Cass. pen., sez. IV, sentenza 13/06/2023, n. 25350
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: M COSIMO nato a CARDINALE il 26/09/1954 avverso l'ordinanza del 29/11/2022 del TRIB. LIBERTA' di CATANZARO svolta la relazione dal Consigliere G C;udito il Procuratore generale, in persona del sostituto S S, la quale si è riportata alla memoria in atti, concludendo per l'inammissibilità del ricorso;udito l'avv. M R del foro di Roma, per M Cosimo, in sostituzione dell'avvocato S R, per M COSIMO, il quale ha depositato nomina ex art. 102 c.p.p., illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento. Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'art. 324, cod. proc. pen., a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione di precedente provvedimento di rigetto dell'appello proposto da M Cosimo, quale titolare della ditta individuale Sherwood, avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del patrimonio della citata ditta individuale, in parziale accoglimento dell'appello, ha disposto il dissequestro e la restituzione dell'immobile ubicato in Polia di proprietà di M Anna Maria, ma con diritto di usufrutto in capo a P R, nonché dei terreni ubicati in Monterosso Calabro acquistati dal M con atto del 20/2/2014 e rigettato nel resto l'appello. In particolare, il giudice rimettente, nel recepire le conclusioni del Procuratore generale, ha dato rilievo alla circostanza, dedotta dal ricorrente, che i beni sequestrati ai sensi dell'art. 240 bis cod. pen. erano stati acquistati molti anni prima dell'epoca in cui risulta commesso il reato presupposto della misura (2016). Per tale ragione, ha ritenuto insussistente un ambito di ragionevolezza temporale tra il reato presupposto e l'acquisto del bene, rilevando come, su questo profilo, il provvedimento del tribunale del riesame non presentasse alcuna motivazione, con conseguente sussistenza del vizio di legittimità dedotto (mancato confronto della motivazione con i rilievi svolti dalla difesa e assenza della motivazione sul punto, vizio che si sarebbe tradotto in una violazione di legge, unico deducibile con il ricorso avverso i provvedimenti di natura cautelare reale). Sul punto, peraltro, ha rilevato che, pur essendo vero che, in sede di riesame, avverso il decreto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, e fatti salvi i casi di manifesta sproporzione tra il valore dei beni oggetto del provvedimento ablatorio ed il quantum del profitto del reato indicato nella richiesta al Giudice per le indagini preliminari della pubblica accusa, il tribunale non ha il potere di compiere accertamenti diretti a verificare il rispetto del principio di proporzionalità, lo stesso è però tenuto a valutare il contenuto dell'eventuale consulenza tecnica presentata dalla parte ricorrente. Pertanto, ha disposto il rinvio per nuovo giudizio in relazione all'evidenziato, necessario confronto e alle eventuali successive determinazioni. 2. La difesa del M ha proposto ricorso, formulando una censura unica, con la quale ha dedotto violazione e erronea applicazione dell'art. 240 bis, cod. pen., in relazione all'art. 512 stesso codice e del TU sui redditi per omessa motivazione su alcuni punti ritenuti decisivi per la valutazione del requisito della sproporzione, vale a dire la perimetrazione temporale della confisca, in base al principio di ragionevolezza, avuto riguardo all'epoca di costituzione dell'azienda Sherwood (2010) e alla capacità reddituale del M;all'utilizzo dei dati ISTAT e/o dell'indice di povertà assoluta;infine sulla omessa valutazione delle allegazioni difensive per erroneità dei calcoli effettuati dalla PG.In particolare, quanto al primo profilo, la difesa ha rilevato che, pur avendo il Tribunale ritenuto che l'azienda non fosse sottoponibile a confisca ai sensi dell'art. 416 bis, c. 7, cod. pen., ha però ritenuto che lo fosse ai sensi dell'art. 240 bis, stesso codice, con motivazione del tutto apparente, poiché non avrebbe considerato che la stessa ha ad oggetto sociale la coltivazione di terreni e va inquadrata come azienda agricola, sottoposta a regime fiscale agevolato, per la quale non è necessario versare capitale sociale, dovendosi considerare anche i contributi AGEA e ARCEA e tutti i redditi esenti. La difesa dà poi atto che la PG, a fronte dei rilievi del proprio consulente (le cui conclusioni sorreggono le doglianze veicolate con il ricorso, stanti i ripetuti rinvii), aveva rimodulato le tabelle sperequative, riducendo la originaria sproporzione per euro 700.00,00 a una pari a euro 24.000,00. Quanto, invece, all'utilizzo dei parametri ISTAT, la difesa ne contesta la legittimità, atteso che il suo impiego è stato giustificato con una clausola di stile, a fronte di giustificazioni da parte dell'interessato basate su dati reddituali. Il dato ISTAT, secondo la difesa, non è riconducibile direttamente al destinatario della confisca o a una sua condotta e neppure è conseguenza di una sua azione o omissione. Esso rappresenta solo un dato statistico non riferibile soggettivamente al destinatario dell'atto ablativo, finendo per attribuire al soggetto una spesa che però non è conseguenza di un suo comportamento. Infine, con specifico riferimento alle allegazioni difensive, la difesa rileva che la disamina degli elementi contabili ricostruiti nella consulenza allegata farebbe emergere l'assenza di numerose voci di reddito, la PG avendo omesso di riportare il dato sperequativo dell'anno precedente all'anno successivo, errore che finirebbe con il riverberarsi sul calcolo finale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Deve premettersi che dalla valutazione della sussistenza di un ragionamento esplicativo da parte dei giudici territoriali devono escludersi i beni immobili oggetto di dissequestro, disposto in accoglimento del gravame, avuto riguardo al criterio indicato dal giudice rimettente (quello cioè della ragionevolezza temporale tra gli acquisti e il fatto di reato). Oggetto della disamina pertanto è la verifica della dedotta violazione di legge, sub specie assenza di motivazione, con riferimento ai residui beni per i quali l'appello è stato rigettato ritenuta la sproporzione tra guadagni (come ricavati dai redditi dichiarati ai fini delle imposte) e patrimonio, in virtù del maccanismo presuntivo, in base al quale l'illecita accumulazione può essere superata dall'interessato a mezzo di specifiche e verificate allegazioni che attestino la legittima provenienza dei beni e un loro acquisto con provviste proporzionate alla capacità reddituale lecita, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato. Nel dettaglio, i giudici territoriali hanno valutato i singoli cespiti, per ognuno dando conto della prossimità temporale degli acquisti rispetto al reato per il quale si procede a carico del M (art. 512 bis, cod. pen., aggravato dalla agevolazione mafiosa), precisando che, poiché si tratta di beni di un'azienda intestata a soggetto diverso da quello già condannato in primo grado per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso (il figlio, cioè, del ricorrente), ai fini della confisca di cui all'art. 416 bis, c. 7, cod. pen., sarebbe stato necessario dimostrare gli elementi indiziari dai quali inferire che il M padre, odierno ricorrente, fosse solo un prestanome del figlio e l'azienda agricola una articolazione aziendale della cosca (neppure nel procedimento a carico del figlio essendo stata disposta la confisca del compendio aziendale di che trattasi). Il Tribunale, premesso che non erano stati allegati a difesa elementi atti a disarticolare il fumus commissi delícti ormai consacrato nel rinvio a giudizio dell'imputato, punto sul quale peraltro non consta motivo di ricorso, ha ritenuto che i beni dell'azienda fossero confiscabili in relazione al reato di trasferimento di valori (in concorso con A e con il figlio N A, questi ultimi già condannati in abbreviato nel primo grado di giudizio anche per tale fattispecie criminosa), per il quale si procede in dibattimento nei confronti dell'odierno ricorrente, rilevando intanto la confusione dei patrimoni dell'imprenditore e della ditta individuale. Ha, poi, precisato che i beni di cui alla lett. b) del decreto di sequestro erano stati appresi obbligatoriamente siccome mezzo e profitto del reato, pertanto, in base al disposto di cui all'art. 240, cod. pen., procedendo, poi, all'analisi della sproporzione ai sensi dell'art. 240 bis, cod. pen., quanto ai restanti beni, alla stregua del principio di diritto posto dal giudice rimettente (ragionevolezza temporale degli acquisti rispetto al reato), ritenendo fondato l'appello solo per quei beni che erano entrati nel patrimonio familiare in epoca non sospetta e di cui sopra si è detto. Nel compiere detta valutazione, ha ritenuto non congruenti i redditi dichiarati e le provviste legittime allegate rispetto al loro valore (terreni in Capistrano acquistati nel 2016 con pagamenti anticipati negli anni immediatamente precedenti e un'autovettura Panda rispetto alla quale ha rilevato il difetto di allegazioni difensive atte a vincere la presunzione di sproporzione;lo stesso, quanto ai beni formalmente intestati al figlio F e al libretto di risparmio intestato a PENNA, rispetto ai primi risolutivamente rilevando il difetto di interesse da parte dell'odierno ricorrente). Quanto, poi, al requisito della sproporzione, il Tribunale ha ritenuto i rilievi difensivi insufficienti a disarticolare la relativa presunzione, anche considerati i proventi dei contributi ARCEA/AGEA per i finanziamenti alle imprese, indicati nella pag. 11 della consulenza di parte, ritenendo il persistere di una consistente sproporzione per gli anni 2014-2015-2016, quanto ai risparmi accumulati nel 2013 ritenendoli irrisori e insufficienti a giustificare gli acquisti effettuati in quel triennio. Quanto, poi, ai criteri adottati dalla Guardia di Finanza ai fini del calcolo di spesa, ha ritenuto corretto l'utilizzo dei dati ISTAT, relativi al valore della spesa media annua per nucleo familiare, in quanto criteri forfettari da rapportare al concreto mediante un confronto diretto con il tenore di vita del soggetto e della sua famiglia. Alla stregua di quei dati, ha dunque ritenuto che le operazioni economiche complessive, riconducibili a quel nucleo familiare (acquisto terreni e autovetture, costituzione di una ditta individuale con relativo compendio aziendale, titoli ordinari e rapporti bancari) fossero indicative di un tenore di vita incongruo, rivelatore piuttosto di una capacità di effettuare investimenti e sostenere spese oltre il fabbisogno personale.
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