Cass. pen., sez. I, sentenza 19/07/2021, n. 27848
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a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: ROMAGNINO NINO nato a GIMIGLIANO il 01/05/1963 avverso la sentenza del 15/10/2019 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA ANNA SARACENO;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore 2i2141.4—TAL-E-P4C0 che ha concluso chiedendo udito il difensore RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza resa il 29 novembre 2017 il Tribunale militare di N dichiarava N R -brigadiere dei Carabinieri addetto alla Sezione Impiego dell'ufficio personale del Comando Legione CC "Calabria"- responsabile del reato di diffamazione continuata pluriaggravata (art. 227, commi 1 e 2, e47 n. 2 c.p.m.p. e 81 cpv. cod. pen.) contestatogli perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, comunicando con più persone, offendeva la reputazione di A M -comandante della Legione Carabinieri "Calabria", e di G A -colonnello, capo di Stato Maggiore del predetto Comando Legione-, attribuendo loro fatti determinati e non rispondenti al vero. Più in particolare con relazione di servizio dell'11.4.2014, indirizzata al Capo Ufficio S.P. del Comando Legione Calabria, al Comandante dell'Arma dei Carabinieri, al Comando Interregionale Culquaber di Messina, al Cocer di Roma, al Coir di Messina e al Cobar di Catanzaro, accusava il colonnello A di comportamenti vessatori nei suoi confronti (e nei confronti di gran parte del personale) che gli avevano cagionato uno stato di malessere fisico e psicologico;con relazione di servizio del 15.4.2014, diretta ai medesimi destinatari e per conoscenza alla Procura della Repubblica militare di N, accusava A e il generale M di avere impiegato, in orario di servizio, una squadra di militari per lavori nei rispettivi alloggi, ricompensandoli con la corresponsione di sussidi o di altre utilità, di essere stato personalmente comandato durante l'orario di servizio a incombenze di natura personale in favore dei predetti ufficiali, di comportamenti vessatori nei confronti suoi e di diversi sottoposti;con nota del 20.8.2014, indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai già sopra indicati destinatari, ribadiva nei confronti dei due superiori le accuse di comportamenti vessatori in suo danno, di gestione strumentale del personale, di impiego giornaliero presso i due lidi dei carabinieri di personale Cobar, cui verosimilmente era stata riconosciuta anche l'indennità di missione, aggiungendo che il M aveva affidato il comando dello Stato Maggiore al colonnello A nonostante il predetto avesse vari procedimenti penali a carico. 2. Proposto appello da parte dell'imputato, la Corte militare di appello, con sentenza emessa in data 15 ottobre 2019, in parziale riforma della decisione impugnata che confermava nel resto, concesse all'imputato le circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle contrapposte aggravanti, riduceva la pena inflitta a mesi otto di reclusione militare. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato a mezzo del difensore di fiducia Avv. Vito Tassone, chiedendone l'annullamento per i motivi di seguito esposti nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: - (1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale sostanziale in relazione agli artt. 227, 47, n. 2, c.p.m.p. e vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza degli elementi, oggettivo e soggettivo, del reato di diffamazione. La sentenza impugnata ha confermato il giudizio di responsabilità sulla base di una lettura travisante delle missive redatte dall'imputato, scevre da qualsivoglia esternazione di valutazioni in merito all'inaffidabilità o scarsa professionalità dei suoi superiori. Nelle suddette relazioni il ricorrente si era limitato a riportare "in modo neutro, asettico e obiettivo i disagi subiti nell'ambiente lavorativo a causa degli inconsueti modi comportamentali nell'esercizio delle funzioni istituzionali" del colonnello A e del generale M, senza trasmodare in espressioni gratuite, né ricorrere ad argumenta ad hominem o attaccare le presunte persone offese nella loro dimensione privata, formulando semplici interrogativi, ma astenendosi dal fornire risposte. Non risponde al vero, inoltre, che l'imputato abbia comunicato con più persone, essendo stati i suoi scritti indirizzati esclusivamente alle superiori gerarchie e agli organi di rappresentanza. È mancato poi, sin dalla fase delle indagini preliminari, qualsivoglia approfondimento sulla effettiva verificazione dei fatti di cui alle relazioni di servizio e non certo per "l'incuria petitiva probatoria dell'odierno ricorrente";non è stata adeguatamente considerata la deposizione del teste B (trascritta per ampi stralci nell'atto di impugnazione), da cui risulterebbe che gli organi di rappresentanza e la stessa gerarchia del Comando generale avevano effettuato verifiche sul contenuto delle missive, riscontrando la verità dei fatti narrati e, per l'effetto, disponendo il trasferimento ad altra sede di A e M;- (2) inosservanza dell'art. 260, comma 2, c.p.m.p e illegittimo esercizio dell'azione penale per difetto della condizione di procedibilità della richiesta del comandante del corpo;- (3) inosservanza degli artt. 24, 111 Cost. e 6 CEDU per avere la Corte di appello, nel disattendere le doglianze mosse alle ordinanze istruttorie adottate dal Tribunale, espressamente impugnate, e negando la chiesta rinnovazione istruttoria, violato il diritto di difesa dell'imputato sull'infondato anteposto assunto che il R avesse realizzato una strategia diffamatoria volta a ledere l'immagine professionale dei due ufficiali. 34 Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, le parti hanno rassegnato conclusioni scritte:- il P.G., dr. Luigi Maria Flamini, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso;- il difensore del ricorrente ha insistito per l'accoglimento dell'impugnazione;- le parti civili costituite, A M e G A, hanno chiesto la conferma della sentenza impugnata e la rifusione delle spese del grado.
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