Cass. pen., sez. III, sentenza 15/11/2022, n. 43238

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 15/11/2022, n. 43238
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 43238
Data del deposito : 15 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da C G M E, nato a Milano il 08-10-1942, avverso la sentenza del 17-11-2021 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere F Z;
lette le conclusioni scritte rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. P M, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 maggio 2021, il Tribunale di Milano condannava G M E C alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, a lui contestato perche, quale legale rappresentante della società "Ricerche Sperimentali Montale s.r.l.", non versava le ritenute dovute in base alla sua dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per l'ammontare di euro 587.825,95 per l'anno di imposta 2015;
fatto consumato in Milano il 15 settembre 2016, termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa all'annualità 2015. 2. Con sentenza del 17 novembre 2021, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riconosciute le attenuanti generiche, riduceva la pena inflitta all'imputato a mesi 10 e giorni 20 di reclusione, confermando nel resto la decisione del Tribunale.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello lombarda, C, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo, la difesa deduce il travisamento della prova rispetto alla produzione documentale della difesa riguardante la sentenza n. 9687/2015 del Tribunale di Milano, osservando che la Corte territoriale ha riportato un risultato probatorio del tutto diverso da quello desumibile dalla citata pronuncia del Tribunale, in cui è stato affermato che il finanziamento ricevuto dal ricorrente da parte del Miur nel 2012 non era stato ancora erogato, per cui la contraria affermazione della sentenza impugnata, secondo cui il finanziamento era stato concesso nel 2012, era frutto di un vero e proprio travisamento della prova. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole, sotto il profilo della mancanza di motivazione, del diniego della sospensione condizionale della pena, evidenziando che in tal senso era stata formulata un'espressa richiesta sia in sede di discussione, sia, prima ancora, con i motivi aggiunti di impugnazione. Con il terzo motivo, infine, oggetto di doglianza è la statuizione sulla confisca, disposta per l'intero importo di 587.825,95 euro, anziché per il residuo importo di 304.702,29 euro, pari alla differenza tra l'importo inizialmente dovuto e quello già versato in seguito all'accoglimento della rateizzazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 175 del 14 luglio 2022, che impone un approfondimento di merito in punto di configurabilità del reato, profilo questo destinato evidentemente ad assorbire le doglianze articolate nel ricorso.t 1. Occorre premettere al riguardo, riprendendo l'esegesi operata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 24782 del 22/03/2018, Rv. 272801, che, inizialmente, l'omesso versamento di ritenute da parte del sostituto era previsto dall'art. 2 del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, che, nel suo testo originario, contemplava espressamente come condotta delittuosa il fatto di non versare «all'Erario le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori». Tale previsione, in parte modificata dall'art. 3 del decreto legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, che aveva diversificato la risposta sanzionatoria anche in ragione del superamento o meno di determinate soglie di punibilità, veniva tuttavia soppressa dall'art. 25 lett. d) del d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, espressamente abrogativo del titolo I del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, ivi compresi, dunque, anche i reati a carico del sostituto di imposta, senza alcuna contestuale introduzione di fattispecie di reato in continuità normativa rispetto a quella di cui al citato art. 2 della legge n. 516, rilevando tale condotta omissiva solo come illecito di carattere amministrativo, attesa la espressa scelta del legislatore di eliminare una figura criminosa che si caratterizza, né più né meno, come mero inadempimento di un debito, sia pure nei confronti dello Stato, non caratterizzato da alcuna componente di tipo fraudolento. Il fatto tornava però a riacquistare le caratteristiche di illecito penale con l'art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per l'anno 2005), che provvedeva a inserire nell'impianto normativo del d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74 l'art. 10 bis dal titolo «omesso versamento di ritenute certificate», venendo questa volta, infatti, sanzionato l'omesso versamento, unicamente ove riguardante «ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti», per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta. Tale norma è stata infine modificata per effetto dell'art. 7 del d. Igs. 24 settembre 2015 n. 158, venendo per effetto di tale riforma punito «chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta». A parte l'innalzamento della soglia della rilevanza penale, l'elemento differenziale nelle due versioni della norma consiste nel fatto che, mentre in quella ante 2015 si faceva riferimento alle sole «ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti» (quindi il CUD o CU), dal 2015 la norma opera anche, ed alternativamente, il riferimento alle «ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione» (cioè quella annuale del sostituto, e, quindi, il mod. 770). La revisione della norma è dunque consistita nella integrazione della rubrica dell'articolo (passata da «omesso versamento di ritenute certificate» a «omesso versamento di ritenute dovute o certificate») e nella apposizione, accanto al periodo «risultanti dalla certificazione rilasciata», del periodo «dovute sulla base della stessa dichiarazione»;
dunque, anziché ricostruire la fattispecie nel senso di un ritorno all'impianto come disciplinato dal decreto legge n. 429 del 1982, ove l'obbligo di versamento penalmente presidiato riguardava semplicemente le ritenute «effettivamente operate», si è scelto nel 2015 non solo di mantenere la necessità di una fonte di attestazione delle stesse, ma altresì di duplicare la stessa mediante il ricorso anche al contenuto della dichiarazione. L'oggetto materiale della condotta omissiva sanzionata, dapprima limitata alle sole ritenute che risultavano dalla certificazione, è stata quindi estesa alle ritenute emergenti dalla dichiarazione modello 770, per cui, alla luce di tale modifica, si è posto nella giurisprudenza di legittimità il quesito sulla sufficienza, per i soli fatti precedenti alla novella del 2015, della dichiarazione modello 770 del sostituto a dimostrare l'avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni, ciò a fronte della necessità di considerare tale rilascio, se non quale elemento costitutivo del reato, quanto meno di suo presupposto. Di qui l'intervento della richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 24782 del 2018, secondo cui, con riferimento alla normativa previgente alla modifica intervenuta nell'anno 2015, deve essere esclusa la idoneità del solo modello 770 (di dichiarazione delle erogazioni effettuate e delle ritenute operate), a provare l'elemento, da considerare presupposto del reato, del rilascio delle certificazioni, ciò in base al rilievo secondo cui le indicazioni contenute nel modello 770 non sono da sole idonee a provare il fatto del rilascio delle certificazioni, essendo indizio che, se può essere sufficiente in sede cautelare reale a fronte del differente standard dimostrativo richiesto, non lo è però in giudizio a fronte del canone dell'accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio cristallizzato dall'art.533 cod. proc. pen., gravando dunque sul pubblico ministero l'onere di ricercare, al fine del raggiungimento della prova richiesta ai fini della configurabilità della fattispecie, elementi ulteriori e diversi (orali, come ad esempio le dichiarazioni dei sostituiti, o documentali) rispetto alla sola dichiarazione modello 770. 2. Tanto premesso, deve evidenziarsi che, con la richiamata pronuncia n. 175 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale sia dell'art. 7, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 158 del 2015 ("Revisione del sistema sanzionatorio in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014 n. 23"), nella parte in cui ha inserito le parole "dovute sulla base della stessa dichiarazione o" nel testo dell'art. 10 bis del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, sia dello stesso art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, limitatamente alle parole "dovute sulla base della stessa dichiarazione o". 4 e2, Le conclusioni alle quali è pervenuta la Consulta si sono basate sull'accoglimento dei profili di censura della norma messi in evidenza nell'ordinanza di rimessione sollevata dal Tribunale di Monza, con particolare riguardo alla violazione dell'art. 25 comma 2 della Costituzione, sotto il profilo dell'eccesso di delega. A tal proposito, infatti, l'art. 8 della legge delega n. 23 del 2014, rubricato "Revisione del sistema sanzionatorio", aveva delegato il Governo a "procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo altresì la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative". Il legislatore delegato tuttavia, esorbitando dal perimetro indicato dalla legge delega, come ha osservato il giudice rimettente, le cui obiezioni sono state recepite dalla Corte Costituzionale, se da un lato ha ridotto l'ambito applicativo della norma innalzando la soglia di punibilità delle condotte penalmente rilevanti, dall'altro lato, ha introdotto una nuova fattispecie penale costituita dall'omesso versamento delle ritenute dovute sulla scorta della dichiarazione presentata e a prescindere dal rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Nel premettere che la delega consentiva sì la configurazione di fattispecie penali, ma con riferimento a condotte tipiche di particolare gravità, la Consulta ha ribadito che la condotta di chi non versa le ritenute indicate nella relativa dichiarazione come sostituto d'imposta, al momento della delega, non costituiva reato, ma illecito amministrativo tributario, mentre solo in passato, ovvero fino alla riforma del 2000, è stata punita come reato contravvenzionale, dovendosi in tal senso escludere che si sia in presenza di «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa», come indicato nella legge delega (art. 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014). Scostandosi da tale linea direttiva, il legislatore delegato ha invece introdotto nell'art. 10 bis una nuova fattispecie penale (omesso versamento di ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione del sostituto), affiancandola a quella già esistente (omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti), senza essere in ciò autorizzato a farlo dalla legge di delega, mentre sarebbe stato necessario un criterio preciso e definito per poter essere rispettoso anche del principio di stretta legalità in materia penale. Di qui la declaratoria di incostituzionalità nei termini descritti, che ha sostanzialmente "sterilizzato" la modifica della norma incriminatrice introdotta con il d. Igs. n. 158 del 2015 che, oltre a innalzare la soglia di punibilità da euro 50.000 a euro 150.000, aveva previsto la possibilità di ricavare la prova dell'avvenuta consumazione del reato anche sulla base di quanto risultasse dalla mera dichiarazione del sostituto d'imposta (c.d. modello 770), per cui ora l'integrazione della fattispecie penale ex art. 10 bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate, mentre il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma di cui non c'è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario. Tornano quindi attuali, non più solo per i fatti pregressi al d. Igs. n. 158 del 2015, ma a questo punto anche per i fatti ad esso successivi, i criteri interpretativi elaborati dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 24782 del 2018, secondo cui, in tema di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini della prova del rilascio al sostituito delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione modello 770, dovendosi cioè comprovare aliunde il rilascio delle predette certificazioni, nel solco delle indicazioni ermeneutiche fornite dalla pronuncia delle Sezioni Unite, oltre che dalla giurisprudenza ad essa successiva (cfr. Sez. 3, n. 13610 del 14/02/2019, Rv. 275901-02 e Sez. 3, n. 25987 del 13/07/2020, Rv. 279743).
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