Cass. civ., SS.UU., sentenza 02/03/2010, n. 4906

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Massime1

Il trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici, di cui al d.P.C.M. 20 dicembre 1999, ha sostituito, a decorrere dalla sua entrata in vigore (30 maggio 2000), l'indennità di anzianità prevista in favore dei dipendenti regionali dagli artt. da 16 a 18 della legge Regione Lombardia n. 38 del 1981, avendo entrambi gli emolumenti natura retributiva (sia pure con funzione previdenziale), e deve escludersi - sulla base, oltre che del generale principio di irretroattività della legge, delle esigenze di omogeneizzazione del trattamento di previdenza del personale regionale perseguite dalla legge regionale disciplinatrice dell'indennità di anzianità, in attesa della modifica delle norme che regolano l'indennità di fine servizio, nonché della coerenza sistematica con il criterio del pro-rata introdotto dalla nuova disciplina in relazione ai diversi trattamenti - l'efficacia retroattiva dell'abrogazione della normativa regionale. E consegue che, per il periodo successivo alla data dalla quale opera l'effetto abrogativo, i dipendenti regionali non hanno più diritto al trattamento integrativo accordato dalla citata legge regionale n. 38 del 1981, mentre mantengono il diritto maturato nel periodo precedente.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 02/03/2010, n. 4906
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 4906
Data del deposito : 2 marzo 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V P - Primo Presidente f.f. -
Dott. P R - Presidente di Sezione -
Dott. M M R - Presidente di Sezione -
Dott. V G - Consigliere -
Dott. O M - Consigliere -
Dott. F F M - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. M D C L - Consigliere -
Dott. C F - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 24564-2008 proposto da:
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZALE CLODIO

32, presso lo studio dell'avvocato L C, rappresentata e difesa dall'avvocato T P, per procura a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
B G (BLLGCR34H56F205K), CAVALLOTTI ANTONIO, B A W, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DELLA VITE

7, presso lo studio dell'avvocato M M S, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato N S, per procura in calce al controricorso;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 948/2007 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 17/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2009 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE ANTONIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso, A.G.O.. RITENUTO IN FATTO
La Corte d'Appello di Milano, accogliendo parzialmente l'appello di Giancarla Belloni, Angela Wilma Borrella ed Cavallotti Antonio, ex dipendenti della Regione Lombardia, collocati a riposo in varie date fra il 30 giugno 2001 e il 1 giugno 2004, ha riconosciuto agli appellanti il diritto di percepire l'indennità di anzianità prevista in favore dei dipendenti della Regione Lombardia dalla L.R. 7 luglio 1981, n. 38, artt. 16 e 17, limitatamente alle somme maturate a tale titolo sino al 30 maggio 2000, escludendo invece ogni ulteriore accrescimento dell'indennità per il periodo successivo.
In sintesi, la Corte territoriale ha osservato che l'intera L.R. n. 38 del 1981 era stata abrogata dalla L.R. Lombardia 10 marzo 1995, n.10, art. 32, ma la portata di tale abrogazione, per quanto riguardava
l'indennità in questione, era stata poi regolata dalla L.R. 23 luglio 1996, n. 16, il cui art. 36, comma 5, aveva disposto che: "Gli effetti abrogativi delle disposizioni relative all'omogeneizzazione del trattamento previdenziale del personale regionale decorrono dalla data di modifica delle norme che regolano in campo nazionale l'indennità di fine servizio".
Ricostruito quindi il quadro della disciplina legale e collettiva della materia, la Corte ha richiamato l'ulteriore intervento normativo regionale, costituito dalla L. 3 agosto 2004, n. 19, il cui art. 7 comma 12, aveva stabilito che la cit. L.R. n. 16 del 1996, art. 36, comma 5 dovesse interpretarsi nel senso che la modifica delle norme regolatrici dell'indennità di fine servizio in ambito nazionale, alla quale erano collegati gli effetti abrogativi disposti dalla L. n. 10 del 1995, era riferita all'approvazione a livello nazionale della nuova disciplina del trattamento di fine servizio, indipendentemente dalla istituzione dei fondi pensione e dall'esercizio delle opzioni da parte dei dipendenti regionali, previsti dalla L. n. 449 del 1997, e che, di conseguenza, il trattamento di previdenza di cui aLLA L.R. 7 luglio 1981, n. 38, artt. 16, 17 e 18 era abrogato dal 30 maggio 2000, data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999. La Corte ha quindi notato che anche dopo tale intervento restavano possibili due alternative interpretative, ed ha optato per la tesi secondo era cui dovuta l'indennità di anzianità maturata sino al 30 maggio 2000, senza possibilità di accrescimento ulteriore, scartando invece la soluzione che negava la corresponsione di qualsiasi emolumento per detto titolo ai dipendenti cessati dal servizio successivamente a tale data.
La sentenza è impugnata dalla Regione Lombardia con ricorso per tre motivi, corredati da quesito ex art. 366 bis c.p.c. Gli intimati resistono con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso è denunziata "violazione e falsa applicazione del combinato disposto dalla L.R. n. 38 del 1981, art. 16, dalla L.R. n. 16 del 1996, art. 36 e dalla L.R. n. 19 del 2004, art. 7".
Si addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato, anzitutto, che la "ratio" L.R. n. 38 del 1981 risiede nell'esigenza di omogeneizzare i diversi trattamenti di fine servizio del personale regionale, legati alla varia provenienza dello stesso, e che, emergendo tali differenze solo al momento della cessazione del rapporto, allorquando il trattamento viene erogato, prima di tale momento non è realizzabile lo scopo di integrazione, mentre, una volta raggiunta l'uniformità dei trattamenti di fine servizio per tutto il personale regionale, la necessità di omogeneizzazione mediante integrazione viene meno, qualunque sia il contenuto del nuovo trattamento unitario. Contro tale conclusione - ad avviso della ricorrente - non varrebbe invocare il criterio, adottato nella normativa sul trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici, secondo cui la quota iniziale del nuovo t.f.r. va determinata in base alla disciplina previgente (c.d. pro-rata). Infatti, per un verso, tale criterio non avrebbe alcuna valenza in relazione ad una norma abrogativa del precedente trattamento e, per altro verso, il legislatore nazionale, nel prevedere che l'indennità di fine servizio maturata prima del vigore del nuovo sistema di calcolo sia computata secondo la normativa previgente (v. D.P.C.M. 20 dicembre 1999, art. 1) non avrebbe richiamato i trattamenti integrativi
previsti dalle leggi regionali, perché facendolo avrebbe leso le competenze regionali e perché un tale richiamo sarebbe da escludere sulla base della formulazione testuale dell'Accordo Nazionale Quadro del luglio 1999.
Si addebita, poi, alla sentenza impugnata di aver trascurato il contenuto della L.R. n. 38 del 1981, art. 16. Quest'ultima disposizione, infatti, nel determinare il trattamento integrativo fa riferimento all'ultima retribuzione annua lorda e pertanto ad un elemento collegato con il termine del rapporto, distinguendosi significativamente dalla disciplina del t.f.r., nella quale il trattamento è calcolato sulla retribuzione riscossa di anno in anno. Inoltre, per la sua natura di integrazione, l'indennità di anzianità regionale presuppone un trattamento base, a sua volta calcolato e corrisposto alla cessazione del rapporto. Contro la maturazione dell'indennità nel corso del rapporto varrebbe anche la mancanza dei corrispondenti accantonamenti periodici, la quale, d'altra parte, rendendo infondata la qualificazione dell'indennità in questione come emolumento di natura soltanto retributiva, consentirebbe di escludere ulteriormente la suddetta modalità di maturazione. In ogni caso, una volta esclusa la sua maturazione giorno per giorno o per singola annualità di servizio, l'indennità, ancorché di natura retributiva, non costituirebbe oggetto di diritti quesiti anteriormente alla cessazione del rapporto, potendo quindi esser soppressa fin a tale momento. Pertanto, non avendo la L. n. 38 del 1981 determinato il sorgere di alcun diritto in favore dei dipendenti, l'interpretazione data dalla Corte di merito alle norme che ne avevano sancito l'abrogazione dal 30 maggio 2000 avrebbe violato il principio che vuole siano conservati i soli effetti già prodotti dalla disposizione abrogata. Con il secondo motivo di ricorso è denunziata "violazione e falsa applicazione dell'art. 134 Cost. e art. 12 preleggi con riferimento al combinato disposto dalla L.R. n. 38 del 1981, art. 16, dalla L.R. n. 16 del 1996, art. 36 e dalla L.R. n. 19 del 2004, art. 7". Si addebita alla sentenza impugnata di aver ricostruito gli effetti abrogativi della L.R. n. 16 del 1996 pervenendo ad una conclusione presentata come costituzionalmente orientata, ma in realtà non raggiungibile in via interpretativa, perché, in sostanza, manipolativa della portata di tali effetti, e, quindi, preclusa al giudice ordinario.
Con il terzo motivo di ricorso è denunziata "violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 in punto di difetto di giurisdizione dell'adito g.o.".
Si sostiene che la natura retributiva dell'indennità e la sua conseguente maturazione nel corso del rapporto comporterebbero difetto di giurisdizione del giudice ordinario in riferimento alla parte dell'indennità maturata sino al 30 giugno 1998. Il terzo motivo, da esaminare prioritariamente, va rigettato perché contiene una censura inammissibile.
Premesso infatti che la questione risulta sollevata per la prima volta solo in questa sede, deve richiamarsi ed applicarsi l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale l'interpretazione dell'art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione "è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo", deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo ("asse portante della nuova lettura della norma"), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. Dalla nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l'ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado;
2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione;
3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità;
4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito "per saltum", non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito. (Cass. Sez.un. 24833/2008;
conf., fra le altre, Cass. Sez. un. 27531/2008;
9661/2009
). Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente perché connessi, sono infondati.
Il quadro delle disposizioni di legge regionale rilevanti ai fini della decisione può esser così ricostruito.
La L.R. Lombardia 7 luglio 1981, n. 38 (recante "Disposizioni sull'ordinamento, sullo stato giuridico e sul trattamento economico dei dipendenti regionali in attuazione dell'accordo relativo al contratto nazionale 1979/ 81 per il personale delle regioni a statuto ordinario") nell'art. 16, concernente, secondo la rubrica la "Omogeneizzazione del trattamento di previdenza del personale regionale" ha previsto nei primi due commi che:
"In attesa della modifica delle norme che regolano in campo nazionale l'indennità di fine servizio per il personale regionale, la Regione assicura ai propri dipendenti, per ogni anno di servizio, un trattamento previdenziale (indennità di anzianità) pari a un dodicesimo dell'ottanta per cento dell'ultima retribuzione annua lorda, quale allo stesso fine l'ordinamento dell'Inadel - istituto nazionale assistenza dipendenti enti locali - prende a base per il calcolo dell'indennità premio di servizio.
La Regione pone a suo carico la eventuale differenza fra la somma lorda spettante secondo quanto previsto dal comma precedente (assunta a minuendo) e quella lorda (assunta a sottraendo) corrisposta a titolo di indennità premio di servizio, di indennità di buonuscita, di indennità di anzianità, o di altro analogo titolo, dalla stessa regione e dall'ente presso il quale è instaurato il rapporto previdenziale".
La L.R. Lombardia 10 marzo 1995, n. 10 (recante "Revisione dell'ordinamento del personale regionale") all'art. 32, comma 1, ha abrogato, fra le altre, l'intera L.R. 7 luglio 1981, n. 38. Successivamente, tuttavia, con la L.R. Lombardia 23 luglio 1996, n.16, art. 36, comma 5, (recante "Ordinamento della struttura
organizzativa e della dirigenza della Giunta regionale") è stato stabilito che "Gli effetti abrogativi delle disposizioni relative all'omogeneizzazione del trattamento previdenziale del personale regionale decorrono dalla data di modifica delle norme che regolano in campo nazionale l'indennità di fine servizio".
Infine, la L.R. Lombardia 3 agosto 2004, n. 19, art. 7, comma 12, ha disposto che: "la L.R. 23 luglio 1996, n. 16, art. 36, comma 5 (Ordinamento della struttura organizzativa e della dirigenza della Giunta regionale), che prevede che gli effetti abrogativi delle disposizioni relative all'omogeneizzazione del trattamento previdenziale del personale decorrono dalla data di modifica delle norme che regolano in campo nazionale l'indennità di fine servizio, si interpreta nel senso che la modifica è riferita all'approvazione a livello nazionale della nuova disciplina del trattamento di fine servizio indipendentemente dalla istituzione dei fondi pensione e dall'esercizio delle opzioni da parte dei dipendenti regionali previsti dalla L. n. 449 del 1997. Il trattamento di previdenza di cui alla L.R. 7 luglio 1981, n. 38, artt. 16, 17 e 18 (Disposizioni sull'ordinamento, sullo stato giuridico e sul trattamento economico dei dipendenti regionali in attuazione dell'accordo relativo al contratto nazionale 1979/81 per il personale delle Regioni a statuto ordinario) è abrogato quindi a far tempo dal 30 maggio 2000, data di entrata in vigore del D.P.C.M. 20 dicembre 1999 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 maggio 2000, n. 111".
La questione posta dal ricorso consiste nello stabilire se tale abrogazione abbia effetto retroattivo, con la conseguenza che i dipendenti regionali cessati dal servizio successivamente al 30 maggio 2000 non abbiano più diritto al trattamento previsto dalla L.R. n. 38 del 1981 o se, invece, la retroattività sia esclusa e i dipendenti conservino il diritto al trattamento già maturato sino alla data anzidetta, senza tuttavia alcun accrescimento dello stesso per il periodo successivo. La Corte, conformemente a quanto già affermato nella sentenza 18501/2008 della sezione lavoro, ritiene esatta la seconda soluzione, sulla base delle seguenti considerazioni.
La tesi dell'effetto retroattivo dell'abrogazione contrasta anzitutto con il principio stabilito dall'art. 11 preleggi secondo cui la retroattività avrebbe dovuto formare oggetto di previsione specifica (v. Cass. 680/95;
10400/1996;
6519/2000;
1789/2008;
5210/2009
) nel caso di specie del tutto assente.
La L.R. n. 19 del 2004 impone, inoltre, all'interprete di considerare che la modifica delle norme regolatrici dell'indennità di servizio in campo nazionale richiamata nella disposizione interpretata sia da intendere come riferita "all'approvazione della nuova disciplina del trattamento di fine servizio indipendentemente dalla istituzione dei fondi pensione e dall'esercizio delle opzioni previsti dalla L.n. 449 del 1997". Questa indicazione potrebbe apparire ambigua, potendo
esser controvertibile l'individuazione del momento a partire dal quale deve considerarsi "approvata" la nuova disciplina della materia. L'ambiguità è tuttavia risolta dallo stesso legislatore regionale che ha individuato nel D.P.C.M. 20 dicembre 1999 il testo normativo recante la nuova disciplina del trattamento di fine rapporto in ambito nazionale ed ha conseguentemente stabilito nella data della sua entrata in vigore il momento dal quale deve ritenersi operante l'effetto abrogativo originariamente regolato dalla L.R. n. 16 del 1996.
In una situazione nella quale sarebbe stato possibile ipotizzare un diverso riferimento temporale, la scelta della norma interpretativa è stata quindi netta nel senso di collegare la cessazione degli effetti delle norme in materia di trattamento integrativo al momento in cui, con l'entrata in vigore del DPCM, contemplato già nella L. 8 agosto 1995 n. 335, la riforma del trattamento di fine rapporto è
divenuta operante.
In conclusione, la legge in esame non solo non contiene elementi che facciano chiaramente deporre per la sua retroattività ma esibisce elementi di segno palesemente contrario.
L'irretroattività della norma di cui si tratta comporta - come già rilevato - che, per il periodo successivo alla data dalla quale opera l'effetto abrogativo delle disposizioni relative all'omogeneizzazione del trattamento previdenziale, i dipendenti regionali non hanno più diritto al trattamento integrativo accordato dalla L.R. 7 luglio 1981, n. 38, mentre mantengono il diritto al trattamento maturato nel periodo precedente.
Questa conclusione, raggiungibile in base alle chiare indicazioni del legislatore regionale, lette alla luce del principio generale di irretroattività, è peraltro ulteriormente avvalorata da considerazioni di natura sistematica, la comprensione delle quali richiede che vengano richiamate le norme di legge statale rilevanti in materia.
La cit. L. 8 agosto 1995, n. 335 (recante "Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare") all'art. 2, la cui rubrica reca "Armonizzazione", ha così disposto nei commi 5, 6 e 7. "5. Per i lavoratori assunti dal 1 gennaio 1996 alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1, i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono
regolati in base a quanto previsto dall'art. 2120 c.c. in materia di trattamento di fine rapporto.

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