Cass. pen., sez. I, sentenza 16/04/2021, n. 14399
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI PALERMOnel procedimento a carico di: SCRIMA GIUSEPPE nato a PALERMO il 24/11/1944 avverso l'ordinanza del 15/07/2020 del TRIB. LIBERTA' di PALERMO udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO R;
sentite le conclusioni del PG LUIGI ORSI che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso del PM. E presente l'avvocato DE L TO del foro di PALERMO in difesa di SCRIMA GIUSEPPE che conclude chiedendo l'inammissibilità del ricorso del PM.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo accoglieva l'appello proposto nell'interesse di S G avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale che aveva respinto l'istanza di revoca della misura cautelare, ordinando l'immediata liberazione dell'indagato. G S è indagato per il delitto di cui agli artt. 81, 110, 379 e 416 bis.1 cod. pen. per avere aiutato esponenti di vertice della famiglia mafiosa dell'Acquasanta ad assicurarsi i proventi del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa;
in particolare, quale presidente di una cooperativa, si sarebbe messo a disposizione della famiglia Fontana per l'esecuzione congiunta di lavori mediante la sottoscrizione di contratti di subappalto, agevolandone l'infiltrazione in tali contesti imprenditoriali. Nell'ambito di tale rapporto egli, in violazione degli artt. 110 e 648 bis cod. pen., aveva posto in essere operazioni finanziarie volte ad impedire l'identificazione della provenienza delittuosa delle somme, emettendo assegni bancari dal conto corrente della cooperativa di cui era presidente a beneficio di quella controllata dai Fontana, così trasferendole una cifra superiore a 350.000 euro in due anni;
mediante il medesimo meccanismo aveva destinato a Ferrante Giovanni l'importo di 15.000 euro. L'ordinanza cautelare aveva individuato le figure di Giovanni Ferrante e di Roberto G come soggetti affidabili tramite i quali la famiglia Fontana gestiva gli affari illeciti di Cosa Nostra;
il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto che, attraverso G, Todaro Bruno e S, la famiglia mafiosa dell'Acquasanta esercitasse il controllo degli affari presso il cantiere navale di Palermo. La difesa dell'indagato non aveva impugnato l'ordinanza cautelare con la richiesta di riesame, ma aveva avanzato richiesta di revoca della misura, richiamando il contenuto dell'interrogatorio di G S: la Cooperativa Rinascita P, di cui l'indagato era legale rappresentante, aveva stipulato un'associazione temporanea di imprese con la Cooperativa di sabbiatori Spavesana, di cui era legale rappresentante G;
i pagamenti fatti erano giustificati da questo rapporto e non costituivano affatto una forma di riciclaggio. Secondo il Tribunale, da una parte le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, secondo cui S era "protetto" dalla famiglia mafiosa, costituivano un'indicazione "fumosa" e, comunque, non indicavano affatto una attività di favoreggiamento del sodalizio;
dall'altra, non sussisteva il riciclaggio se i pagamenti effettuati da una cooperativa all'altra, che aveva emesso regolari fatture, costituivano la contropartita delle prestazioni lavorative eseguite dalla seconda;
in effetti, nessuno aveva messo in dubbio che i lavori affidati dalla Fincantieri alla Cooperativa Rinascita P fossero stati eseguiti, così come quelli affidati alla Cooperativa Spavesana. Il fatto che Fontana controllasse G e che questi avesse consentito l'infiltrazione del gruppo mafioso nella cooperativa da lui amministrata non dimostrava affatto che altrettanto avesse fatto S;
né integrava il favoreggiamento la stipulazione dell'Associazione Temporanee di Imprese. Non solo: dalle indagini si ricavava che la famiglia Fontana utilizzava i cantieri navali per attingere denaro lecito mediante estorsioni, anziché per ripulire quello illecito. Era verosimile - e ve ne era qualche traccia nell'ordinanza genetica - che anche la Cooperativa Rinascita P fosse vittima di tali estorsioni. Ad abundantiam, il Tribunale rimarcava l'insussistenza assoluta di esigenze cautelari.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, DDA, deducendo vizio della motivazione. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia non erano affatto fumose ed erano confermate dalle intercettazioni, che dimostravano che S faceva lavorare le ditte del clan, sia attraverso la costituzione dell'ATI con la Spavesana, sia facendo gestire la P dallo
sentite le conclusioni del PG LUIGI ORSI che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso del PM. E presente l'avvocato DE L TO del foro di PALERMO in difesa di SCRIMA GIUSEPPE che conclude chiedendo l'inammissibilità del ricorso del PM.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo accoglieva l'appello proposto nell'interesse di S G avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale che aveva respinto l'istanza di revoca della misura cautelare, ordinando l'immediata liberazione dell'indagato. G S è indagato per il delitto di cui agli artt. 81, 110, 379 e 416 bis.1 cod. pen. per avere aiutato esponenti di vertice della famiglia mafiosa dell'Acquasanta ad assicurarsi i proventi del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa;
in particolare, quale presidente di una cooperativa, si sarebbe messo a disposizione della famiglia Fontana per l'esecuzione congiunta di lavori mediante la sottoscrizione di contratti di subappalto, agevolandone l'infiltrazione in tali contesti imprenditoriali. Nell'ambito di tale rapporto egli, in violazione degli artt. 110 e 648 bis cod. pen., aveva posto in essere operazioni finanziarie volte ad impedire l'identificazione della provenienza delittuosa delle somme, emettendo assegni bancari dal conto corrente della cooperativa di cui era presidente a beneficio di quella controllata dai Fontana, così trasferendole una cifra superiore a 350.000 euro in due anni;
mediante il medesimo meccanismo aveva destinato a Ferrante Giovanni l'importo di 15.000 euro. L'ordinanza cautelare aveva individuato le figure di Giovanni Ferrante e di Roberto G come soggetti affidabili tramite i quali la famiglia Fontana gestiva gli affari illeciti di Cosa Nostra;
il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto che, attraverso G, Todaro Bruno e S, la famiglia mafiosa dell'Acquasanta esercitasse il controllo degli affari presso il cantiere navale di Palermo. La difesa dell'indagato non aveva impugnato l'ordinanza cautelare con la richiesta di riesame, ma aveva avanzato richiesta di revoca della misura, richiamando il contenuto dell'interrogatorio di G S: la Cooperativa Rinascita P, di cui l'indagato era legale rappresentante, aveva stipulato un'associazione temporanea di imprese con la Cooperativa di sabbiatori Spavesana, di cui era legale rappresentante G;
i pagamenti fatti erano giustificati da questo rapporto e non costituivano affatto una forma di riciclaggio. Secondo il Tribunale, da una parte le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, secondo cui S era "protetto" dalla famiglia mafiosa, costituivano un'indicazione "fumosa" e, comunque, non indicavano affatto una attività di favoreggiamento del sodalizio;
dall'altra, non sussisteva il riciclaggio se i pagamenti effettuati da una cooperativa all'altra, che aveva emesso regolari fatture, costituivano la contropartita delle prestazioni lavorative eseguite dalla seconda;
in effetti, nessuno aveva messo in dubbio che i lavori affidati dalla Fincantieri alla Cooperativa Rinascita P fossero stati eseguiti, così come quelli affidati alla Cooperativa Spavesana. Il fatto che Fontana controllasse G e che questi avesse consentito l'infiltrazione del gruppo mafioso nella cooperativa da lui amministrata non dimostrava affatto che altrettanto avesse fatto S;
né integrava il favoreggiamento la stipulazione dell'Associazione Temporanee di Imprese. Non solo: dalle indagini si ricavava che la famiglia Fontana utilizzava i cantieri navali per attingere denaro lecito mediante estorsioni, anziché per ripulire quello illecito. Era verosimile - e ve ne era qualche traccia nell'ordinanza genetica - che anche la Cooperativa Rinascita P fosse vittima di tali estorsioni. Ad abundantiam, il Tribunale rimarcava l'insussistenza assoluta di esigenze cautelari.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, DDA, deducendo vizio della motivazione. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia non erano affatto fumose ed erano confermate dalle intercettazioni, che dimostravano che S faceva lavorare le ditte del clan, sia attraverso la costituzione dell'ATI con la Spavesana, sia facendo gestire la P dallo
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