Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/12/2007, n. 26810
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In materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, posto che le norme del codice deontologico forense sono fonti normative, l'art. 49 del suddetto codice - secondo il quale l'avvocato non può aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni della parte assistita - deve essere interpretato nel senso che l'espressione "iniziative giudiziali" si riferisce a tutti gli atti aventi carattere propedeutico al giudizio esecutivo, suscettibili di aggravare la posizione debitoria della controparte, e quindi anche agli atti di precetto, pur non costituenti atti di carattere processuale.
In materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio nazionale forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all'ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. N G - Primo Presidente f.f. -
Dott. S S - Presidente di sezione -
Dott. P R - Presidente di sezione -
Dott. L M G - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. DE M A - rel. Consigliere -
Dott. A A - Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S M, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 8, presso lo studio dell'avvocato C D, che lo rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO NIONALE FORENSE, CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVOCATI DI TRANI, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 165/06 del Consiglio nazionale forense, depositata il 15/12/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/07 dal Consigliere Dott. DE M A;
udito l'Avvocato C D;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. N V, che ha concluso per il rigetto del primo, secondo, terzo e quinto motivo, accoglimento del quarto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Trani ha inflitto all'avv. SCAROLA Michele, la sanzione disciplinare della censura, per i seguenti comportamenti:
a) avere intimato al debitore sig. DI MICCO Antonio 10 precetti cambiari, aventi tutti la medesima data del 5 luglio 2001 e notificati tutti nell'arco di pochissimi giorni (alcuni anche il medesimo giorno), così violando l'art. 49 del Codice deontologico forense, per avere aggravato la posizione debitoria della controparte;
b) avere richiesto onorari non dovuti, ovvero sproporzionati rispetto al valore della controversia, al medesimo DI MICCO, cosi violando l'art. 6 del Codice deontologico forense, per avere tenuto un atteggiamento difensivo vessatorio nei confronti della controparte. In Risceglie il 5 luglio 2001 ed in Trani il 1 ottobre 2001. Il ricorso dello SCAROLA è stato respinto dal Consiglio nazionale forense con decisione 23 settembre - 15 dicembre 2006 n. 165. In relazione al primo motivo di ricorso, con cui lo SCAROLA aveva lamentato errata ricostruzione e valutazione dei fatti, il Consiglio nazionale forense ha rilevato che è documentato che il professionista, sebbene potesse azionare il credito portato dai titoli con unico atto di precetto, evitando così di aggravare inutilmente di spese il debitore, ha intimato nell'arco di pochissimi giorni, in forza di singole cambiali, già tutte scadute prima della notifica del primo atto, singoli atti di precetto con il relativo carico di spese.
Ha valutato che tale condotta è contraria ai canoni di proibita e correttezza, cui l'esercizio della professione forense deve ispirarsi.
Quanto al preteso difetto di motivazione in relazione al capo 2) dell'incolpazione, il Consiglio ha rilevato che, rispetto ad un credito capitale di circa 20 milioni, lo SCAROLA ha richiesto una parcella di L. 14.784.080. Egli sottolinea, a riprova della correttezza della pretesa, che tale parcella gli è stata liquidata dal magistrato, ma il Consiglio ha valutato che la esosità delle sue pretese risulta anche dal comportamento del cliente, che lo aveva estromesso dalla pratica, e definito il contenzioso direttamente con il proprio debitore.
In conclusione il Consiglio nazionale forense ha ritenuto che, valutate globalmente le due incolpazioni, la sanzione della semplice censura fosse congrua.
Avverso tale decisione lo SCAROLA ha proposto ricorso per Cassazione, con cinque motivi, con atto notificato il 28 aprile 2007. Il Consiglio nazionale forense non si è costituito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Si deve esaminare per primo il quinto motivo di ricorso, in quanto involge una questione di diritto, di carattere potenzialmente assorbente. Con esso il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 49 Codice deontologico forense, con riferimento agli artt. 480 e 491 c.p.c., sostiene che gli atti di precetto, non costituendo atti processuali non rientrano nella previsione dell'art. 49 applicato dal Consiglio nazionale forense. Detta norma, intitolata "Pluralità di azioni nei confronti della controparte", vieta all'avvocato di aggravare la situazione debitoria della controparte con onerose e plurime iniziative giudiziarie quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita. Poiché, a norma dell'art. 491 c.p.c., l'espropriazione forzata inizia con il pignoramento, i plurimi precetti azionati dall'avv. SCAROLA non rientrerebbero nella previsione disciplinare dell'art. 49, in quanto non costituiscono iniziative giudiziarie. L'esame del motivo implica un problema metodologico circa i criteri da seguire nella interpretazione della norma denunciata, se quelli dell'art. 12 preleggi, propri della norma di legge, o quelli previsti all'art. 1362 c.c., e segg., per la interpretazione dei contratti. Nella giurisprudenza di questa Corte è possibile rinvenire due orientamenti.
Secondo il primo, tradizionale, orientamento, le disposizioni dei codici deontologici predisposti dagli ordini (o dai collegi) professionali, se non recepite direttamente dal legislatore, non hanno ne' la natura ne' le caratteristiche di norme di legge, come tali assoggettabili al criterio interpretativo di cui all'art. 12 preleggi, ma sono espressione di poteri di auto organizzazione degli ordini (o dei collegi), si da ripetere la loro autorità, oltre che da consuetudini professionali, anche da norme che i suddetti ordini (o collegi) emanano per fissare gli obblighi di correttezza cui i propri iscritti devono attenersi e per regolare la propria funzione disciplinare.
Ne discende che le suddette disposizioni vanno interpretate nel rispetto dei canoni ermeneutici fissati all'art. 1362 c.c., e segg.. Ne discende ancora che con il ricorso per cassazione è denunciabile, ex art. 360 c.p.c., n. 3, non solo la violazione o falsa applicazione dei suddetti canoni della interpretazione dei contratti, ma altresì, ex art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di motivazione (da ultimo Cass. Sez. un. 10 luglio 2003 n. 10482). L'esposto orientamento è contrastato da Cass. 23 marzo 2004 n. 5776 e Cass. 14 luglio 2004 n. 13078. Mentre la prima delle due sentenze si limita a dare atto che si va delineando nella giurisprudenza di questa Corte un indirizzo secondo cui, nell'ambito della violazione di legge, va compresa anche la violazione delle norme dei codici deontologici degli ordini professionali, trattandosi di norme giuridiche obbligatorie valevoli per gli iscritti all'albo che integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell'illecito disciplinare, la seconda (Cass. 13078/2004) sviluppa un ampio ed articolato esame critico del primo orientamento, i cui argomenti fondamentali si possono così riassumere:
1 I consigli nazionali degli ordini professionali