Cass. pen., sez. III, sentenza 18/04/2023, n. 16353
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o la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da: G M, nato ad Avigliana il 30/08/1974 avverso la sentenza emessa il 16/06/2021 dalla Corte d'Appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere V P;lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale G P, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, e la declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto;letta la memoria di replica del difensore del ricorrente, avv. E U, che ha concluso insistendo per l'annullamento della sentenza impugnata RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16/06/2021, la Corte d'Appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza emessa con rito abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Torino, in data 26/10/2015, con la quale - per quanto qui rileva - G M era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai delitti di indebita compensazione, omesso versamento dell'IVA, fraudolenta sottrazione di beni a lui ascritti in concorso, in qualità di amministratore di diritto e poi di fatto della IMMAGINI & PAROLE MULTISERVIZI s.r.I., come meglio specificato ai capi da 1) a 11) della rubrica (il Tribunale aveva invece assolto l'imputato dall'omesso versamento di cui al capo 2, di importo inferiore alla soglia di rilevanza penale). In particolare, la Corte d'Appello: ha dichiarato estinti per prescrizione tutti i reati ad eccezione delle indebite compensazioni di cui ai capi 7) e 10), e dell'omesso versamento di cui al capo 9);ha rideterminato il trattamento sanzionatorio, in ordine a tali reati, ritenendo la continuazione con il delitto di bancarotta fraudolenta (correlato al fallimento della predetta società), in relazione al quale il GRANDI aveva precedentemente definito la propria posizione con sentenza, divenuta irrevocabile, emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.;ha ridotto l'importo della già disposta confisca al solo valore del profitto dei reati non dichiarati estinti;ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata. 2. Ricorre per cassazione il GRANDI, a mezzo del proprio difensore, deducendo: 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla conferma della condanna per i delitti di illecita compensazione. Il ricorrente richiama quanto già esposto in appello in relazione alla necessità di interpretare la locuzione "crediti inesistenti", contenuta nel secondo comma dell'art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, alla luce della definizione introdotta dall'art. 15 d.lgs. n. 158 del 2015, che 1/2)- aveva inserito appunto, nell'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, una definizione volta ad escludere, dal novero dei crediti inesistenti, quelli per i quali la mancanza del presupposto costitutivo non era riscontrabile attraverso i controlli automatici previsti dalla normativa tributaria (artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973, art 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972). La difesa osserva ancora che mentre il giudice di primo grado aveva disatteso tale impostazione, ritenendo che la predetta definizione riguardasse solo gli illeciti tributari e le relative sanzioni, la Corte d'Appello l'aveva invece accolta, ritenendo peraltro che la responsabilità del GRANDI potesse essere affermata in relazione alla più lieve ipotesi di compensazione utilizzando "crediti non spettanti". Si censura tale decisione, osservando che le due condotte criminose ipotizzate dall'art. 10-quater, nella nuova formulazione, non possono essere in alcun modo considerate strutturalmente sovrapponibili, avendo la giurisprudenza chiarito che si intende per credito "non spettante" quello che, pur certo nella sua esistenza ed esatto ammontare, non è ancora o non più utilizzabile in compensazione nei rapporti tra il privato e l'Erario: situazione non riscontrabile nel caso di specie, in cui dagli atti dell'Agenzia delle Entrate era emersa con certezza l'inesistenza dei crediti posti in compensazione. 2.2. Violazione del divieto di reformatio in peius con riferimento agli aumenti di pena disposti dalla Corte d'Appello per i reati non estinti, previa applicazione della continuazione con il più grave reato di bancarotta fraudolenta già irrevocabilmente giudicato. Si censura la sentenza per aver applicato, in assenza di appello del P.M., aumenti per i capi residui 7, 9 e 10 superiori a quelli disposti dal giudice di primo grado: si precisa altresì che non potevano ritenersi applicabili i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 16208 del 2003, perché la Corte d'Appello non aveva individuato come più grave uno dei reati ancora sub iudice: sicchè, in tale contesto di immutata individuazione del reato più grave in quello già irrevocabilmente giudicato, la Corte non avrebbe potuto applicare aumenti maggiori di quelli disposti dal G.i.p.
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