Cass. pen., sez. VI, sentenza 29/01/2019, n. 04462

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 29/01/2019, n. 04462
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 04462
Data del deposito : 29 gennaio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da W A R M, nato negli U.S.A. il 19/04/1966 avverso la sentenza del 19/04/2017 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia C;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale P C, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito il difensore, avv. I G, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città, che aveva condannato A R M W per i reati di cui agli artt. 659 (capo A), 81, 651 e 337 (capo B), 582 e 585 (capo C) cod. pen. All'imputato era stato contestato di aver il 25 aprile 2012, prima disturbato di notte il riposo delle persone, cantando a squarciagola e tenendo alto il volume della radio della sua autovettura parcheggiata sulla pubblica via;
nonché di aver rifiutato di declinare le proprie generalità e di esibire i documenti ai carabinieri, intervenuti in seguito ad una segnalazione per i suddetti fatti, spintonandoli e ingaggiando con loro una colluttazione, mentre cercavano di contenerlo, e cagionando ai carabinieri intervenuti lesioni personali.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, disp. att. cod. proc. pen.

2.1. In relazione al capo di imputazione A), violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato cui all'art. 659 cod. pen. La Corte di appello avrebbe superato i rilievi difensivi (i finestrini dell'auto del ricorrente erano chiusi e difettava la prova del turbamento di un numero indeterminato di persone) con argomentazioni illogiche e giuridicamente irrilevanti. Il livello del rumore all'interno dell'auto per essere udito all'esterno doveva essere tale da risultare insopportabile per lo stesso ricorrente e il fatto che sia stato udito dagli agenti non integra di per sé il reato (in termini di pregiudizio per la pubblica tranquillità).

2.2. In relazione al capo di imputazione B) (art. 651 cod. pen.), violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato cui all'art. 651 cod. pen. La motivazione della sentenza impugnata avrebbe sorvolato su un dato dirimente, ovvero che il ricorrente non si era rifiutato sic et simpliciter di esibire i propri documenti, ma aveva chiesto sin dall'inizio ai militari di qualificarsi (il ricorrente, avvocato, si sarebbe spaventato ed intimorito temendo di essersi imbattuto in dei malintenzionati). La versione dell'imputato (ovvero di non essersi reso conto dell'auto di servizio) non era pretestuosa, come ritenuto dalla Corte di appello, ma era stata riscontrata dalla circostanza riferita dagli stessi operanti, che non avevano trovato indosso all'imputato le chiavi di casa (quindi, quando aveva spintonato gli agenti, non intendeva andare a casa, come dichiarato dai militari). In modo illogico, la Corte di appello poi avrebbe accertato che l'imputato si era reso conto della qualità degli interlocutori, a fronte dell'ostinato rifiuto dei militari ad esibire il loro distintivo (così violando il codice etico europeo di polizia) e della circostanza che l'auto di servizio, considerato anche il fatto che pioveva, non era visibile al ricorrente (non essendo dirimente la testimonianza dell'agente C, non presente ai fatti) e che i militari non vestivano la divisa ordinaria dei Carabinieri.

2.3. In relazione al capo di imputazione B) (art. 337 cod. pen.), violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato di resistenza a p.u. Difetterebbero gli elementi della fattispecie di cui all'art. 337 cod. pen., in quanto l'imputato, impaurito per gli agenti che lo avevano accerchiato non qualificandosi, si era limitato ad allontanarli;
quindi aveva agito non al fine di opporsi ad un atto del loro ufficio. La resistenza in ogni caso non era proseguita anche dopo l'arrivo della seconda pattuglia (come confermato dall'agente C).

2.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 393-bis e 59 cod. pen. Erroneamente sarebbe stata esclusa l'applicazione dell'art. 393-bis cod. pen. in quanto gli operanti non avevano agito adeguatamente e secondo etica, non qualificandosi, e comunque doveva essere riconosciuta la suddetta scriminante a titolo putativo.

2.5. In relazione al capo di imputazione C), violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di lesioni dolose (art. 582, 585, 61 e 43 cod. pen.;
590 cod. pen.). La Corte di appello, nel ritenere dolose le lesioni cagionate agli agenti G e A, non avrebbe fatto buon governo dei principi in tema di colpa e dolo e quindi delle norme sostanziali di cui agli artt. 43, 582 e 590 cod. pen. , oltre a travisare completamente e scomposto le deposizioni testimoniali. Non vi sarebbe un logico fondamento in ordine a quanto affermato dalla Corte di appello in ordine alla causa della caduta degli agenti, dovuta, come si legge nella sentenza impugnata, ad una "violenta e scomposta reazione" del ricorrente. Gli stessi agenti avrebbero sconfessato all'assunto, risultando che le lesioni dagli stessi riportate erano state accidentali o al più colpose (in tal senso deponevano la dichiarazione dell'agente A in ordine alla dinamica della caduta, le condizioni scivolose della strada e quanto dichiarato dall'agente G, in ordine al fatto che l'imputato non voleva far del male ma solo farsi spazio per andare a casa). Entrambi gli agenti avevano in ogni caso dichiarato che il ricorrente si sarebbe soltanto "irrigidito", al momento dell'ammanettannento, tenendo una posizione immobile. Difetterebbe quindi il dolo intenzionale, non essendovi neppure alcuna motivazione in ordine al dolo eventuale.Laddove si fosse stata una motivazione completa in tema di colpa, al più poteva essere configurata una responsabilità a titolo di colpa, nella specie tuttavia irrilevante per difetto di querela. Quanto alla lesione al dito subita dall'agente A, la stessa risulterebbe giustificata in un primo tempo dalla persona offesa con una azione accidentale, offrendo poi versioni plurime diverse e confuse, di cui l'ultima prediletta dalla Corte di appello. In ogni caso, le circostanze di gran confusione nell'azione e la presenza di più persone dovevano far protendere per una condotta non perfettamente controllata anche da parte degli stessi agenti e perciò imprudente ed imperita anche di questi ultimi.
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