia, va rilevato che, secondo un principio ampiamente consolidato in giurisprudenza, e condiviso dal Collegio, il giudice dell'impugnazione non è
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