Cass. civ., sez. I, sentenza 25/08/2005, n. 17320

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Massime1

Ai sensi dell'art. 9 legge n. 898 del 1970 (così come modificato dall'art. 2 legge n. 436 del 1978 e dall'art. 13 legge n. 74 del 1987), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata "rebus sic stantibus", rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all'affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Pertanto, nel caso di mancata attribuzione dell'assegno divorzile, in sede di giudizio di divorzio, per rigetto o per mancanza della relativa domanda, la determinazione dello stesso può avvenire solo in caso di sopravvenienza di giustificati motivi, concernenti la indisponibilità di mezzi adeguati e la impossibilità oggettiva di procurarseli, ovvero le condizioni o il reddito dei coniugi. Tale principio trova applicazione anche nella ipotesi in cui il coniuge divorziato che chiede per la prima volta l'assegno sia rimasto contumace nel giudizio di divorzio, non potendosi essere a lui riconosciuta una posizione diversa da quella del coniuge che, essendosi costituito, non abbia chiesto l'attribuzione di detto assegno.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 25/08/2005, n. 17320
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17320
Data del deposito : 25 agosto 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L M G - Presidente -
Dott. P D - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. D A S - rel. Consigliere -
Dott. G P - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso proposto da:
C R, elettivamente domiciliato in

ROMA PIAZZALE CLODIO

1, presso l'avvocato S R, rappresentato e difeso dall'avvocato C E, giusta procura in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
D G M;



- intimato -


avverso la sentenza n. 386/02 della Corte d'Appello di MESSINA, depositata il 18/07/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 05/07/2005 dal Consigliere Dott. S D A;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C A che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo, assorbiti il 2^, il 3^ e il 4^ motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Mistretta, con sentenza del 10 gennaio 1996 dichiarava la separazione personale dei coniugi R C e M D C, revocando il provvedimento presidenziale con cui era stato attribuito alla C un assegno di mantenimento. Con sentenza del 21 maggio 1997, lo stesso Tribunale, su ricorso di R C e nella contumacia di M D G, dichiarava la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio senza assumere alcun provvedimento di natura economica. Con ricorso del 24 agosto 2001, M D G adiva lo stesso Tribunale chiedendo che le fosse accordato un assegno di mantenimento non inferiore a lire 500.000 mensili, considerato il reddito di cui godeva l'ex marito e considerato che le sue condizioni di salute le impedivano di svolgere un qualsiasi proficuo lavoro. Il convenuto si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale, con sentenza del 28 febbraio 2002, in applicazione dell'art. 9 della legge n. 898/1970, condannava il Cosentino a corrispondere alla ricorrente, a far data del 14 agosto 2001, un assegno divorzile di lire 200.000 mensili, rivalutabili annualmente secondo gli indici ISTAT.
R C proponeva impugnazione che la Corte di appello di Messina rigettava, con sentenza del 18 luglio 2002, osservando che:
1) in sede di giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio era mancata, in conseguenza della contumacia della D G, l'adozione di un qualsiasi provvedimento di natura economica;

pertanto per provvedere sulla domanda della D G non era necessario il presupposto di una alterazione dell'equilibrio economico dettato in sede di divorzio;
2) la determinazione dell'assegno in lire 200.000 era giustificata dal fatto che detta somma, stabilita in sede di provvedimenti dettati dal Presidente del Tribunale nel giudizio di separazione personale, appariva ancora congrua considerato che da allora la situazione non era cambiata, che la D G era nullatenente, che il Cosentino godeva di una modesta pensione di invalidità di importo comunque non inferiore a lire 1.200.000 mensili e che, comunque, il Cosentino, come da lui stesso ammesso, aveva corrisposto di fatto l'importo di lira 200.000 per oltre dieci anni;

3) le documentate precarie condizioni di salute del Cosentino escludevano la possibilità di aumentare l'importo dell'assegno, considerato anche che la Di C nata nel 1956, era nelle condizioni di età e di salute per procurarsi un qualche reddito.
Avverso detta sentenza R C propone ricorso per Cassazione, deducendo quattro motivi. M D G non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 9 della legge n. 898/1970, lamentando che erroneamente la Corte di
appello aveva ritenuto possibile l'attribuzione per la prima volta di un assegno divorzile in sede di revisione, malgrado non fossero intervenuti, successivamente al divorzio, ne' una variazione nelle condizioni patrimoniali delle parti ne' altri giustificati motivi. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 5 della legge n. 898/1970, degli artt. 132, 2 comma, 115 e 116 c.p.c.,
dell'art. 118 d.a. c.p.c. nonché vizio di motivazione, lamentando che l'attribuzione di un assegno divorzile alla D G era stata decisa sulla base della sua mera dichiarazione di nullatenenza senza che la stessa avesse allegato e dimostrato di trovarsi in condizioni tali che le impedivano di procurarsi adeguati mezzi di vita, circostanza contraddittoriamente valutata unitamente alle precarie condizioni di salute del Consentino, soltanto al fine di escludere un aumento dell'importo dell'assegno. La Corte territoriale, in ogni caso, aveva omesso di valutare, ai fini della determinazione dell'assegno, circostanze rilevanti ai sensi dell'art. 5 cit., quali la brevissima durata della convivenza, il comportamento della moglie che dopo pochi mesi di matrimonio aveva abbandonato il marito in Germania ed era tornata dai suoi genitori, l'assenza di qualsiasi contributo della moglie alla conduzione della famiglia, inoltre, la sentenza impugnata aveva deciso sulla base dei redditi del Cosentino e non sulla base del possesso da parte di questi di mezzi adeguati. Infine, la Corte di Messina aveva affermato che la situazione era identica a quella valutata in sede di provvedimenti interinali del giudizio di separazione, senza considerare circostanze decisive risultanti dagli atti, quali la perdita del lavoro da parte del Cosentino per una sopraggiunta infermità, valutata dal Pretore penale di Mistretta, con sentenza del 23 maggio 1996, come circostanza che determinava l'impossibilità oggettiva di continuare a corrispondere, come era avvenuto per dieci anni, l'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione dal Presidente del Tribunale e per tale ragione revocato dal Tribunale con la sentenza che aveva definito il giudizio.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 132, 2 comma, c.p.c., 118 d.a. c.p.c. e 1241 (?) c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., lamentando "l'omessa, insufficiente, contraddittoria ed apparente esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione".
Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., lamentando che la Corte di appello non aveva posto
a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti e dal pubblico ministero ne' aveva valutato dette prove secondo un prudente apprezzamento.
Il primo motivo di ricorso è fondato. Questa Corte con giurisprudenza costante ha affermato che la norma di cui all'art. 9 legge n. 898 del 1970, che consente la revisione, tra l'altro, delle
condizioni di divorzio relative ai rapporti economici per sopravvenienza di "giustificati motivi", può essere legittimamente applicata, in difetto di espresse distinzioni, anche all'ipotesi in cui l'assegno divorzile sia stato originariamente negato o non abbia costituito oggetto di richiesta al momento della pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, onde è consentito al coniuge divorziato di richiedere, successivamente a tale pronuncia ed in relazione al citato art. 9, la determinazione dell'assegno precedentemente non fissato;
peraltro, anche in tal caso non deve essere compiuta una nuova (o prima) determinazione della misura dell'assegno sulla base dei criteri indicati dall'art. 5 legge cit., in quanto il riferimento alla sopravvenienza dei giustificati motivi, contenuti nel suddetto art. 9, implica l'essenziale valorizzazione delle variazioni patrimoniali intervenute successivamente al divorzio (Cass. 24 settembre 2002, n. 13860;
Cass. 25 agosto 1998, n. 8427;
Cass. 29 maggio 1990, n. 5029;
Cass. 9 aprile 1983, n. 2514;
Cass. 19 ottobre 1977, n. 4470;
Cass. 6 aprile 1977, n. 1305). A tale orientamento deve essere data continuità, confermando che l'attribuzione di un assegno di divorzio deve costituire oggetto di specifica domanda e tale domanda deve essere necessariamente proposta innanzi al giudice del divorzio. Quanto al primo punto. Costituisce acquisizione del tutto pacifica in giurisprudenza che l'attribuzione dell'assegno di divorzio non può essere disposta di ufficio, non comportando la norma di cui all'art. 5 della legge n. 898 del 1970 alcuna deroga al principio dispositivo fissato dall'art. 112 c.p.c. (Cass. 7 maggio 1998, n. 4615;
Cass. 26 giugno 1991, n. 7203;
Cass. 15 novembre 1977 n. 4970;
Cass. 25 novembre 1976, n. 4450;
Cass. 7
maggio 1974, n. 1283
). Quanto al secondo punto, il carattere necessariamente accessorio della domanda in questione emerge non solo dalla lettera dell'art. 5, comma sesto, cit., secondo cui "l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno" viene disposto "con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cassazione degli effetti civili del matrimonio", ma anche dal fatto che il giudizio di divorzio rappresenta la sede naturale per accertare con compiutezza i presupposti (indisponibilità di mezzi adeguati o comunque impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive) e gli elementi di valutazione (condizioni e reddito dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, durata del matrimonio) previsti dal citato art. 5, comma sesto. Infatti, non solo la maggior parte degli elementi di valutazione non è suscettibile di variazione nel tempo e può, quindi, essere accertata, una volta per tutte, in sede di giudizio di divorzio, ma un elemento, e cioè "le ragioni della decisione", e accertato direttamente dal giudice in sede di pronunzia sulla domanda principale di scioglimento o cassazione degli effetti civili del matrimonio. Dal carattere necessariamente accessorio della domanda discende che la sentenza di divorzio, quando per mancanza di domanda o per valutazione negativa del giudice non dispone l'attribuzione di un assegno, contiene una pronunzia esplicita o implicita sulla inesistenza di obblighi patrimoniali di un coniuge nei confronti dell'altro;
tale pronunzia e idonea a passare in cosa giudicata, sia pure "rebus sic stantibus", rimanendo perciò suscettibile di modifica soltanto in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane viceversa esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (Cass. 2 novembre 2004, n. 21049). In conclusione, dopo la pronunzia del giudice del divorzio, nel caso di mancata attribuzione di un assegno sia perché la domanda è stata respinta sia perché non è stata neppure proposta, la fissazione per la prima volta di un assegno potrà avvenire, non ai sensi dell'art. 5 della legge n. 898/1970, ma ai sensi del successivo art. 9, e
pertanto solo se sopravvengono giustificati motivi, con l'avvertenza che tale sopravvenienza, in concreto e per quanto sopra detto, potrà riguardare soltanto l'indisponibilità di mezzi adeguati o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive ovvero le condizioni ed il reddito dei coniugi.
Tale principio deve essere applicato anche nel caso, rispetto al quale non constano precedenti, in cui il coniuge divorziato che chiede per la prima volta la determinazione dell'assegno sia rimasto contumace nel giudizio di divorzio. La contumacia, infatti, non determina una diversa portata della pronunzia di divorzio e, in particolare, non consente di attribuire alla mancata attribuzione di un assegno un significato diverso da quello sopra chiarito e non consente perciò al giudice, adito ai sensi dell'art. 9 cit., di riconoscere al coniuge che è rimasto contumace una posizione diversa da quella del coniuge che, essendosi costituito, non ha chiesto l'attribuzione di un assegno divorzile.
Dall'accoglimento del primo motivo consegue l'assorbimento degli altri motivi.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte pronunzia nel merito rigettando la domanda, considerato che la D G ha fondato la propria richiesta sul reddito di cui godeva l'ex marito e sulla sue condizioni di salute, che le impedivano di svolgere un qualsiasi proficuo lavoro, senza dedurre, invece, come richiesto dall'art. 9 della legge n. 898/1970, la sopravvenienza, dopo la sentenza di
cessazione degli effetti civili del matrimonio, di giustificati motivi di revisione.
Soccorrono giusti motivi per compensare le spese dell'intero giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi