Cass. pen., sez. III, sentenza 18/10/2018, n. 47469

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 18/10/2018, n. 47469
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 47469
Data del deposito : 18 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da M M nato a TARANTO il 27/05/1964 avverso la sentenza del 13/09/2017 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere L S;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore P C;
udito il difensore, avv. G C. Il P.G. chiede l'annullamento senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione. Il difensore si associa.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Taranto, con la sentenza del 17 febbraio 2016, ha assolto M M dal reato ex art. 30 lett. d) della legge n.157 del 1992 per avere introdotto un fucile da caccia con relative cartucce in area protetta, nel parco regionale terra delle Gravine, perché il fatto non costituisce reato. Il fatto è stato commesso il 27 ottobre 2012. In estrema sintesi, il Tribunale di Taranto ha ritenuto l'assenza dell'elemento soggettivo del reato per non essere stati segnalati con precisione i confini del parco all'interno del quale era stato trovato l'imputato con il fucile da caccia. A seguito dell'appello del pubblico ministero, la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha condannato M M alla pena di un mese di arresto ed euro 600 di ammenda ed ha disposto la confisca dell'arma descritta nel verbale di sequestro del 27 ottobre 2012. La Corte di Appello ha invece valorizzato che: l'imputato era autorizzato a detenere l'arma per la caccia, era munito di titolo abilitativo all'esercizio venatorio ed era a conoscenza delle regole relative tra cui i periodi e luoghi di interdizione alla caccia, fra cui i parchi regionali;
il 22 ed il 29 novembre 2010 l'imputato fu sorpreso a una distanza inferiore a 100 metri dal confine del parco sempre intento alla caccia;
la zona in cui era stato sorpreso nel novembre del 2010 è a poche centinaia di metri da quella in cui l'imputato era stato trovato il 27 ottobre 2012. Da tali elementi la Corte di Appello ha dedotto che l'imputato fosse consapevole di trovarsi all'interno del territorio del parco ove e che ivi la caccia fosse inibita.

2. Avverso la sentenza del 13 settembre 2017 della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha proposto ricorso per cassazione il difensore di M M deducendo come unico motivo la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen. La contraddizione interna consiste per la difesa nell'avere affermato da un lato che nel novembre del 2010 l'imputato era stato trovato ad una distanza inferiore a 100 metri dal confine del parco e dall'altro che l'imputato, nell'atto di commettere il reato si trovava «bene all'interno» dell'area inibita: per la difesa o l'imputato si trovava all'interno del parco oppure, se era vicino al luogo in cui era stato trovato in precedenza nel 2010, era nei pressi del confine;
pertanto sono fondate le argomentazioni della sentenza di primo grado sulla assenza dell'elemento soggettivo del reato, per l'assenza dei cartelli obbligatori ex lege di segnalazione dei confini del parco. Ha rilevato altresì la difesa che è errata anche la premessa della sentenza della Corte di Appello laddove si afferma che M M fosse a conoscenza in generale della regolamentazione della caccia: l'incertezza rispetto al luogo in cui si trovava l'imputato è ascrivibile esclusivamente alla Regione, posto che i confini del parco non sono segnati per la mancata apposizione dei cartelli obbligatori ed il confine stesso segue un percorso frastagliato e non lineare, tanto da rendere difficile la loro individuazione. La difesa ha pertanto chiesto l'annullamento della sentenza con o senza rinvio o ritenuta l'ammissibilità del ricorso di dichiarare estinti reati per intervenuta prescrizione.
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