Cass. civ., sez. I, sentenza 25/05/2004, n. 10002

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 25/05/2004, n. 10002
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10002
Data del deposito : 25 maggio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. O G - Presidente -
Dott. P D - Consigliere -
Dott. M G V A - rel. Consigliere -
Dott. R R - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
V L, elettivamente domiciliata in Roma, via Gregorio VII, n. 416, presso l'Avvocato M C che la rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
P M T, elettivamente domiciliata in Roma, via del Banco di S. Spirito, n. 48, presso l'Avvocato G B che la rappresenta e difende per procura speciale a margine del controricorso;



- controricorrente -


contro
INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del Presidente, legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma, presso il proprio ufficio legale, in via della Frezza, n. 17, rappresentato e difeso dagli Avvocati A R e N V per procura speciale in calce al ricorso notificato;



- intimato -


avverso la sentenza n. 1502/01 della Corte d'appello di Roma, depositata il 27.4.2001, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19 febbraio 2004 dal Relatore Cons. Dott. G V A M;

Udito, per la ricorrente, l'Avvocato M c e, per la controricorrente, l'Avvocato G B;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO

Rosario, che ha chiesto dichiararsi la manifesta infondatezza del ricorso e condannarsi parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 13.5.1999 il tribunale di Roma, su domanda della signora Luciana V, ex coniuge di Giovanni Sagramora, deceduto il 7.10.1997, dal quale aveva divorziato nel 1991, attribuì alla medesima la quota di 9/10 della pensione di riversibilità di quest'ultimo ed il restante decimo, avuto riguardo alla diversa durata dei due matrimoni, alla signora M T P, vedova del Sagramora per avere contratto matrimonio con lui il 27.5.1995. La sentenza fu gravata d'appello dalla Porziani che, sostenendo l'erroneità del criterio di riparto adottato dal tribunale, chiese, nel merito, la riforma della sentenza impugnata mediante rigetto della domanda o, in subordine, che la pensione fosse ripartita fra le parti in ragione del 50% ciascuna o in quell'altra misura ritenuta di giustizia.
L'appellata V, costituendosi in giudizio, chiese il rigetto del gravame e, incidentalmente, la condanna in solido dell'appellante e dell'I.N.P.S., rimasto contumace, al pagamento delle spese di entrambi i gradi. Il procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello concluse per il rigetto dell'impugnazione. Con sentenza depositata il 27.4.2001, la corte d'appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza impugnata, determinò nella misura del 50% la quota della pensione di riversibilità spettante a ciascuna delle concorrenti, rigettò l'appello incidentale e compensò integralmente fra le parti le spese del grado. Ritenne, infatti, aderendo all'interpretazione dell'articolo 9, 3^ co., della legge sul divorzio (legge 1^ dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'articolo 13, legge 6 marzo 1987, n. 74) fornita dalla corte costituzionale con sentenza n. 419/1999, che la pensione di riversibilità, rispondendo a finalità solidaristiche, deve essere suddivisa tra coniuge divorziato e coniuge superstite secondo un criterio di riparto complesso e rispettoso dei principi di equità, includente innanzitutto il rapporto di durata dei rispettivi matrimoni, ma comprensivo anche di altri elementi di giudizio rappresentati, nel caso specifico, dalla situazione economica complessiva di ciascuna delle aventi diritto e dalla consistenza dell'assegno di divorzio già goduto dalla V, pari a metà della pensione percepita in vita dall'ex marito.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre, con quattro motivi, Luciana V. Resiste M T P mediante controricorso e memoria illustrativa. L'I.N.P.S., cui il ricorso è stato ritualmente notificato, si è costituito tardivamente depositando copia di tale atto con procura ai propri difensori.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La sentenza della corte d'appello di Roma è censurata dalla ricorrente, col primo motivo, per erronea e falsa applicazione dell'articolo 9, legge 1^ dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'articolo 13, legge 6 marzo 1987, n. 74;
col secondo motivo, per contraddittoria e carente motivazione e, col terzo motivo, per erronea valutazione delle prove.
Tali censure, stante la loro stretta connessione, debbono essere esaminate congiuntamente.
Lamenta, invero, la ricorrente V che la ripartizione della pensione di riversibilità, operata dal giudice a quo fra le aventi diritto, dipenda da una non corretta applicazione della norma citata (primo motivo), giacché il criterio che rinvia alla durata dei rispettivi matrimoni, pur costituendo, secondo l'interpretazione accolta dalla corte costituzionale con sentenza n. 419/1999, "elemento imprescindibile dell'apprezzamento del giudice", non esclude la giusta considerazione di altri elementi di giudizio;

laddove la sentenza impugnata aveva invece omesso d'integrare effettivamente il criterio temporale con quello relativo alle condizioni economiche delle parti, non avendo attribuito, con motivazione gravemente contraddittoria o carente (secondo motivo), debito peso al fatto che essa ricorrente, a differenze della controparte Porziani, non possiede alcun reddito, come attestato da prove documentali ignorate o erroneamente valutate dal giudice d'appello (terzo motivo).
Si osserva, in contrario, che la corte di merito, aderendo esplicitamente e motivatamente - con richiamo alla funzione solidaristica della pensione di riversibilità, ai bisogni rispettivi delle parti ed a criteri interpretativi di ordine letterale e sistematico - all'interpretazione dell'articolo 9, 3^ co., cit., accolta dalla corte costituzionale (nello stesso senso, da ultimo, Cass. nn. 2471/2003, 1057/2002, 3037/2001, 282/2001, 8113/2000, 2920/2000;
contra S.U. n. 159/1998 et al.), ne ha fatto corretta e puntuale applicazione, riconoscendo la necessità di utilizzare, in concorrenza col criterio di riparto puramente aritmetico, quello comparativo delle condizioni economiche delle parti e quello portante sulla misura dell'assegno goduto dal coniuge divorziato fino al decesso dell'obbligato.
Il primo motivo di censura, concernente falsa applicazione della norma suddetta, è dunque infondato.
Analogamente infondati sono gli altri due motivi, sopra sintetizzati, giacché la corte territoriale afferma di aver ricavato dall'esame della documentazione in atti il convincimento - non sindacabile come tale in questa sede, costituendo esso il risultato di apprezzamenti esclusivamente riservati al giudice di merito - che entrambe le parti versano in condizioni economiche non floride;
sicché tale criterio, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, è stato preso in esame dal giudice, ma ritenuto di scarsa incidenza nella fattispecie;

a differenza dell'altro elemento correttivo di valutazione, costituito dalla misura dell'assegno di divorzio (già stabilita, per accordo fra i coniugi divorziati, in una somma pari a metà della pensione del marito), coerentemente utilizzato dal giudice a quo e considerato "decisivo" nel caso concreto.
Col quarto motivo la ricorrente censura, per erronea e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., la decisione di compensazione integrale fra le parti delle spese dei due gradi di merito del giudizio, con particolare riguardo alla posizione dell'I.N.P.S., contumace in tali giudizi e renitente, secondo la ricorrente medesima, all'obbligo di versarle qualsiasi somma a titolo di pensione di riversibilità.
Anche questo motivo è infondato, non sussistendo alcuna violazione della norma indicata, quale può aversi solo nell'ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa al pagamento anche parziale delle spese di lite. Nella specie la compensazione fu invece disposta, nonostante la riforma favorevole all'appellante principale della sentenza di primo grado, per giusti motivi, resi peraltro espliciti dal richiamo alla particolare natura della controversia ed alle contrastanti inter-pretazioni date dalla giurisprudenza al citato articolo 9, 3^ co. della legge sul divorzio, fino all'intervento della corte costituzionale.
il riferimento ai giusti motivi (articolo 92, 2^ co., c.p.c.) legittima di per sè - a prescindere dalla soccombenza - la pronunzia di compensazione delle spese (fra le molte, Cass. nn. 11597 e 1898/2002, 9271/2000, 5909/1999, 4997 e 4575/1998, 4234 e 79/1995), emessa dal giudice di merito nell'esercizio di poteri discrezionali incensurabili in Cassazione, se non per illogicità, erroneità o contraddittorietà della motivazione: vizi che nel caso concreto ne' ricorrono ne', propriamente, sono stati denunziati. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Si ritiene di compensare interamente fra le parti le spese di questo giudizio di legittimità, per i giusti motivi suindicati.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi