Cass. civ., sez. V trib., sentenza 13/12/2022, n. 36330

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 13/12/2022, n. 36330
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 36330
Data del deposito : 13 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 1484 del ruolo generale dell'anno 2022 proposto da: R.B. Video Games s.r.I., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti A G, N B e C C per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Properzio, n. 5, presso lo studio di quest'ultimo difensore;

- ricorrente -

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

- controricorrente -

per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione n. 16952/2021, depositata in data 16 giugno 2021;
udita la relazione svolta nella udienza camerale non partecipata del 29 settembre 2022 dal Consigliere G T;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del Sostituto procuratore generale Dott. R M, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatti di causa

Con sentenza 16 giugno 2021, n. 16952, questa Corte ha pronunciato sul ricorso principale proposto da R.B. Video Games s.r.l. e sul ricorso incidentale proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell'Emilia- Romagna n. 31/9/2012, depositata il 7 maggio 2012, ed ha accolto il ricorso incidentale, rigettato quello principale e, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso originario della società e compensato le spese di lite. Dal contenuto della suddetta pronuncia si evince che: la controversia aveva origine dalla notifica di un avviso di accertamento con il quale, relativamente all'anno 2005, veniva contestata la non deducibilità di costi per violazione del principio di competenza ed irrogata alla suddetta società la conseguente sanzione Irap, nonché, quale gestore di apparecchi da gioco, veniva irrogata la sanzione per omessa regolarizzazione di fatture relative ai compensi corrisposti ai titolari degli esercizi presso i quali erano state installate le macchine da gioco;
il giudice di appello, riformando parzialmente la decisione del giudice di primo grado, aveva ritenuto che le operazioni interessate erano esenti da iva, avendo ad oggetto servizi resi nell'ambito di operazioni di raccolta delle giocate, confermando la decisione di primo grado nella parte in cui aveva escluso la qualificazione dei costi dedotti dalla contribuente quali spese pubblicitarie e la loro deducibilità, per intero, nell'esercizio in cui erano state sostenute.Con la citata pronuncia, questa Corte ha rigettato il ricorso principale della società ed accolto quello incidentale proposto dall'Agenzia delle entrate, in particolare: ha disatteso l'eccezione di inammissibilità del ricorso e di giudicato esterno prospettato dalla società;
ha, inoltre, precisato, accogliendo il motivo di ricorso incidentale, che, stante la riserva della gestione del gioco in capo ai concessionari, cui è consentito di affidare a terzi l'attività di raccolta delle giocate, solamente alle operazioni relative a tale attività va riconosciuta l'esenzione dall'imposta che, dunque, trova applicazione solo nell'ambito dei rapporti tra concessionario ed esercente e tra concessionario e gestore, non essendo configurabile un'attività di raccolta delle giocate posta in essere da soggetti privi di affidamento diretto da parte del concessionario, non potendo il soggetto cui sia stato affidato tale compito dal concessionario affidarlo a sua volta a terzi. Avverso la suddetta pronuncia la società ha quindi proposto ricorso per la revocazione affidato a sei motivi di cdnsura, illustrati con successiva memoria, cui ha resistito l'Agenzia delle entrate depositando controricorso. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per errore di fatto, ai sensi dell'art. 395, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per avere rigettato l'eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale proposto dall'Agenzia delle entrate per difetto di autosufficienza in base all'errato presupposto che la sentenza di appello avrebbe compiuto degli accertamenti fattuali in ordine al contenuto del contratto concluso da altro gestore e prodotto dall'Agenzia delle entrate, posto che, invero, nessun accertamento fattuale risultava compiuto dal giudice del gravame, erroneamente dando rilevanza, ai fini del principio dell'autosufficienza nonché probatoria, ad un documento non riferibile alla contribuente. Il motivo è inammissibile.Il passaggio motivazionale cui fa riferimento la ricorrente va collocato nell'ambito della valutazione dell'eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale proposto dall'Agenzia delle entrate per difetto di autosufficienza. In questo specifico contesto, la Corte ha escluso che il motivo di ricorso difettasse di autosufficienza, in quanto presentava una chiara ed esauriente esposizione dei fatti di causa e, con particolare riferimento al documento prodotto dall'Agenzia delle entrate, se ne è, in sostanza, evidenziata la non incidenza ai fini della valutazione dell'ammissibilità del motivo, potendo la decisione essere presa indipendentemente dall'esame del suddetto documento, tanto che, nei successivi passaggi motivazionali, non si fa alcun riferimento al suddetto atto. Il presente motivo di ricorso, pertanto, difetta di rilevanza, posto che la valutazione dell'ammissibilità del motivo di ricorso è stata assunta evidenziando la non rilevanza, ai fini probatori, del documento prodotto dall'Agenzia delle entrate, essendo piuttosto rilevante che la ricorrente incidentale aveva esposto tutti gli elementi necessari per consentire alla Corte di cogliere il significato e la portata della censura rivolta alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per avere ritenuto che le sentenze passate in giudicato, allegate in quel giudizio dalla società in memoria, fossero riferibili a rapporti con altri esercenti e non, invece, proprio a quegli esercenti che avevano originato la pretesa a titolo di Iva e la sanzione irrogata. Il motivo è inammissibile. Questa Corte ha precisato che l'errore di fatto non deve cadere su di un punto controverso, sul quale il giudice si sia pronunciato, e deve avere il carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza la necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche (Cass. 1999/6388;
1999/9120;2002/15522;
2004//23592;
2006/7812;
2007/2713), con la conseguenza che l'errore di fatto, quale errore meramente percettivo (Cass. 2008/5075), non può concernere l'attività valutativa, da parte del giudice, di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cass. 94/9979;
2000/314;
2005/6198;
2006/14766) e quindi l'erroneo apprezzamento di risultanze processuali (Cass.2000/14840;
2003/15466;
2006/10807), o il vizio di ragionamento sui fatti assunti, ricorrendo in tali ipotesi errore di giudizio (Cass.• 2008/5075), qualora i fatti segnalati abbiano formato oggetto di esatta rappresentazione e poi di discussa valutazione (Cass.1998/4859;
1999/4145;
1999/4196;
2006/2478). Pertanto, l'attribuzione ad una sentenza di efficacia di giudicato in un giudizio diverso da quello in cui la stessa è stata emanata, presuppone, per un verso, una interpretazione complessiva dell'intero contenuto della sentenza e, per altro verso, l'apprezzamento e la valutazione in diritto di tale contenuto. Con il presente motivo parte ricorrente denuncia un erroneo apprezzamento delle risultanze processuali e dell'asserito giudicato formatosi in seguito alle sentenze di altre Commissione tributarie regionali e, quindi, un errore di valutazione e di giudizio, e non di percezione, inidoneo a configurare nella specie un'ipotesi di errore di fatto revocatorio ponendo l'attenzione sul fatto, come ribadito in memoria, della identità del rapporto fattuale. D'altro lato, il motivo non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia revocanda. La Corte, pronunciando sulla questione dell'eccezione di giudicato esterno, ha precisato, in diritto, che, nel processo tributario, l'efficacia di giudicato esterno presuppone necessariamente l'identità delle parti, del petitum e della causa petendi e, correlativamente, ha evidenziato che, nel caso di specie, mancavano i presupposti, in quanto i giudizi erano stati instaurati dagli esercenti: dunque, proprio la mancata partecipazione, in quei giudizi, della società ricorrente, quale soggetto gestore, ha costituito il motivo per escludere che vi fosse identità di parti, avendo i giudizi in comune "i/ solo elemento di affrontare la medesima questione", sicchè nessun rilievo ha, invero, come invece sostenuto dalla ricorrente, il fatto che le sentenze passate in giudicato riguardassero l'identità del rapporto tra la società e gli stessi esercenti che aveva originato la pretesa a titolo di Iva e la sanzione per cui è controversia. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 35, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per avere erroneamente assunto che, con riferimento alla natura ed al concreto rapporto esistente tra il concessionario, il gestore e gli esercenti, il giudice del gravame aveva condotto degli accertamenti fattuali che, tuttavia, non erano stati mai compiuti. Evidenzia parte ricorrente, a tal proposito, che la pronuncia oggetto di revocazione ha affermato che era stato accertato dal giudice del gravame che non sussisteva alcun rapporto diretto tra il concessionario e gli esercenti e che, pertanto, le prestazioni controverse, non potendo che essere state svolte unicamente nei confronti del gestore, avrebbero dovuto essere considerare esenti da iva;
tuttavia, in questo ambito, il giudice del gravame aveva limitato la decisione esaminando unicamente la natura oggettiva delle operazioni controverse, senza alcun approfondimento della dinamica dei rapporto contrattuali esistenti. In sostanza, secondo parte ricorrente, la questione del profilo soggettivo relativo ai rapporti contrattuali esistenti era stata assorbita dalla pronuncia del giudice del gravame, che, come detto, aveva orientato la decisione unicamente sul versante del profilo oggettivo, avendo ritenuto che le operazioni realizzate dall'esercente dovessero, comunque, essere configurate quali attività di raccolta delle giocate e, quindi, esenti da iva. Il motivo è fondato. In termini generali, va osservato che la previsione di cui all'art. 395, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., cui fa espresso richiamo l'art. 391bis, comma primo, cod. proc. civ. (che ha introdotto la possibilità di proporre ricorso per revocazione anche avverso le sentenze della Corte di cassazione) circoscrive la rilevanza e decisività dell'errore di fatto al solo caso in cui la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa ovvero sull'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale il giudice si sia poi pronunciato (Cass. civ. 28 settembre 2018, n. 23502), risolvendosi esclusivamente in un vizio di assunzione del "fatto", che può anche consistere nel contenuto degli atti processuali oggetto di cognizione del giudice (quali la sentenza impugnata o gli atti di parte), e non può, quindi, concernere il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti (cfr., tra le tante, Sez. U, nn. 13181/2013;
2008/26022;
nonchè Cass., n. 22569/2013). Si è, peraltro, precisato che l'errore di fatto, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l'attività valutativa del giudice per situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività, e deve, inoltre, avere i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche ed essere essenziale e decisivo. Si è anche ritenuto che l'errore revocatorio sia configurabile nell'ipotesi di omessa percezione dell'esistenza di un motivo di ricorso, così come delle questioni sulle quali il giudice d'appello abbia mancato di pronunciarsi perchè assorbite, anche implicitamente, dalla decisione di altri motivi (cfr. Cass. civ., n. 11937/2002;
n. 22373/ 2014;
n. 23833/2015). Con particolare riferimento alla mancata pronuncia su questioni assorbite nel giudizio di merito, è stato inoltre precisato che la eventuale mancata riproposizione della questione in sede di legittimità non incide negativamente sulla "decisività" del detto errore di fatto, posto che sulle questioni sollevate nel giudizio di merito e non riproposte in sede di legittimità all'esito della declaratoria di assorbimento pronunciata dal giudice d'appello (anche implicitamente), non si forma giudicato implicito (Cass. Sez. U, n. 23833/2015;
Cass., sent. n. 7988/2018;
sent. n. 26479/2016). Va, peraltro, precisato che, anche in questo specifico ambito, la possibilità di pronunciare la revocazione esige che sia verificabile che la sentenza sia l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa. A tal proposito, è stato precisato (Cass. civ., 22 novembre 2006, n. 24856) che l'errore di fatto che può condurre alla revocazione di una sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione deve comunque riguardare gli atti "interni" al giudizio di legittimità, e cioè gli atti che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con propria indagine di fatto all'interno dei motivi di ricorso, ed è necessario che incida unicamente sulla sentenza di legittimità. Infatti, qualora l'errore fosse configurabile come causa determinante della pronuncia impugnata in cassazione, il correlato vizio potrebbe essere fatto valere esclusivamente con i rimedi proponibili contro la sentenza di merito (per tutte, Cass. Sez. Un. n. 561 del 2000;
Cass. n. 9396 del 2006;
n. 3190 del 2006;
n. 13915 del 2005;
n. 12283 del 2004;
n. 2597 del 2004;
n. 12742 del 2003). In particolare, al fine che qui interessa, costituiscono atti "interni": quelli conseguenti alla proposizione del ricorso (ad esempio, il deposito ex art. 369 c.p.c., comma 1, e il controricorso con eventuale ricorso incidentale);
tutti gli atti che vanno depositati assieme al ricorso ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, nonché il fascicolo di ufficio (art. 369 c.p.c., comma 3), ma esclusivamente nei casi in cui la Corte debba esaminarli direttamente con propria autonoma indagine di fatto, senza cioè la mediazione della sentenza impugnata, in quanto siano stati dedotti errores in procedendo, ovvero perché siano emerse questioni processuali rilevabili ex officio. Pertanto, non rientra in detta nozione, e non è configurabile quale errore di fatto da parte della Corte di cassazione, rilevante ex art. 8 395 c.p.c., n. 4, quello che concerne un atto che, sebbene faccia , parte del fascicolo di ufficio, sia stato già esaminato dal giudice di merito e riconsiderato solo in via mediata dal giudice di legittimità in funzione dell'esame delle censure prospettate con i motivi di ricorso (tra le molte, Cass. n. 9396 del 2006;
n. 17745 del 2005;
n. 2597 del 2004;
cfr. anche Cass. n. 3928 del 1999). Ciò precisato, va osservato che, sebbene nella pronuncia del giudice del gravame, oggetto del ricorso di cassazione, non risulti che era stata prospettata la questione della sussistenza di rapporto negoziali tra il concessionario e gli esercenti, tuttavia dal controricorso (vd. pag. 12 e 13) depositato dalla società nel giudizio di cassazione era stato evidenziato che: «Gli esercenti, definiti dai Monopoli "terzi incaricati della raccolta", oltre a porre in essere prestazioni di raccolta delle giovate (come si è dimostrato), sono necessariamente legati da un vincolo negoziale al concessionario: se viene meno tale vincolo o, prima ancora, se tale vincolo non è contratto, nessuna prestazione può essere resa. Dalle stesse dichiarazioni di SNAI (ossia il concessionario cui faceva capo la Società quale gestore) si evinceva invero che: «fino al 31.12.2006 il contratto tra esercente e SNAI veniva concluso secondo le modalità di cui all'art. 1333 c.c.- l'esercente - contattato da R.B. Videogames - sottoscriveva secondo le modalità di cui all'art. 1333, c.c., una proposta destinata a SNAI, con le quali assumeva le obbligazioni nei confronti del Concessionario previste dall'art. 6 della Convenzione di Concessione, impegnandosi quindi a rispettare le condizioni di collegamento alla rete (...)». Risulta, inoltre, evidenziato nel controricorso che tale questione era stata dedotta dalla società già nel ricorso introduttivo (all. 2 alla nota di deposito documenti relativi al primo grado, pagg. 18-19 atto di appello). In sostanza, parte ricorrente ha evidenziato che risultava dagli atti di causa che sin dal primo grado di giudizio era stata prospettata la questione della sussistenza di un rapporto negoziale diretto tra concessionario ed esercenti, profilo sul quale il giudice del gravame non si era espresso, avendo ritenuto decisivo il profilo oggettivo dell'attività svolta dall'esercente, quindi a prescindere dalla verifica della sussistenza del suddetto rapporto negoziale diretto, questione, pertanto, non decisa in quanto ritenuta assorbita. Ne consegue che non correttamente la sentenza oggetto di revocazione ha ritenuto di dovere decidere nel merito la controversia, essendo ancora da esaminare la questione della eventuale esistenza di un rapporto negoziale diretto tra concessionario ed esercenti. Si tratta di un errore revocatorio in quanto la pronuncia resa ha unicamente pronunciato sulla questione della natura oggettiva della prestazione resa dagli esercenti, nonostante il fatto che era visibile dagli atti di causa la necessità di procedere ad un accertamento fattuale circa i rapporti negoziali concretamente posti in essere, siccome postulati dalla società sin dal primo grado di giudizio e sui quali il giudice del gravame non si era pronúnciato in quanto implicitamente assorbita. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza per errore di fatto, ai sensi dell'art. 395, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per avere assunto, sulla base dei presunti accertamenti fattuali cui era pervenuto il giudice del gravame, che le fatture non erano state emesse nei confronti della contribuente. In particolare, evidenzia parte ricorrente di avere contestato sin dal primo grado di giudizio la mancanza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 6, comma 8, d.lgs. n. 471/1997, non potendosi richiedere al soggetto che riceve la fattura un controllo di natura sostanziale e che, invero, con la sentenza oggetto di revocazione si è ritenuto che, in base agli accertamenti fattuali cui era pervenuto il giudice del gravame, era invece emerso che la società non aveva ricevuto alcuna fattura. Sotto questo profilo, parte ricorrente evidenzia l'errore di fatto commesso nella pronuncia in esame, in quanto risultava pacifico dagli atti di causa che la sanzione era stata irrogata in quanto gli esercenti avevano emesso i documenti, regolarmente ricevuti dalla società, in esenzione iva, come del resto ammesso dalla stessa Agenzia delle entrate nell'avviso di accertamento. Il motivo è inammissibile. Si è già precisato che può ragionarsi in termine di errore revocatorio solo nel caso in cui la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa ovvero sull'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale il giudice si sia poi pronunciato. La questione relativa alla sussistenza dei presupposti per la corretta irrogazione della sanzione, cioè se erano state emesse o meno fatture, è stata espressamente esaminata dalla pronuncia in esame, che, sul punto, ha precisato che: "Poiché in relazione alle operazioni in oggetto la contribuente non ha ricevuto alcuna fattura nei termini di legge (come dalla stessa riconosciuto alla pag. 15 del controricorso), quest'ultima è venuta meno all'obbligo di regolarizzazione delle fatture"(vd. pag. 12, sentenza). La prospettazione, dunque, della sussistenza dell'errore revocatorio, nel caso di specie, è da collocarsi al di fuori dei limiti entro i quali il rimedio può essere fatto correttamente valere. Con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 395, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per avere omesso di disporre il rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale per l'esame della questione, rimasta assorbita, circa la non applicabilità della sanzione in materia di Iva per obiettiva incertezza normativa. Evidenzia parte ricorrente che nei giudizi di merito era stata prospettata anche la suddetta questione della non applicabilità delle sanzioni Iva, poi riproposte in appello, e che il giudice del gravame non si era pronunciato in quanto la stessa era stata implicitamente assorbita dalla pronuncia di illegittimità della pretesa in materia di Iva, sebbene dalla pronuncia del giudice del gravame era evincibile che la questione era stata allo stesso prospettata, sicchè non correttamente la sentenza oggetto di revocazione ha deciso nel merito, dovendo invece rinviare al giudice del merito per l'esame della questione. Il motivo è inammissibile. Si è già evidenziato che l'errore di fatto che può condurre alla revocazione di una sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione deve comunque riguardare gli atti "interni" al giudizio di legittimità, e cioè gli atti che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con propria indagine di fatto all'interno dei motivi di ricorso, ed è necessario che incida unicamente sulla sentenza di legittimità. Nel caso di specie, dall'esame della sentenza del giudice del gravame, cui fa riferimento specifico la ricorrente nel presente motivo di ricorso, non è dato riscontrare il fatto che la società aveva prospettato in sede di appello la questione in esame. Nella suddetta sentenza, in particolare, viene dato atto della circostanza che era stata irrogata alla società sia la sanzione Irap che quella relativa all'Iva e che, per quanto concerneva la sanzione Iva, in appello la contribuente aveva contestato l'omessa pronuncia "sulle eccezioni formulate dalla ricorrente per dimostrare l'illegittima applicazione delle medesime e su altre argomentazioni dedotte (carenza di motivazione per non essere stato allegato all'avviso il pvc)". Nel successivo passaggio della sentenza, inoltre, il giudice del gravame ha evidenziato che la società aveva chiesto: "l'annullamento dell'avviso di accertamento e il rimborso delle somme già versate. In via subordinata, chiede dichiarazione di illegittimità della sanzione Irap irrogate o l'inapplicabilità delle stesse per obiettiva incertezza della normativa applicabile". In sostanza, dal contenuto della sentenza non è dato riscontrare, in modo evidente, che la società aveva proposto dinanzi al giudice del gravame anche la questione della non applicabilità della sanzione iva per obiettiva incertezza normativa;
questo profilo viene evidenziato solo limitatamente alla sanzione kap: la pronuncia si esprime nel senso della richiesta di pronuncia della illegittimità della sanzione Irap "o l'inapplicabilità delle stesse per obiettiva incertezza normativa", con chiaro riferimento esclusivo alle sanzioni Irap, mentre, con riferimento alla sanzione Iva fa generico riferimento alla mancata pronuncia sulle eccezioni formulate dalla ricorrente, senza alcuna specificazione, ovvero ad altre argomentazioni, specificando, in tal caso, che riguardavano la carenza di motivazione per non essere stato allegato il pvc all'avviso di accertamento. Inoltre, dall'esame degli ulteriori atti di causa depositato dalle parti nel giudizio di cassazione (ricorso principale delta società, ricorso incidentale dell'Agenzia delle entrate, controricorso al ricorso incidentale, memoria), non è dato riscontrare che, comunque, era stata posta all'attenzione la sussistenza della questione in esame, non direttamente riscontrabile, in modo evidente, dal contenuto della sentenza del giudice del gravame, sicchè non può ragionarsi in termini di errore di fatto evidente ed immediatamente evincibile dagli atti di causa, come invece richiesto dall'art. 395, cod. proc. civ.. Con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 395, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per avere omesso di disporre il rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale per l'esame della questione, rimasta assorbita, circa la non applicabilità della sanzione in materia di Iva per carenza di colpevolezza. Il motivo è inammissibile. La sentenza oggetto di revocazione, avendo statuito in ordine alla sussistenza dei presupposti concernenti l'omessa regolarizzazione di fatture per le operazioni di acquisto di servizi non riconducibili nell'ambito dell'esenzione iva, ha, implicitamente, accertato la riconducibilità della condotta illecita alla società contribuente, sicchè non era necessario compiere alcun ulteriore accertamento in fatto. In conclusione, è fondato il terzo motivo, inammissibili i restanti, con conseguente revocazione della sentenza limitatamente alla parte decisa nel merito sulla questione assorbita relativa alla sussistenza di un rapporto negoziale diretto tra concessionario ed esercenti e rinvio ai fini del suddetto accertamento alla Corte di giustizia di secondo grado dell'Emilia-Romagna anche per la liquidazione delle spese di lite.
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