Cass. pen., sez. I, sentenza 01/02/2023, n. 04226
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la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: C G nato a NAPOLI il 15/05/1968 T S nato a NAPOLI il 13/06/1971 D'AMICO ANTONIO nato a NAPOLI il 11/09/1973 avverso la sentenza del 09/11/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere P T;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore M F L, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi, riportandosi alla memoria precedentemente depositata;uditi i difensori: l'avvocato P R del foro di NAPOLI, in difesa di C G, ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;l'avvocato M S L del foro di NAPOLI, in difesa di T S, ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso;RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 25 gennaio 2013, il Tribunale di Napoli dichiarò- per quanto qui rileva - C G, T S e D'Amico Antonio, in concorso tra loro e con D'Amico Giuseppe, responsabili dei reati di detenzione e di porto illegale di una pistola mitragliatrice tipo Scorpio, arma da guerra, con le aggravanti di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis cod. pen., e - per il solo D'Amico Antonio - dell'avere commesso il fatto mentre era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza, nonché con l'ulteriore aggravante della recidiva reiterata infraquinquennale per il Ta e il D'Amico;dichiarò inoltre, il C responsabile della contravvenzione di porto ingiustificato di un coltello a serramanico e, conseguentemente, condannò: - C G alla pena di anni sette di reclusione ed €.700,00 di multa per i reati di porto e detenzione di arma da guerra e a quella di mesi tre di arresto e di €.200,00 di ammenda per la contravvenzione di porto illegale del coltello a serramanico;- T S e D'Amico Antonio alla pena di anni otto di reclusione e di €. 800,00 di multa, ciascuno. 2. Avverso tale sentenza proposero appello i difensori degli imputati. 2.1. Quello del C chiese che il proprio assistito venisse assolto dal reato di porto illegale dell'arma da guerra perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso, nonché dalla contravvenzione di porto ingiustificato del coltello a serramanico perché il fatto non costituisce reato;chiese, inoltre, in via subordinata, che venissero escluse la fattispecie dell'arma da guerra e l'aggravante di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis cod. pen., nonché di ritenersi il concorso nel solo porto illegale dell' arma;in via ulteriormente gradata, chiese che venissero concesse all'imputato le circostanze attenuanti generiche„ con condanna al minimo della pena. 2.2. Il difensore del Ta chiese che il predetto venisse assolto dal reato di porto illegale dell'arma da guerra per non avere commesso il fatto;chiese, inoltre, in via subordinata, che venisse esclusa l'aggravante dell'avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis cod. pen.;in via ulteriormente gradata, chiese che venissero concesse all'imputato le circostanze attenuanti generiche e che la pena venisse contenuta nel minimo. 2.3. Il difensore di D'Amico Antonio chiese che l'imputato venisse assolto dal reato di porto illegale dell'arma da guerra per non avere commesso il fatto;chiese, inoltre, in via subordinata, che venissero escluse la fattispecie dell'arma da guerra e l'aggravante di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis cod. pen.;in via ulteriormente gradata, chiese che, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, la pena fosse contenuta nel minimo. 3. Con pronuncia resa in data 9 novembre 2021, la Corte di appello di Napoli, in riforma della decisione impugnata, dichiarò non diversi procedere in ordine al reato di porto ingiustificato del coltello a serramanico, contestato al C, perché estinto per prescrizione ed escluse la recidiva contestata a T S;conseguentemente, rideterminò il trattamento sanzionatorio nei confronti dei predetti imputati nella misura di anni cinque di reclusione e di C. 450,00 di multa, ciascuno;rideterminò, inoltre, la pena inflitta a D'Amico Antonio nella misura di anni cinque anni, mesi quattro di reclusione ed C. 500,00 di multa;confermò, nel resto, la decisione appellata. 4. I Giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità degli imputati anzitutto grazie alle testimonianze rese dagli agenti di polizia B S e M G. Costoro avevano dichiarato che: il 3 maggio del 2008 erano di pattuglia, in abiti borghesi e a bordo di una moto, nella zona delle Case Nuove di Napoli e, all'incirca alle ore 11.50, avevano visto sbucare e dirigersi verso loro un gruppo di motociclette, che viaggiavano in modo compatto, e a bordo di ciascuna delle quali si trovavano due persone;alla vista di quel corteo di moto, uno dei due agenti aveva ritenuto di qualificarsi e aveva perciò alzato la paletta in dotazione, in nodo di segnalare la sua appartenenza alle Forze dell'Ordine;una delle motociclette componenti il corteo, di marca Honda Transalp, si era sganciata dal gruppo il quale, muovendosi in maniera coordinata e armonica, aveva aperto un varco;una delle persone a bordo di quel mezzo aveva estratto dalla camicia una pistola mitragliatrice;tuttavia, tale persona non aveva aperto il fuoco in quanto il conducente di altra moto, accortosi che i due motociclisti in borghese erano dei poliziotti, aveva urlato di non sparare;i motocicli componenti il corteo avevano proseguito la marcia;loro erano riusciti a bloccare quello su cui viaggiavano C G e T S. I suddetti agenti avevano aggiunto che, nel proseguo delle indagini, grazie alla visione di alcune foto di pregiudicati contenute in un album fotografico, avevano riconosciuto tra i partecipanti al corteo, D'Amico Giuseppe, il quale era la persona che aveva estratto l'arma, nonché D'Amico Antonio, il quale era colui il quale aveva urlato di non sparare. A tali elementi, ritenuti sufficienti per la condanna degli imputati in primo grado, si era aggiunta, in grado di appello, la dichiarazione resa dal c:ollaboratore di giustizia C Carmine, il quale aveva preso parte a quel corteo di moto e aveva chiamato in correità tutti gli odierni imputati, chiarendo che gli stessi, unitamente ad altri sodali, avevano intenzione di effettuare un corteo armato per affermare la supremazia del loro clan in alcuni luoghi di Napoli.5. Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di C G, T S e D'Amico Antonio. 6. L'avvocato R P, nell'interesse del C, ha formulato sette motivi di impugnazione. 6.1. Con il primo motivo, ha dedotto, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli stessi atti del processo. Totale omissione di valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, che ha consentito la condanna dell'imputato (art. 533, primo comma, cod. proc. pen.). Sulla ragione della presenza del C sul luogo dove il gruppo di motociclisti incrociò gli agenti di Polizia". Il ricorrente ha sostenuto che i giudici del merito avrebbero del tutto ignorato le prove introdotte dalla difesa per dimostrare le ragioni della presenza del C nella via Padre Ludovico da Casoria, ove venne vista l'arma dalle Forze di polizia operanti, e di avere del pari ignorato le dichiarazioni rese dall'imputato in sede di convalida dell'arresto. Secondo la tesi difensiva, il C - come dallo stesso immediatamente riferito agli operanti - si trovava in quel luogo perché si stava recando a trovare il padre, che risiedeva appunto in quella strada. E la sentenza impugnata mancherebbe di motivazione sul punto. 6.2. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli stessi atti del processo. Totale omissione di valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, che ha consentito la condanna dell'imputato (art. 533, primo comma, cod. proc. pen.). Sulla circostanza dell'incensuratezza dell'imputato, sulla sua attività lavorativa, sulla sua lontananza dal clan C". Ad avviso del ricorrente, la decisione impugnata sarebbe priva di motivazione anche in ordine alle deduzioni difensive secondo cui l'imputato non avrebbe fatto parte alla "ronda" con i motocicli, come dimostrerebbero le circostanze che si tratta di persona incensurata, che non aveva avuto alcun fermo con i coimputati e che esercita un'onesta attività lavorativa, come dimostrato dai testimoni Rioleva Salvatore e Mancini Ciro. 6.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., "mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli stessi atti del processo. Totale omissione di valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, che ha consentito la condanna dell'imputato (artt. 192, 533, primo comma, cod. proc. pen.). Sulla circostanza che l'imputato non ha mai partecipato alle attività del clan C. Sulle confuse e non riscontrate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Sul conferimento di valore probatorio alle predette dichiarazioni, che non sono state sottoposte ad adeguato vaglio da parte del Tribunale e della Corte di appello e, pertanto, non potevano contribuire alla formazione del libero convincimento". Il ricorrente ha sostenuto che i giudici della Corte di appello cli Napoli avrebbero errato a dare credito alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia C Carmine senza sottoporle "al triplice vaglio della credibilità del dichiarante, dell'attendibilità della chiamata e, infine, verificare la disamina dei riscontri esterni". Secondo la tesi difensiva, inoltre, dalle suddette dichiarazioni non si evincerebbe che l'imputato fosse consapevole dell'esistenza delle così dette "ronde", né vi sarebbe traccia di alcuna sua partecipazione alla riunione che aveva progettato ed eseguito la "ronda" del 3 maggio 2008;mentre le dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia non sarebbero idonee a corroborare quelle accusatorie del C, atteso che costoro avrebbero fatto confusione tra l'imputato e i vari componenti della sua famiglia e che, in ogni caso, avrebbero reso affermazioni che - seppur credibili - non avrebbero apportato alcun elemento probatorio rispetto alla specifica accusa mossa nei confronti dell'imputato.
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