Cass. pen., sez. IV, sentenza 06/12/2021, n. 44980
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a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: GINATTA MO nato a TORINO il 18/06/1982 avverso l'ordinanza del 11/01/2021 della CORTE APPELLO di Msvolta la relazione dal Consigliere G C;lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto E C, la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con ogni conseguente statuizione. Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Milano ha dichiarato inammissibile, siccome manifestamente infondata ai sensi dell'art. 634 cod. proc. pen., la richiesta di revisione proposta ai sensi dell'art. 630 c. 1, lett. a), cod. proc. pen., nell'interesse di G M 2. In particolare, secondo la ricostruzione rinvenibile nell'ordinanza impugnata, il Tribunale di Ivrea, con la prima sentenza, aveva condannato il GINATTA per detenzione non autorizzata di due esemplari di puma (capo 1 dell'imputazione relativo al reato di cui all'art. 1, c. 1 e 2 del d.l. n. 159/2003, cos' modificata l'originaria imputazione ai sensi dell'art. 2, c.1, lett. f) I. n. 150/1992) e per la detenzione di due esemplari vivi di mammiferi di specie selvatica e esemplari vivi di mammiferi provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscono pericolo per la salute e l'incolumità pubblica (capo 2 dell'imputazione). La sentenza, a seguito di ricorso, veniva parzialmente annullata dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 51839/2018), avendo il giudice di legittimità ritenuto la fondatezza del secondo motivo (e assorbito in esso il quinto)•t poiché il Tribunale, nell'affermare la responsabilità del ricorrente in relazione al capo 1) dell'imputazione aveva ritenuto integrata la fattispecie in relazione a una condotta avente a oggetto aracnidi altamente pericolosi per l'uomo (ritenendo erroneamente il diverso reato di cui all'art. 1, c. 1 e 2, d.l. n. 159/2003, in luogo di quello contestato, vale a dire la contravvenzione di cui all'art. 2 legge n. 150/1992) e disponendo pertanto il rinvio al Tribunale di Ivrea per nuovo giudizio limitatamente al capo 1), dichiarando il ricorso inammissibile nel resto, poiché le doglianze dedotte con il primo, il terzo e il quarto motivo non erano consentite in sede di legittimità, proponendo una rivisitazione delle risultanze processuali. Con la sentenza del 28 febbraio 2020, il Tribunale di Ivrea, dato atto del passaggio in giudicato della condanna per il reato di cui al capo 2) della imputazione (vale a dire l'art. 6 della legge n. 150/1992) t assolveva il GINATTA ai sensi dell'art. 530, c. 2, cod. proc. pen. dal capo 1 dell'imputazione (vale a dire art. 2, stessa legge n. 150/1992). 3. A sostegno della richiesta di revisione, la difesa del GINATTA formula tre motivi, con i quali deduce carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, nonché violazione di legge nell'applicazione dell'art. 634 cod. proc. pen., e erronea applicazione della legge penale da parte della Corte d'appello di Milano. In particolare, quanto al primo rilievo, contesta il ragionamento svolto nell'ordinanza impugnata, laddove si dà atto della coerenza e logicità della motivazione del giudice di prime cure senza compiere la valutazione propria del giudizio di ammissibilità della richiesta di revisione, per il quale rileva, invece, che entrambe le sentenze avevano a oggetto l'accertamento delle qualità biologiche dell'animale, ossia la sua corretta identificazióne. Quanto al secondo, la difesa rileva che la Corte territoriale non avrebbe svolto il vaglio in termini astratti, essendosi diffusa in una dissertazione approfondita sulla formula dubitativa adottata nella seconda decisione, a nulla rilevando la formula assolutoria ai fini della revisione per contrasto tra giudicati. Infine, rileva che la Corte d'appello non avrebbe considerato la ragione fondante la richiesta, relativa cioè alla mancata identificazione dell'animale, elemento questo che la difesa ritiene non suscettibile di diversa interpretazione. Sotto altro profilo, si rileva l'inammissibilità di una interpretazione secondo cui si tratterebbe solo di una diversa valutazione degli stessi fatti, posto che la mancanza di esami scientifici per la indispensabile identificazione dell'animale costituisce fatto e non diversa valutazione che determinerebbe l'errore sul quale si è fondata la prima decisione.
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