Cass. pen., sez. III, sentenza 10/03/2020, n. 09402
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Segnala un errore nella sintesiLa Corte ha rigettato tali argomentazioni, affermando che l'autonomia del procedimento di autorizzazione paesaggistica rispetto al permesso di costruire implica che l'onere di dimostrare la compatibilità dell'intervento con il vincolo paesaggistico ricade sull'interessato. La Corte ha sottolineato che l'imputato, pur avendo ottenuto il permesso, non aveva mai richiesto l'autorizzazione paesaggistica necessaria, e che la sua responsabilità penale non poteva essere esclusa dalla presunta delega del Comune. La sentenza ha quindi confermato la penale responsabilità dell'imputato, evidenziando la mancanza di prova di buona fede e la necessità di rispettare le normative vigenti in materia di vincoli paesaggistici.
Sul provvedimento
Testo completo
te SENTENZA sul ricorso proposto da ES CI, nato a [...] 1'11.8.1965 avverso la sentenza in data 12.7.2018 della Corte di Appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ettore Pedicini, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori, avv.ti Daniele Chiezzi e Massimo Grotti, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 12.7.2018 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia resa all'esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Siena, ha confermato la penale responsabilità di CI TI per il reato di cui all'art. 181, comma 1 bis lett. b) d. 1gs. 42/2004 per aver realizzato, previo disboscamento del terreno, in qualità di proprietario e committente nella veste di legale rappresentante della TI s.r.l. due capannoni industriali della superficie rispettiva di 1.350 e 2.700 mq in area sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto boschiva, in assenza dell'autorizzazione della Soprintendenza, ed ha dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il concorrente reato di cui all'art. 44 lett c) d.P.R. 380/2001, riducendo per l'effetto la pena in un anno e due mesi di reclusione.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge che essendo stato richiesto ed ottenuto il permesso di costruire, di fatto costituito da ben tre titoli abilitativi, incombesse sul Comune, e non già sul privato cittadino l'onere di valutare se l'intervento necessitasse o meno di autorizzazione paesaggistica, tanto più che nella specie il Comune di Trequanda è secondo la legge regionale toscana, e segnatamente dalle L. n. 39 del 2000 e n.1 del 2005, attuative della delega amministrativa di cui all'art. 146 d. Igs. 42/2004, l'unico organo preposto a valutare se il tipo di intervento necessiti o meno della suddetta autorizzazione e ad acquisire il parere della Soprintendenza competente alla tutela del vincolo paesaggistico per la presenza di una presunta area boschiva. Invoca al riguardo tanto l'art. 5 d.P.R. 380/2001 che prevede nel terzo comma che sia lo Sportello Unico per l'Edilizia ad acquisire gli atti di assenso previsti per gli interventi edilizi su immobili vincolati ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, quanto l'art. 83 L. Reg. Toscana 1/2005 secondo cui, nel caso in cui all'istanza del permesso di costruire non siano stati allegati tutti gli atti di assenso delle altre amministrazioni necessario per l'esecuzione dei lavori, il responsabile del procedimento acquisisce gli atti di assenso entro 60 giorni dalla presentazione dell'istanza ovvero indìce a tal fine una conferenza di servizi. In definitiva secondo la difesa il Comune aveva ritenuto in sede di pianificazione urbanistica che l'area in questione non fosse soggetta ad alcun vincolo paesaggistico, come del resto emerge espressamente dalle repliche indirizzate dal Comune di Trequanda alle osservazioni della Provincia di Siena in cui si dà atto che le modifiche effettuate ai perimetri delle aree non incidono su aree boscate e che comunque, quand'anche un vicolo in tal senso vi fosse, era il Comune che avrebbe dovuto attivarsi per conseguirlo prima di definire la pratica edilizia. Non essendovi alcuna prova, e comunque non essendo stata ventilata neppure l'ipotesi, di una collusione tra la P.A. e l'imputato, costui doveva ritenersi in perfetta buona fede, non essendo consapevole dell'esistenza di un vincolo paesaggistico che a detta del Comune, ovverosia dell'organo competente, sia pure per delega, alla sua tutela, non c'era, e conseguentemente non poteva comunque configurarsi in capo al medesimo alcun dolo. Deduce inoltre che essendo decorso il termine inizialmente fissato in tre anni dall'art. 21 nonies della L. 241/1990 e ridotto dalla L. 124/2015 a diciotto mesi, dal rilascio del permesso di costruire, risalente al 2011, l'atto non era più passibile di revoca o di annullamento quand'anche fosse stato ab origine illegittimo per difetto dell'autorizzazione paesaggistica, il che precludeva al giudice penale la possibilità di disapplicarlo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non può essere ritenuto ammissibile. L'assunto della difesa,