Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/04/2011, n. 8806

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In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, in caso di modifica della norma che individua la condotta disciplinarmente rilevante, per accertare se ricorra una ipotesi di "abolitio criminis" è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di illecito, ovvero, non incidendo sulla struttura dello stesso, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. (Nella specie, la S.C. ha rilevato che l'originaria contestazione ex art. 18 r.d.lgs. n. 511 del 1946, costituita dalla violazione del dovere di riserbo, correttezza e rispetto per un collega, ricadeva anche nella previsione di cui all'art. 2, primo comma, lett. d) del d.lgs. n. 109 del 2006 che prevede, quale autonoma e separata ipotesi, quella dei comportamenti gravemente scorretti nei confronti di altri magistrati).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/04/2011, n. 8806
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 8806
Data del deposito : 18 aprile 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo Presidente f.f. -
Dott. T R M - Presidente Sezione -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. D P S - Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. S M B - Consigliere -
Dott. D C V - rel. Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
Dott. S G M R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.G.A. , elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato T E, per delega in atti;

- ricorrente -

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

- intimati -

avverso l'ordinanza n. 77/2010 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 27/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/11/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO P P M, che ha concluso per l'inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Sezione disciplinare del CSM, con sentenza n. 67 del 2005, depositata il 20 settembre 2005, ha condannato la Dott.ssa D.G.A. alla sanzione dell'ammonimento per inosservanza del R.D.Lgs. 31 maggio 1946 n. 511, art. 18, per aver gravemente violato, con una
intervista rilasciata ad un quotidiano in data 23 maggio 2003, il dovere di riserbo, correttezza e rispetto nei confronti di un collega noto, accreditando l'insinuazione che questi fosse l'ispiratore (e beneficiario nell'interesse della figlia) delle manovre fraudolente poste in essere da un componente della commissione esaminatrice nel concorso per uditore giudiziario. La decisione è stata poi confermata dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. 16 giugno 2006 n. 13532). Con istanza del 7 gennaio 2010 la Dott.ssa D.G. ha chiesto alla Sezione disciplinare del C.S.M. la revoca della condanna ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., invocando l'applicazione del principio di retroattività delle disposizioni più favorevoli di cui all'art. 2 cod. pen. sull'assunto che, a seguito della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 109 del 2006, la condotta per la quale aveva subito la sanzione non costituisse più illecito disciplinare. Con ordinanza depositata il 27 aprile 2010 la Sezione disciplinare ha rigettato il ricorso sottolineando l'inapplicabilità al sistema disciplinare del principio di retroattività della disciplina più favorevole regolato dall'art. 2 cod. pen., attesa la natura amministrativa delle relative sanzioni e, comunque, l'esistenza di una specifica autonoma regolamentazione nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32 bis. Rilevava, in ogni caso, che la condotta contestata non
poteva ritenersi scriminata, restando, in ipotesi, sussumibile nelle fattispecie di cui all'art. 2, comma 1 lett. d) e art. 4, comma 1, lett. d) del suddetto D.Lgs..
La Dott.ssa D.G. ha impugnato la suddetta ordinanza con ricorso fondato su quattro distinti motivi. Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell'art. 2 cod. pen., con riferimento alla statuizione con la quale la Sezione
Disciplinare del CSM ha rigettato l'istanza proposta dalla ricorrente ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen.. Deduce l'erroneità dell'assunto, su cui è basata la decisione impugnata, secondo cui, in tema di procedimento disciplinare, non è possibile applicare il principio, proprio del diritto penale, della retroattività della disposizione più favorevole. Ad avviso della ricorrente il suddetto assunto troverebbe smentita nella norma transitoria contenuta nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32 bis, che prevede, secondo la tesi svolta nel motivo di ricorso, l'applicazione agli illeciti disciplinari del principio di retroattività della norma più favorevole.
Col secondo motivo la ricorrente deduce la sussistenza di un profilo di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32 bis (in riferimento all'art. 3 Cost.) come interpretato dalla Sezione
Disciplinare. Sostiene, infatti, che la corretta applicazione del principio della legge più favorevole non può essere sacrificato dall'ingiustificato sbarramento temporale introdotto dal citato art. 32 bis nella parte in cui stabilisce che Le

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