Cass. pen., sez. IV, sentenza 23/03/2021, n. 11111
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: ERRICO PIETRO nato a CERIGNOLA il 14/02/1962 avverso l'ordinanza del 21/03/2019 della CORTE APPELLO di BARIudita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE;lette le conclusioni del P.G., dr.ssa M D M, che ha chiesto il rigetto del ricorso;RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento indicato in epigrafe la Corte di appello di Bari ha rigettato l'istanza di riparazione dell'ingiusta detenzione patita da E P, dapprima posto in stato di custodia cautelare (quindi sostituita dagli arresti domiciliari) per i reati di cui agli artt. 416, 440, 56, 516, 517-bis cod. pen. e 5 lett. a) legge n. 283/1962 e poi assolto, con sentenza divenuta irrevocabile. La Corte di appello ha ravvisato nel comportamento dell'E una colpa grave ostativa al riconoscimento dell'indennizzo richiesto. Infatti questi aveva svolto attività di produzione e commercializzazione di olio di semi colorato con clorofilla e carotenoidi e lo aveva venduto come olio extravergine di oliva, in un contesto che lo aveva visto intessere rapporti con numerosi soggetti a vario titolo coinvolti nell'attività illecita;inoltre l'E aveva reso minime dichiarazioni in sede di interrogatorio dì garanzia, senza offrire indicazioni che potessero far valutare come lecite le sue condotte. 2. Ha proposto ricorso per la cassazione dell'ordinanza E P a mezzo del difensore, avv. R M, lamentando il vizio della motivazione e la violazione di legge, perché la Corte di appello ha fondato il proprio convincimento sulle considerazioni espresse dal G.i.p, nell'ordinanza di custodia cautelare senza confrontarsi adeguatamente con la motivazione della sentenza assolutoria, che avrebbe escluso la ricorrenza dei comportamenti evidenziati dal giudice della cautela. Inoltre, la Corte di appello ha valorizzato il silenzio servato dall'E in sede di interrogatorio di garanzia, venendo così a porre illegittimamente a carico dell"istante l'esercizio del diritto di difesa. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato e sinanche aspecifico. Vale rammentare che l'operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all'accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell'imputato, va tenuta distinta da quella del giudice della riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico-motivazionalle del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento "detenzione";ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell'azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, ( compresa l'eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 - dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638;più di recente, tra le molte, Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016 - dep. 23/01/2017, La Fornara, Rv. 268952). Ma, ovviamente, il giudice della riparazione non può ignorare quanto accertato nel giudizio sull'imputazione e può affermare e negare solo quanto è stato affermato e negato in questo;mentre un più ampio spazio di manovra gli è riconosciuto in relazione a quelle circostanze che non sono state escluse dal primo giudice, pur se non positivamente affermate (cfr. Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001 - dep. 28/02/2002, P, Rv. 220984;Sez. 4, n. 4372 del 21/10/2014 - dep. 29/01/2015, G D M, Rv. 263197). Ben diversamente da quanto asserito dal ricorrente, invero in termini del tutto generici e non rapportati al testo della motivazione impugnata, la Corte di appello non ha ritenuto accertati comportamenti dell'E che sono stati negati dalla pronuncia assolutoria. La Corte di appello si è premurata di precisare che quest'ultima ha affrontato solo le linee generali delle imputazioni, ma non ha individuato i singoli episodi e le condotte individuali di numerosi imputati. Ha anche rammentato che il Tribunale non ha escluso che vi fosse stata un'attività di produzione e commercializzazione di olio di semi colorato e venduto per olio extravergine di oliva. Pertanto ha correttamente rilevato che, da un canto, non era possibile affermare l'esistenza di un vincolo associativo perché a ciò osta il diverso giudizio della sentenza di assoluzione;ma che, dall'altro, restavano accertati i molti comportamenti anomali tenuti dall'E, coinvolto nelle attività dirette alla creazione di laboratori di imbottigliamento e di confezionamento di olio sofisticato, in luoghi non idonei dal punto di vista sanitario. Dal che la Corte di appello ha tratto che tali condotte concretano colpa ostativa perché davano l'apparenza del coinvolgimento in una ramificazione criminale operante in seno ad un sodalizio. A tanto la Corte di appello ha aggiunto il comportamento processuale dell'E, che ha correttamente valorizzato, posto che, in tema di rilevanza nell'ambito del giudizio riparatorio delle modalità di esercizio delle facoltà difensive, la costante giurisprudenza di questa Corte è nel senso affermativo, sia pure a ben precise condizioni. Infatti si afferma che, ai fini dell'accertamento della sussistenza della condizione ostativa della colpa grave dell'interessato - fermo restando l'insindacabile diritto al silenzio o alla reticenza o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle indagini e dell'imputato - nell'ipotesi in cui solo questi ultimi siano in grado di fornire una logica spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti nel corso delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali, rilevano ma il mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano dell'allegazione di fatti favorevoli, che se non può essere da solo posto a fondamento dell'esistenza della colpa grave, vale però a far ritenere l'esistenza di un comportamento omissivo causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale può tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in presenza di altri elementi di colpa. Sez. 4, Sentenza n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928). In rapporto alla peculiarietà del caso in esame appare opportuno richiamare l'attenzione sul fatto che la valorizzazione del silenzio serbato dal ristretto non può essere portata di per sé a ragione dell'affermazione di sussistenza di colpa grave, avendo essenziale rilievo che quel silenzio abbia mantenuto ignote all'autorità procedente informazioni che, nella disponibilità del silente, avrebbero avuto l'effetto di sottrarre gli inquirenti all'errore (Sez. 3, n. 51084 del 11/07/2017 - dep. 09/11/2017, Pedetta, Rv. 271419). Inoltre, ed è il secondo aspetto che pure merita di essere rimarcato, quel silenzio va pur sempre accompagnato ad altri elementi, convergenti verso la strutturazione di una condotta macroscopicamente imprudente o negligente. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo coniugato il silenzio - ed anzi il mendacio - dell'E con quanto di ulteriore emergeva all'esito della pronuncia assolutoria ed indicato su quali temi egli avrebbe potuto offrire un contributo chiarificatore.
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