Cass. pen., sez. III, sentenza 20/01/2022, n. 02245

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 20/01/2022, n. 02245
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 02245
Data del deposito : 20 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: COLOMBO FAUSTO nato a BELLUSCO il 07/07/1947 avverso la sentenza del 21/01/2021 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere A A;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Proa ra:( -e Generale M D N, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rin ,io della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. F C ricorre per l'annullamento della sentenza del 21/01/2021 della Corte di appello di Milano che, rigettando la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena (principale) di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre pene accessorie, inflitta con sentenza dell'11/02/2019 del Tribunale di Monza per il reato di cui all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché, al fine di evadere le imposte sul reddito, aveva indicato, nella dichiarazione annuale Mod. Un. 2012, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, omettendo di dichiarare redditi derivanti da attività illecita (distrazione di somme in danno della fallita «Cogaspiemonte S.r.l.») percepiti nel 2011, per l'importo totale di euro 1.408.800,00. 1.1.Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 1 e 4, d.lgs. n. 74 del 2000, 43 e 47, cod. pen., e correlato vizio di motivazione in relazione al dolo specifico di evasione che la Corte di appello ha ritenuto senz'altro sussistente omettendo di sondare ogni altra ipotesi di formazione della volontà dell'autore prospettata dalla difesa ed anzi fornendo una risposta illogica e contraddittoria. L'imputato, infatti, aveva agito ritenendo in buona fede di non dover indicare elementi attivi che, a seguito di sequestro dell'autorità giudiziaria penale, non erano più nella sua materiale disponibilità;
egli, cioè, si era determinato ad agire in tal senso non con l'intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte ma, al contrario, nella convinzione che non dovesse versare l'imposta, incorrendo in un evidente errore di fatto. Egli versava nel dubbio lecito su quale fosse la condotta da tenere, anche perché avrebbe avuto comunque il diritto di portare in riduzione gli elementi attivi non più nella sua disponibilità con la dichiarazione dell'anno successivo, con conseguente neutralità della propria condotta ai sensi dell'art. 1, lett. f), d.lgs. n. 74 del 2000. 1.2.Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 649 cod. proc. pen. e del divieto di bis in idem come interpretato dalla Corte EDU (art. 4, Prot. n. 7, della Convenzione EDU) e dalla CGUE (art. 50, CFDUE). Deduce, al riguardo, che nella pendenza del procedimento penale è intervenuta la sentenza n. 4090/2019 della CTR di Milano (dep. il 12/10/2019), oggi irrevocabile, che ha definitamente confermato la legittimità dell'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate ha recuperato a tassazione i redditi non dichiarati ed ha applicato sanzioni pari ad euro 654.126,00, oltre l'aggio riconosciuto all'agente della riscossione (euro 110.561,97), per un totale di euro 1.492.586,63. Il procedimento penale e quello tributario originano dallo stesso fatto: la distrazione di somme dalla società «Cogaspiemonte S.r.l.» per il quale, tra l'altro, egli è stato separatamente condannato. Sono noti - afferma - gli approdi della giurisprudenza della Corte EDU e di quelle unionale sulla necessità che i procedimenti relativi allo stesso fatto debbano essere tra loro sostanzialmente e temporalmente connessi. La Corte di appello ha escluso la violazione del divieto del "bis in idem" con motivazione palesemente contraddittoria perché, da un lato, riconosce la necessità di questa connessione, dall'altro nega che tale connessione vi sia, senza trarne le logiche conseguenze. La Corte territoriale, inoltre, non ha compiuto alcuna verifica sulla complessiva proporzionalità della sanzione, verifica che si rendeva vieppiù necessaria se si considera che la sola somma irrogata a titolo di sanzione, applicando i criteri di calcolo indicati dall'art. 135 cod. pen., corrisponde a circa sette anni di reclusione. Nè la Corte motiva sulla dedotta imprevedibilità delle conseguenze della condotta dell'imputato posto che se il sequestro fosse intervenuto entro il 31/12/2011 i proventi non sarebbero stati tassabili;
siccome i sequestri sono intervenuti nel 2012, essi sono divenuti tassabili in relazione al precedente anno di imposta con conseguente disparità di trattamento per una ragione indipendente dalla propria volontà: il tempismo del PM nel disporre i provvedimenti ablativi.

1.3.Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non applicate dalla Corte di appello in considerazione della gravità del fatto e dei precedenti penali del suo autore. Così facendo, la Corte territoriale, con motivazione sbrigativa e insufficiente, ha negletto i plurimi indicatori di una possibile attenuazione della pena, senza neppure valutare criticamente le modalità di calcolo della pena stessa seguita dal Tribunale il quale non aveva spiegato in che modo l'aveva commisurata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo (in esso assorbito il terzo).

3.11 primo motivo è manifestamente infondato.

3.1.Ai sensi dell'art. 14, comma 4, legge n. 537 del 1993, «nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale».

3.2.La norma è stata costantemente interpretata da questa Corte di cassazione nel senso che il sequestro o la confisca escludono la tassazione dei proventi da reato solo se eseguiti nello stesso periodo di imposta in cui si è verificato il presupposto impositivo, dal momento che solo in tale ipotesi i provvedimenti ablatori determinano, in relazione al principio della capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., una riduzione del reddito imponibile (Sez. 3, n. 18575 del 14/02/2020, Rv. 279500 - 01;
Cass. civ., Sez. 5, n. 28375 del 05/11/2019, Rv. 655895;
Cass. civ., Sez. 5, n. 28519 del 20/12/2013, Rv. 629332;
Cass. pen., Sez. 5, n. 7411 del 19/11/2009, Rv. 246095).

3.3.Non sussistevano dunque margini di incertezza o di errore sulla latitudine del precetto violato dalla condotta ascritta al ricorrente, tantomeno sul contenuto dell'obbligo dichiarativo strumentale al corretto adempimento dell'obbligazione tributaria di cui era parta passiva il contribuente, con conseguente inapplicabilità dell'art. 15, d. Igs. n. 74 del 2000, e dell'art. 47, cod. pen.

3.4.Ciò che viene dedotto, in realtà, è un vero e proprio errore inescusabile di diritto che si alimenta dal personale convincimento del ricorrente circa la liceità del proprio agire, convinzione non alimentata però da una errata percezione della realtà di fatto, che non esclude affatto il dolo specifico di evasione (Sez. 3, n. 23810 del 08/04/2019, Rv. 275993 - 02, secondo cui ai fini dell'integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall'art. 4 del d.lgs. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell'operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell'art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l'ignoranza inevitabile;
nello stesso senso, Sez. 7, n. 44293 del 13/07/2017, Rv. 271487 - 01). Nè il ricorrente spiega quale altra finalità avesse la sua condotta, questione di fatto non dedotta in appello negli esatti termini dedotti in questa sede.

3.5.Del tutto suggestiva è la deduzione della neutralità della condotta, trattandosi, nel caso di specie, di imposta "teorica" ai sensi dell'art. 1, lett. f), d.lgs. n. 74 del 2000, ai sensi del quale «non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili». Sostiene il ricorrente che egli aveva il diritto di portare in diminuzione nella dichiarazione dell'anno successivo le poste attive perse nell'anno procedente. Sennonché, come detto, il sequestro delle somme è avvenuto in un periodo di imposta successivo a quello nel quale il ricorrente aveva conseguito i proventi non dichiarati i quali avevano concorso a pieno titolo alla formazione dell'imponibile. Sicché non vi è stata alcuna perdita dell'esercizio di competenza.

4.11 secondo motivo è fondato, in esso assorbito il terzo.

4.1.Va in primo luogo verificata l'applicabilità al caso concreto del principio di specialità di cui all'art. 19, d.lgs. n. 74 del 2000, alla luce dei rapporti strutturali tra fattispecie (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Rv. 269668 - 01;
Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864 - 01).

4.2.La presentazione di una dichiarazione annuale nella quale è indicata un'imposta inferiore a quella dovuta è sanzionata dagli artt. 1, comma 2 (per quanto riguarda le imposte sul reddito e sulla produzione), e 5, comma 4 (in materia di IVA), d.lgs. n. 471 del 1997;
ai fini della integrazione dell'illecito amministrativo non è richiesto il dolo specifico di evasione, che qualifica il delitto di "dichiarazione infedele" di cui all'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, né che il contribuente indichi "elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti": è sufficiente che, anche solo per colpa, dichiari un reddito o un'imposta inferiori al dovuto, non rilevando l'entità dell'imposta evasa. Se è vero che la fattispecie penale richiede, quali elementi specializzanti, il dolo specifico di evasione e il superamento delle soglie di punibilità, è altrettanto vero, però, che la condotta integrante gli illeciti amministrativi consiste nell'indicare un reddito o un'imposta inferiori al dovuto, non gli elementi attivi (componenti cioè del reddito: art. 1, comma 1, n. 2, d.lgs. n. 74 del 2000), e/o quelli passivi fittizi che concorrono alla formazione del reddito. Sul piano strutturale, dunque, non v'è piena sovrapposizione tra le due fattispecie. La condotta del ricorrente, dunque, integra due diversi fatti, autonomamente e separatamente sanzionati in sede penale e amministrativa.
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