Cass. civ., sez. V trib., ordinanza interlocutoria 02/07/2020, n. 13484

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., ordinanza interlocutoria 02/07/2020, n. 13484
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13484
Data del deposito : 2 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

to la seguente ORDINANZA INTERLOCUTORIA sul ricorso 15253-2019 proposto da: ENTE CAMBIANO SCCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE LIEGI

32, Presso lo studio dell'avvocato M C, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO PISTOLESI, MARCO MICCINESI giusta delega a margine;

- ricorrente -

2019 contro 5229/ AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
controricorrente - avverso la sentenza n. 2245/2018 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE, depositata il 13/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2019 dal Consigliere Dott. L N;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. S D M che ha concluso ber il rigetto dei grimi nove motivi di ricorso e assorbimento del 10°;
udito per il ricorrente l'Avvocato MICCINESI che ha chiesto l'accoglimento;
udito per il controricorrente l'Avvocato FIANDACA che ha chiesto il rigetto. R.G.N. 15253/2019 Rilevato che:

1. L'Ente Cambiano Società Cooperativa per Azioni (già Banca di Credito Cooperativo di Cambiano Società Cooperativa per Azioni) versò all'erario la somma di euro 54.208.740,00, pari al 20% del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, esercitando così l'opzione di cui all'art. 2, comma 3-bis, del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito con modificazioni dalla I. 8 aprile 2016, n. 49, della c.d. way out, ossia la possibilità per le banche di credito cooperativo aventi alla predetta data patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro, di conferire l'azienda bancaria ad una società per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria, modificando il proprio statuto in modo da escludere l'esercizio dell'attività bancaria e mantenendo nel contempo le clausole mutualistiche di cui all'art.2514 cod. civ., assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società per azioni conferitaria di formazione ed informazione sui temi del risparmio e di promozione dei programmi di assistenza. L'Ente formulò quindi istanza di rimborso sia alla Direzione provinciale di Firenze sia alla Direzione Regionale dell'Agenzia delle Entrate, impugnando di seguito il silenzio - rifiuto formatosi su detta istanza dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, che rigettò il ricorso.

2. La Commissione tributaria regionale (CTR) della Toscana, con sentenza n. 2245/4/2018, depositata il 13 dicembre 2018, non notificata, respinse a sua volta l'appello proposto dall'Ente, condannandolo altresì al pagamento delle spese di lite.

3. Avverso la sentenza della CTR l'Ente Cambiano ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi, con i quali sono prospettate, tra l'altro (primi tre motivi), diverse questioni afferenti la dedotta incompatibilità della suddetta disciplina normativa con il diritto i primario e secondario dell'Unione europea, con richiesta, in via gradata all'istanza di disapplicazione della normativa suddetta nella parte in cui subordina l'esercizio della succitata opzione al versamento dell'imposta sopra indicata, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, nonché di sollevare questione di legittimità costituzionale (motivi da quattro ad otto), in relazione agli artt. 3, 42, 45, 53 Cost., nonché all'art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'Uomo in tema di protezione della proprietà (quarto motivo), nonché in relazione agli artt. 45, 47 e 77 Cost. (quinto motivo), agli artt. 41 Cost. e 16 della Carta dei diritti 41 e 117 Cost. a presidio del principio della libera concorrenza (settimo e ottavo motivo). L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Considerato che:

1. Con il primo motivo l'ente ricorrente denuncia «violazione e/o falsa applicazione dei principi europei di libera concorrenza e di salvaguardia del mercato, consacrati negli artt. 101, 102, 120 e 173 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea» (di seguito, ove non virgolettato, TFUE), in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la CTR ha ritenuto legittima l'imposizione in oggetto, sebbene la c.d. way out per le banche di credito cooperativo dotate d'ingente patrimonio che non avessero inteso prestare adesione a gruppo cooperativo bancario prevedesse il conferimento dell'azienda bancaria in società per azioni anche di nuova costituzione, permanendo, in capo alla conferente, pur a seguito delle conseguenti variazioni statutarie regolarmente approvate, la finalità mutualistica da svolgere anche attraverso il pacchetto azionario conseguito mediante l'anzidetto conferimento;
con ciò, dunque, ledendo in primo luogo la normativa primaria unionale di cui in rubrica a tutela dei principi di libera concorrenza e salvaguardia del mercato.

2. Con il secondo motivo l'Ente Cambiano lamenta «violazione e/o falsa applicazione del principio di libera circolazione dei capitali, di cui all'art. 63 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, meglio specificato dalla Direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008, "concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali", che recepisce la Direttiva 69/335/CEE del 17 luglio 1969, la quale afferma, salve le eccezioni di cui all'art. 6 (già art. 12 della Direttiva n. 69 cit.), non ricorrenti nella vicenda in oggetto, la neutralità degli atti di conferimento», in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Premesso che il legislatore europeo ha fissato nel limite massimo dell'i% del valore reale dei beni di qualsiasi natura conferiti, dedotte le obbligazioni assunte e gli oneri sostenuti dalla società a causa di ciascun conferimento (artt. 3, par. 1, lett. a e c, 8, par. 3 e 11, par. 1, della Direttiva 2008/7/CE) la soglia entro la quale, al ricorrere di alcuni presupposti, le operazioni di conferimento, ove già tassate alla data del 10 gennaio 2006, avrebbero potuto continuare ad essere legittimamente sottoposte ad imposizione da parte degli Stati membri, il ricorrente rileva come tale limite sia stato violato dall'art. 2, comma 3- ter del d.l. n. 18/2016, come modificato dalla legge di conversione n. 49/2016, che ha previsto il versamento, da parte della «banca di credito cooperativo conferente», di «un importo pari al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, come risultante dal bilancio riferito a tale data, su cui il revisore contabile ha espresso un giudizio senza rilievi»;
ciò, nella fattispecie in oggetto, avendo comportato un esborso pari all'ingentissima somma di euro 54.208.740, laddove il valore complessivo dell'azienda bancaria oggetto di conferimento era stato stimato in euro 277.991.902, senza che neppure potesse dirsi ricorrente alcuna delle ipotesi di deroga consentite dall'art. 6 della succitata Direttiva 2008/7/CE, in particolare dovendo escludersi che il tributo imposto potesse costituire diritto «di carattere remunerativo» secondo il suddetto art. 6 della menzionata Direttiva. Il ricorrente, richiamando in proposito Corte di Giustizia CE 13 febbraio 1996, cause riunite C-197/94 e C-252/94, in riferimento all'allora vigente Direttiva 69/335/CEE, osserva ancora che a non diverse conclusioni in punto d'illegittimità dell'imposizione in oggetto sarebbe dovuta pervenire la CTR pur nell'affermazione, da parte del giudice tributario d'appello, della sua natura giuridica quale «imposta straordinaria sul patrimonio», anziché come imposta sui conferimenti, dovendo disapplicarsi la normativa nazionale che, in difetto dei presupposti legittimanti, ponga restrizioni di natura fiscale alla raccolta di capitali da parte della società, risolvendosi in una ««tassa di effetto equivalente» a quella vietata dall'ordinamento europeo;
ciò in quanto la normativa nazionale ha individuato esclusivamente nel conferimento dell'azienda bancaria nella nuova società per azioni conferitaria la causa dell'imposizione per evitare di dover sottostare al sacrificio della devoluzione dell'intero patrimonio ai fondi mutualistici.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., «Violazione e/o falsa applicazione della Direttiva 2009/133/CEE del 19 ottobre 2009, "relativa al regime fiscale comune da applicare ... ai conferimenti d'attivo ... concernenti società di Stati membri diversi"» estesa dall'art. 176 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), onde evitare "discriminazioni alla rovescia", anche ai conferimenti d'azienda "domestici", i quali devono essere sottoposti dagli ordinamenti nazionali ad un ordinario regime di neutralità fiscale, stante il rilievo meramente organizzativo di tali operazioni, salvo il caso, non ricorrente nella fattispecie, in cui, previo versamento di un'imposta sostitutiva, il contribuente, del tutto liberamente, si avvalga della possibilità di riallineare i valori fiscali dei cespiti conferiti con quelli contabili».Il ricorrente lamenta come nella fattispecie la decisione impugnata abbia erroneamente ritenuto la legittimità dell'imposizione straordinaria sul patrimonio, di entità peraltro assai elevata, in dipendenza di una scelta legittima e costituzionalmente tutelata in punto di forma e di organizzazione dell'attività economica, scelta da sempre considerata neutra, sul piano fiscale, salvo il caso, qui non ricorrente, in cui all'interessato si consenta di aggiornare i valori fiscali del compendio aziendale conferito, assoggettando ad imposizione le plusvalenze latenti.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 42, 45, 47 e 53 Cost., nonché dell'art. 1 del Protocollo n. 1 Addizionale alla CEDU, in tema di "protezione della proprietà", stante la palese arbitrarietà dell'imposizione controversa, che ha conculcato, in assenza di qualunque plausibile giustificazione, e in netta violazione del principio di non discriminazione, oltre che di proporzionalità, il patrimonio dell'ente cooperativo», difettando qualsivoglia espressione di capacità contributiva. Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia disatteso le questioni di legittimità costituzionale prospettate nel giudizio di merito in relazione ai succitati parametri, con affermazioni apodittiche, intimamente contraddittorie ed incompatibili col quadro richiamato dei valori costituzionali e convenzionali. Ciò per un verso laddove la CTR ha escluso che possa ipotizzarsi la lesione del principio di eguaglianza, «risultando la disciplina l'effetto di scelte discrezionali e legittime del legislatore nella valutazione del bilanciamento con altri principi costituzionali quali la tutela del risparmio, anche in considerazione del regime di maggior favore fiscale del quale le cooperative avevano goduto»;
per altro verso affermando che «alla valutazione giuridica» della Commissione «deve L.] restare estranea ogni considerazione circa le ricadute economiche del versamento». Il ricorrente lamenta al riguardo che la CTR abbia omesso di considerare che l'intrinseca irragionevolezza della disposizione, come conseguita alla modificazione apportata in sede di legge di conversione, era da cogliersi in relazione alla stessa ratio della riforma del sistema delle banche di credito cooperativo, rendendo peraltro lo Stato, in assenza dell'espressione di alcuna specifica ragione di solidarietà, beneficiario di un introito che non poteva giustificarsi in relazione al regime delle agevolazioni fiscali di cui aveva goduto l'allora banca di credito cooperativo, atteso che, a seguito del conferimento dell'azienda bancaria nella nuova società per azioni e delle conseguenti necessarie modifiche statutarie, permanevano le finalità mutualistiche prevalenti in relazione al godimento delle azioni percepite dalla conferitaria. La pretesa volontarietà dell'adesione al meccanismo della c.d. way out non poteva poi, secondo il ricorrente, portare ad escludere che nella fattispecie si fosse in presenza di un vero e proprio fenomeno espropriativo, stante l'alternativa, in assenza del versamento dell'imposta, della perdita dell'intero patrimonio.
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