Cass. civ., SS.UU., sentenza 09/04/2010, n. 8426

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In tema di dichiarazione di fallimento di una società, ai fini del rispetto del termine di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, previsto dall'art. 10 legge fall., l'iscrizione nel registro delle imprese del decreto con cui il giudice del registro, ai sensi dell'art. 2191 cod. civ., ordina la cancellazione della pregressa cancellazione della società già iscritta nello stesso registro, fa presumere sino a prova contraria la continuazione delle attività d'impresa, atteso che il rilievo, di regola, solo dichiarativo della pubblicità, se avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge, comporta che la iscrizione del decreto, emanato ex art. 2191 cod. civ., determina solo la opponibilità ai terzi della insussistenza delle condizioni che avevano dato luogo alla cancellazione della società alla data in cui questa era stata iscritta e, di conseguenza, la stessa cancellazione, con effetto retroattivo, della estinzione della società, per non essersi questa effettivamente verificata; nè è di ostacolo a tale conclusione l'estinzione della società per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, a norma dell'art. 2495 cod. civ., introdotto dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, atteso che la legge di riforma non ha modificato la residua disciplina della pubblicità nel registro delle imprese.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 09/04/2010, n. 8426
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 8426
Data del deposito : 9 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V P - Primo Presidente f.f. -
Dott. P R - Presidente di Sezione -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. F F - rel. Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. A G - Consigliere -
Dott. S M B - Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29632 del Ruolo Generale degli affari civili dell'anno 2008, proposto da:
COPPOLA DANILO, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Lisbona n. 3, nello studio dell'avv. D'AANDRO FLORIANO che lo rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
FALLIMENTO ASSA s.r.l., dichiarato dal Tribunale di Roma con sentenza del 20 dicembre 2007, in persona del curatore autorizzato a resistere con decreto del G.D. del 9 gennaio 2009 ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via della Giuliana n. 9, presso l'avv. CARPINELLA TOMMASO, che lo rappresenta e difende, per procura a margine del controricorso;



- controricorrente -


e
PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI ROMA, in persona del sostituto procuratore generale;



- intimato -


avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, 1^ sez. civ., n. 4295/08 del 23 ottobre - 10 novembre 2008;

Udita, all'udienza del 9 marzo 2010, la relazione del Cons. Dott. Fabrizio Forte;

sentiti l'avv. D'Alessandro, per il ricorrente, l'avv. Carpinella, per la controricorrente, e il P.G. Dott. Umberto Apice che ha chiesto l'inammissibilità o il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, ha rigettato l'appello di Danilo C contro la pronuncia del Tribunale di Roma del 20 dicembre 2007 che aveva dichiarato il fallimento della s.r.l. ASSA su ricorso del Procuratore della Repubblica in sede.
Riconosciuta la legittimazione ad agire del C, quale indagato per bancarotta anche per il fallimento oggetto di causa, la Corte di merito ha ritenuto infondati gli altri motivi di gravame rilevanti in rapporto al presente ricorso per cassazione: 1) il difetto di giurisdizione del giudice italiano, per il trasferimento in Romania della sede dell'impresa;
2) l'inesistenza dello stato di decozione;

3) la decorrenza del termine di un anno dalla cancellazione della società dal Registro delle imprese;
4) il mancato superamento delle soglie minime patrimoniali e di ricavi per la declaratoria di fallimento di cui all'art. 1 della legge fallimentare novellata (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio 2005, n.6, art. 1), parametri costituiti da investimenti in azienda superiori
ad Euro 300.000,00 o ricavi nella media degli ultimi tre anni non eccedenti Euro 200.000,00 annui.
In ordine al difetto di giurisdizione del giudice italiano, la Corte ha ritenuto fittizio il trasferimento in Romania della società, sulla base delle dichiarazioni dello stesso rappresentante legale della società D S, richiamate nell'istanza di fallimento del P.M., e delle dichiarazioni rese a questo dal C, che aveva affermato che il trasferimento era servito solo a fini fiscali e che gli amministratori stranieri "erano dei prestanomi ai quali sono stati pagati dei soldi per sottoscrivere gli atti" e quindi che "le cessioni di quote e le nomine di amministratori erano false". Tali dichiarazioni comportavano il superamento della presunzione di cui all'art. 3, comma 1, del Regolamento CE 29 maggio 2000 n. 1346, dovendo negarsi che il centro degli interessi societarì fosse effettivamente in Romania ove la società aveva sede solo fittì zia a scopi fiscali, continuando a svolgere in Italia la sua attività produttrice di reddito.
In ordine allo stato di insolvenza, lo stesso era ritenuto esistente in base al debito di imposta di circa Euro 12.000.000,00, anche a ritenere reali le pretese uscite finanziarie per Euro 45.000.000,00 negli anni 2003 e 2004, delle quali, in mancanza di bilanci successivi al 2002, non vi era documentazione che potesse costituire prova del fatto che esse erano fonte di crediti e non adempimenti di pregressi debiti, essendo irrilevante a tal fine l'intervento del terzo, cioè dello stesso C, che aveva offerto consistenti somme per liberare la società dai suoi rilevanti debiti tributari. In ordine al termine annuale dalla cancellazione della società dal registro dell'imprese di cui alla L. Fall., art. 10, i giudici di merito affermavano che la iscrizione della cancellazione della società nel registro delle imprese del 13 ottobre 2005, cioè anteriore alle deliberazione del trasferimento della sede sociale in Romania del 25 ottobre successivo, era stata cancellata ai sensi dell'art. 2291 c.c., dal giudice del registro con decreto del 3 settembre 2007, confermato anche dopo il reclamo in Corte d'appello, per cui almeno da tale data la società era di nuovo iscritta e con personalità giuridica e poteva quindi essere dichiarata fallita come poi avvenne con la sentenza del dicembre 2007, oggetto di gravame. Rispetto alla pretesa mancanza delle condizioni di fallibilità connesse agli investimenti e ai ricavi di cui alla L. Fall., art. 1, per rientrare tra i piccoli imprenditori e non essere soggetta al fallimento la società indicata, la Corte, sulla base dell'ultimo bilancio in atti del 2002, con un attivo di Euro 872.170,00 senza crediti esigibili nell'esercizio successivo, ha ritenuto presumibili comunque investimenti prima del fallimento per somme superiori complessivamente ad Euro 300.000,00, così come indicato dalla L. Fall., art. 1, data la inapplicabilità, ratione temporis della novella di cui al D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che si riferisce espressamente ai tre esercizi antecedenti alla data di deposito dell'istanza o ricorso di fallimento;
con il rigetto del gravame le spese del grado sono state poste a carico del soccombente appellante. Per la cassazione di tale sentenza, non notificata, il C ha proposto ricorso ai sensi dell'art. 360 c.p.c., articolato in tre motivi e notificato il 10 dicembre 2008, e il Fallimento della società intimato si è difeso con controricorso, illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE


1.1. Il primo motivo di ricorso del C deduce violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 9, nonché omessa o insufficiente motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per aver respinto l'eccepito difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello rumeno, per essere la sede della società ormai da tempo trasferita in Romania, ritenendo fittizio detto trasferimento della società.
In realtà, ad avviso del ricorrente, non è stata smentita la presunzione dell'art. 1 del regolamento CE n. 1356 del 2000 per la quale il centro degli interessi principali di una società è nel paese membro della Unione in cui è la sede di essa. È errato ritenere che la natura fittizia del trasferimento della sede sociale emerga dalle dichiarazioni al P.M. dello stesso C che ha solo detto che tale spostamento era stato strumentale per ridurre gli oneri fiscali e non che esso non vi era stato e comunque sarebbe stata necessaria la prova che l'attività direttiva, amministrativa e organizzativa della società era rimasta in Italia, prova che non vi era. Comunque secondo la L. Fall., art. 9, comma 5, novellata, "Il trasferimento della sede dell'impresa all'estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana, se è avvenuto dopo il deposito del ricorso di cui all'art. 6 o la presentazione della richiesta di cui all'art. 7" da parte del P.M..
Poiché nel caso il trasferimento è avvenuto sedici mesi prima della istanza del P.M. di dichiarare fallita la società il giudice italiano era chiaramente privo di giurisdizione, allorché è stato adito per pronunciarsi sulla stessa.
Il quesito conclusivo ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., afferma:
"Dica la Corte suprema se, in tema di dichiarazione di fallimento nel caso in cui il trasferimento della sede legale all'estero della società sia avvenuto prima o in un momento temporalmente lontano dalla presentazione e/o il deposito della istanza di fallimento continui a sussistere la giurisdizione italiana, ovvero se il trasferimento della sede legale all'estero avvenuto prima o in un momento temporalmente lontano dalla presentazione e/o il deposito dell'istanza di fallimento sia sufficiente ad escludere la giurisdizione italiana.

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