Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 05/09/2003, n. 12991

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 05/09/2003, n. 12991
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12991
Data del deposito : 5 settembre 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

12 99 1 /0 3 Aula A REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dai Magistrati: Dott. G ITO Presidente R.G. nn. 5220/01 e 8346/01 Dott. G MA Consigliere Cron. 26876 Dott. G V Consigliere Rep. Dott. P S Consigliere Udienza 4 giugno 2003 Cons, relatoreProf. B B ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso (r.g. n. 5220/2001) proposto da: FERROVIE DELLO STATO-SOCIETA' DI SERVIZI E TRASPORTI, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. F C ed elettivamente domiciliata in Roma alla via di Ripetta n. 22 (presso l'avv. Gerardo Vesci), giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro 3369 GIANNINI ANDREA, IACOPINO LORENZO, TRIULCIO FRANCO, SICILIANO WALTER, CORNO LIBERATO, BARCELLA GIOVANNI, CRISTALLINO VINCENZO, PAVONO FRANCESCO, PATERNOSTER CARLO, MELIADO ANTONIO, SCOFANO FRANCESCO, FORTINO GIUSEPPE, MADDALENA FEDELE, INCA GIUSEPPE, LORIA ANTONIO, SCAGLIOLA DOMENICO VINCENZO, ROMANO PIETRO, SAGGESE VINCENZO, PAVAGLIANITI ALFREDO A., PLACANIA VINCENZO, CASSALIA AGOSTINO, SANTORO MARIO, CARUSO QUINTINO, FRANZOIA IMPROTO PASQUALE, MOSCATO DOMENICO, MALARA VINCENZO, DI GIORNO MARIO, CAVALIERE RAFFAELE, CUNDARI FRANCESCO, BERNARDINI ARMANDO, PALUMBO ANGELO, LATTUGA FRANCESCO, BRIGANTI GIUSEPPE, INTORTO LORENZO, NUNNARI FRANCESCO, GUIDO LUIGI, CERMINARA MICHELE, QUATTRONE STEFANO, ل ا ک ا PANTANELLA FRANCO, rappresentati e difesi dall'avv. Angelo Di Novi ed elettivamente domiciliati in Roma al viale G. Mazzini n. 112 (presso l'avv. Francesco Candreva), giusta procura in calce al き "controricorso e ricorso incidentale";

- controricorrenti -

2 NONCHE' sul ricorso (r.g. n. 8436/2001) proposto da: GIANNINI ANDREA, IACOPINO LORENZO, TRIULCIO ! FRANCO, SICILIANO WALTER, CORNO LIBERATO, - BARCELLA GIOVANNI, CRISTALLINO VINCENZO, PAVONO FRANCESCO, PATERNOSTER CARLO, MELIADO ANTONIO, SCOFANO FRANCESCO, FORTINO GIUSEPPE, MADDALENA FEDELE, INCA GIUSEPPE, LORIA ANTONIO, SCAGLIOLA DOMENICO VINCENZO, ROMANO PIETRO, SAGGESE VINCENZO, PAVAGLIANITI ALFREDO A., PLACANIA VINCENZO, CASSALIA AGOSTINO, SANTORO MARIO, CARUSO QUINTINO, FRANZOIA IMPROTO PASQUALE, MOSCATO DOMENICO, MALARA VINCENZO, DI GIORNO MARIO, CAVALIERE RAFFAELE, CUNDARI FRANCESCO, BERNARDINI ARMANDO, PALUMBO ANGELO, LATTUGA FRANCESCO, BRIGANTI GIUSEPPE, INTORTO LORENZO, NUNNARI FRANCESCO, GUIDO LUIGI, CERMINARA MICHELE, QUATTRONE STEFANO, PANTANELLA FRANCO, rappresentati, difesi ed elettivamente domiciliati come dinanzi indicato; - ricorrenti incidentali - 3 contro FERROVIE DELLO STATO-SOCIETA' DI SERVIZI E TRASPORTI, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, ; rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata come dinanzi indicato; - controricorrente in via incidentale - avverso la sentenza del Tribunale di P-Sezione Lavoro n. 30/2000 del 18 febbraio 2000 (resa nel giudizio di appello avente i nn. di ruolo 728/1998 e 224/1998). Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 giugno 2003 dal relatore consigliere Bruno Balletti; Uditi gli avv.ti Terrinoni (per delega dell'avv. Vesci) e Marciano (per delega dell'avv. Di Novi); Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Giuseppe Napoletano, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. р о SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La s.p.a. "Ferrovie dello Stato-società di trasporti e servizi" proponeva, con separati ricorsi, opposizione avverso i decreti ingiuntivi che i dipendenti di detta società (odierni "controricorrenti e ricorrenti in via incidentale") avevano richiesto ed ottenuto dal Pretore 4 di P-Giudice del Lavoro per l'asserito credito di differenze retributive, dovutegli dalla cennata società loro datrice di lavoro, per avere espletato lavoro straordinario retribuitogli in misura inferiore a quella spettantegli, in quanto non erano stati inclusi gli aumenti retributivi maturati per i sopravvenuti miglioramenti contrattuali. La società opponente deduceva che il lavoro straordinario espletato dai ricorrenti-in-via-monitoria era stato correttamente retribuito nel pieno rispetto della normativa in materia concernente "il blocco" dello straordinario nella misura prevista per l'anno 1992. L'adito Giudice del Lavoro accoglieva le opposizioni e revocava gli opposti decreti ingiuntivi, ma - su impugnativa dei soccombenti e ricostituitosi il contraddittorio il Tribunale di P - (quale Giudice del Lavoro di secondo grado), in riforma della sentenza 8 impugnata, così provvedeva: *) condanna le Ferrovie dello Stato 18 s.p.a. a pagare agli appellanti la somma di cui al decreto ingiuntivo opposto, oltre ad interessi e rivalutazione sino al 31 dicembre 1994 ed ai soli interessi a far data dal 1° gennaio 1995;
*) compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio, nonché quelle della fase monitoria>>. Per quanto rileva ai fini del presente giudizio il Giudice di appello ha rimarcato che: a) una norma, che consentisse di retribuire un'ora di lavoro straordinario in misura inferiore rispetto a un'ora di 5 quello ordinario, sarebbe in contrasto con il precetto dell'art. 36 della Costituzione non potendo essere fatta salva da ogni censura di costituzionalità la norma che consentisse di pagare lo straordinario in misura inferiore al lavoro ordinario, di fronte al precetto costituzionale che attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro, laddove, per definizione, lo straordinario è maggiormente gravoso e quindi merita di essere compensato in misura proporzionale a questo maggiore sforzo>>;
b) non rileva, nella specie, quell'artificiosa categoria dell'orario supplementare da contratto collettivo e orario straordinario legale, "zona grigia" rispetto alla quale non troverebbe applicazione la norma imperativa dell'art. 2108 c.c., essendo libere le parti collettive di stabilire se rispetto alla stessa debbano essere applicate o meno le maggiorazioni>>;
c) con il c.c.n.l. 1990/1992 le parti hanno voluto riconoscere una maggiorazione rispettivamente pari almeno al 10 e al 15% per quel che riguarda lo straordinario feriale e festivo e le parti collettive, quand'anche avessero ritenuto la non applicabilità dell'art. 5 - del r.d.l. n. 692/1993, certo dalla considerazione di quel limite legale non hanno inteso prescindere, elaborando un sistema che, partendo da fattori diversi, allo stesso risultato perveniva: [per cui], se questa era la volontà delle parti nel dare attuazione al disposto imperativo dell'art. 2108 c.c., (norma che, per l'appunto, alla contrattazione collettiva si 6 richiama per la definizione del quantum della maggiorazione) di questa disciplina il Giudice dovrà tener conto nel sostituire, alla norma del secondo comma dell'art. 1419 cod. civ., le clausole collettive ritenute 3 nulle>>. Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. "Ferrovie dello Stato- società di trasporti e servizi" ha proposto ricorso affidato ad un unico complesso motivo. Hanno resistito con controricorso gli intimati, i quali hanno - a loro volta - proposto ricorso incidentale sostenuto da un unico motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. MOTIVI DELLA DECISIONE Con l'unico motivo di censura la ricorrente "principale". I denunziando insufficiente motivazione, violazione e falsa applicazione dell'art. 5 del r.d.l. n. 692/1923 e, conseguentemente, del R quinto comma dell'art. 7 del d.l. n. 384/1992 (convertito nella legge n. D + 438/1992) e del comma 36 dell'art. 3 della legge n. 537/1993">>
- a) censura la sentenza impugnata per l'errata interpretazione dell'art. 7 cit. e delle summenzionate disposizioni dei contratti collettivi in quanto la contrattazione collettiva, così come può determinare l'adeguamento dei compensi nello straordinario, resta libera, 7 nell'ambito degli equilibri contrattuali, di mantenere bloccate le aliquote rispettando i parametri costituzionali di adeguatezza della retribuzione;
b) [nel rilevare, poi, che l'interpretazione della maggiorazione ex artt. 2108 cod. civ. e 5 del r.d.l. n. 692 cit. deve avvenire alla luce del "blocco" alla luce del summenzionato art. 7>>] sostiene che l'inapplicabilità dell'art. 5 deriva inequivocabilmente dalla norma di apertura del r.d. n. 692 cit., il quale, all'art. 1, comma 3, prevede che "per i lavori eseguiti a bordo delle navi, per gli uffici ed i servizi pubblici, anche se gestiti da assuntori privati, si provvederà con separate disposizioni”: il che vale ad escludere che l'intero articolato e, dunque, l'art. 5 sul compenso per lavoro straordinario possa trovare applicazione in relazione ai rapporti di lavoro con le Ferrovie dello Stato le quali gestiscono un servizio pubblico, fra l'altro in regime di monopolio>>;
c) addebita, infine, al Tribunale di P di non avere considerato che, nell'ipotesi regolata dalla contrattazione collettiva, si è U S di fronte ad una fattispecie di lavoro supplementare di esclusiva competenza negoziale, in quanto non vi è dubbio che il lavoro eccedente il normale orario previsto dal contratto non supera i limiti legali massimi per il "normale" orario di lavoro appositamente posti - con la conclusione che la dalla legge per il settore ferroviario contrattazione collettiva non incontra, nel caso di lavoro supplementare, il limite di una necessaria maggiorazione del compenso 8 per lavoro supplementare rispetto al compenso per il lavoro ordinario, poiché, in caso contrario, si giungerebbe paradossalmente a considerare il contratto collettivo dei Ferrovieri strumento - "potentissimo" (in grado di condizionare l'applicazione o meno delle norme di legge, fissando limiti a proprio arbitrio) e allo stesso tempo completamente "sterile" (privo di qualsiasi potere concretamente determinativo, constantemente superato in tutto e per tutto dalla normativa di origine legale)>>
-. Con l'unico motivo del ricorso incidentale i controricorrenti - denunziando "violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. -proc. civ." censurano la sentenza de qua relativamente al capo in cui il Tribunale di P ha statuito la compensazione integrale di tutte le spese di lite, atteso che il lavoratore per conseguire il diritto costituzionalmente garantito di una giusta ed equa retribuzione, è stato costretto a sostenere il costo di due gradi di giudizio, senza tener conto della fase monitoria, per cui sarebbe stato equo porre a carico della parte soccombente l'obbligo del pagamento delle spese e competenze -= processuali anche in considerazione della posizione di vantaggio rivestita dalla società datrice di lavoro>>. II Deve essere disposta la riunione dei ricorsi proposti contro la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.). 9 -Per la valutazione delle complesse censure formulate con il III/a esaminabili congiuntamente in quantoricorso “principale" interdipendenti ed intrinsecamente connesse occorre premettere in 2 linea generale che l'orario di lavoro trova la sua disciplina nel vetusto r.d.l. 15 marzo 1923 n. 692 ("Limitazioni dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura"), convertito nella legge 17 aprile 1925 n. 473, che ha stabilito l'orario "massimo normale di lavoro", fissandolo - per gli operai ed impiegati nelle aziende industriali e commerciali di qualunque natura - in otto ore al giorno o in quarantotto ore settimanali di lavoro effettivo (art. 1, primo comma, del r.d.l. cit.);
ha previsto, solo per i lavori agricoli e per i lavori per i quali ricorrano esigenze tecniche o stagionali, la ripartizione dell'orario massimo normale "su periodi ultrasettimanali prevedendo cioè la possibilità di superare le otto ore giornaliere o le quarantotto ore settimanali purchè la durata media del lavoro - entro entro determinati periodi - non ecceda i limiti stabiliti con appositi decreti” (art. 4 del r.d.l. cit.);
legittima, infine, su R O accordo della parti, l'aggiunta "alla giornata normale di lavoro" di un periodo di straordinario che non superi le due ore al giorno e le dodici ore settimanali od "una media equivalente entro un periodo determinato" a condizione in ogni caso che il lavoro straordinario 10 venga computato a parte e retribuito con un aumento di paga non inferiore al 10% (art. 5 del cit. r.d.l.). Solo di recente, in ragione dell'esigenza di adeguare il nostro sistema ordinamentale a quello degli altri stati della Comunità Europea, si è avuta una parziale modifica della disciplina ora descritta. E così, in primo luogo, con l'art. 2, commi 18-21, della legge 28 dicembre 1995 n. 549, si è stabilito che si considera lavoro straordinario (seppure ai soli fini contributivi) per tutti i lavoratori (ad eccezione del personale direttivo) quello che ecceda le quaranta ore settimanali e quello che eccede la "media" di quaranta ore settimanali nel caso di regimi di orario plurisettimanale previsti dai contratti collettivi nazionali, ovvero in applicazione di questi ultimi, dai contratti collettivi di livello inferiore purchè il periodo di riferimento non superi dodici mesi (art. 12, comma 8, della legge n. 549 cit.). Inoltre, con l'art. 13, della legge n. 196/1997, il legislatore, senza nulla statuire in relazione all'orario normale massimo giornaliero, ha fissato per tutti i comparti lavorativi il solo limite di orario normale di lavoro - pari a quaranta ore settimanali e, introducendo una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario (flessibilità imposta dalle nuove esigenze tecnico-produttive), ha stabilito pure che la contrattazione collettiva può assumere il predetto limite settimanale come durata media rispetto ad un periodo massimo di un anno, prevedendo così - 11 uniformemente alla direttiva comunitaria n. 104 del 1993 (ed al successivo "avviso comune delle parti sociali" del 12 novembre 1997) - l'intervento delle parti sociali per fissare orari di lavoro (c.d. "lavoro multiperiodale") anche superiori alle quaranta ore settimanali, purché nell'arco del periodo di riferimento sia in ogni caso mantenuta la media delle quaranta ore settimanali. Infine, con il d.l. 29 settembre 1998 n. 335 (convertito con modificazioni nella legge 20 novembre 1998 n. 409), in attesa di una organica e esauriente disciplina sull'orario di lavoro, il legislatore ha stabilito che le imprese, in assenza di diversa disciplina dei contratti collettivi, possano far effettuare lavoro straordina-rio per duecentocinquanta ore annuali e per ottanta ore trimestrali. -aIl richiamo alla più recente normativa appare opportuno parte la questione della sua dubbia parziale applicabilità alla fattispecie -in esame perchè contribuisce a chiarire lo stesso ambito applicativo delle citate disposizioni del r.d.l. del 1923 e dei principi inderogabili in materia di gestione dell'orario di lavoro, con l'individuazione di alcune - fondamentali regole che, per essere funzionalizzate alla tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore costituzionalmente garantita (cfr. art. 36, commi 2 e 3, Cost.), non possono essere derogate nè dai titolari del singolo rapporto lavorativo nè delle stesse parti sociali con la contrattazione collettiva (Cass. 4 dicembre 2000 n. 15419, con 12 rinvio alla parte motivazionale giusta il testo di seguito riportato espressamente). Da una lettura logico-sistematica dell'intero assetto normativo - può, quindi, evincersi che è da considerare la settimana di calendario come regola generale su cui parametrare il rispetto dell'orario normale massimo sia in relazione alla singola giornata lavorativa sia in relazione alla intera settimana lavorativa - come constatato, rispettivamente otto e quarantotto ore di lavoro effettivo ex art. 1 del r.d.l. n. 692/1923 - (Cass. 6 dicembre 1991 n. 13144). L'esattezza di questo assunto è desumibile anche dalla considerazione che, da un lato, l'art. 4 del r.d.l. n. 692/1923 lascia alla contrattazione collettiva la possibilità di fissare periodi di computo ultra-settimanali (disancorando così il computo dell'orario massimo normale dell'abituale parametro della settimana di calendario), e, dall'altro lato, dal successivo art. 5, che nel regolare il lavoro straordinario mostra di riferirsi sempre ed unicamente ad uno stesso ed unico arco temporale, che, ripetesi, non può che identificarsi nella р п - settimana che va dal lunedì al giorno di riposo. Come si è rilevato, allo stato, l'art. 13 della legge n. 196/1997 consente che, in tutti i comparti, le parti sociali possano regolamentare l'orario massimo normale di lavoro anche al di là della settimana di calendario, fissando in 40 ore la media dell'orario settimanale 13 nell'ambito di un periodo di riferimento non superiore, in alcun caso, all'anno. L'espressa previsione di una siffatta regolamentazione, corollario dell'autonomia collettiva e della valorizzazione del ruolo del sindacato come il soggetto più idoneo a conciliare, nella gestione dell'orario del lavoro, le esigenze dell'impresa con quelle dei lavoratori, non deve indurre a ritenere che sotto la vigenza della antica disciplina non fosse consentita alla contrattazione collettiva, in ragione delle particolari e specifiche esigenze del singolo settore produttivo, fissare, da un lato, un orario normale massimo lavorativo al di sotto delle quarantotto ore settimanali e delle otto ore giornaliere, e parametrare l'orario così individuato all'interno di una settimana non coincidente con quella di calendario, ma invece con quella corrente da un riposo ad un altro o anche con un periodo più lungo. E' evidente però che la legittimità di tale contrattazione collettiva trovava i suoi limiti nel rispetto continuo e costante, e cioè in ogni singola giornata di esecuzione dell'attività lavorativa ed in ogni periodo di sette giorni lavorativi, di quei limiti temporali (appunto ore otto giornaliere e quarantotto settimanali), la cui osservanza è stata posta dal legislatore a 2 garanzia di salute del lavoratore, come è attestato anche dalle condizioni richieste per lo straordinario e dai limiti quantitativi del suo svolgimento (due ore al giorno e dodici settimanali). 14 Del resto già da tempo, e precisamente a partire dagli “anni settanta", la contrattazione collettiva aveva finito per generalizzare un limite di quaranta ore settimanali, poi ulteriormente abbassato per alcune categorie (ad es. 37,5 ore nei settori del credito e delle assicurazioni) o con contratti aziendali (ad esempio 36 ore in molte aree del settore tessile), anche attraverso l'utilizzazione dei permessi per ragioni personali: così veniva operata una derogabilità in melius in relazione a quanto stabilito dalla previsione legale in attuazione della regola codicistica che attribuisce, oltre che alle leggi speciali, anche alla contrattazione collettiva l'indicazione dei limiti massimi di durata giornaliera e settimanale della prestazione di lavoro>>
(art. 2107 cod. civ.). Il principio dell'ammissibilità di condizioni più favorevoli ad opera della contrattazione collettiva è ora prevista espressamente nella ل ی ل گ ا materia in oggetto essendosi, appunto, statuito che “i contratti collettivi possono stabilire una durata collettiva minore" di quella prevista per legge (art. 13, primo comma, della legge n. 196/1997), con la conseguente legittimità di una fissazione convenzionale dell'orario normale settimanale in termini ridotti rispetto all'orario legale delle quaranta ore e con l'ulteriore effetto di permettere il rispetto del limite convenzionale con il criterio della media multiperiodale, sempre però nella salvaguardia delle otto ore giornaliere, il cui limite non è 15 consentito alla contrattazione collettiva derogare in ragione della rilevanza costituzionale della durata massima della giornata lavorativa (art. 36, secondo comma, Cost.) e dovendosi il limite dell'orario giornaliero e quello dell'orario settimanale considerare autonomi e non invece alternativi (cfr. al riguardo: Cass. 29 gennaio 1999 n. 817;
Cass. 2 agosto 1996 n. 6995;
Cass. 15 novembre 1985 n. 5616;
Cass. 20 aprile 1983 n. 2729). Orbene, il fatto che la contrattazione collettiva e la più recente normativa del settore- in ragione di una maggiore flessibilità abbiano comportato una diversa modulazione del lavoro su di un arco temporale multiperiodale, comporta che il superamento dell' orario contrattualmente definito come "normale" in un periodo più ristretto (giorno o settimana), non può far considerare le ore "eccedenti" come lavoro straordinario dal punto di vista legale;
donde la inapplicabilità گ ل dell' intera normativa - anche attuativa dell' art. 4 della Carta sociale europea, ratificata con legge 9 febbraio 1999 n. 30 - avente ad oggetto il compenso per lo straordinario strictu sensu inteso. -III/b Più in particolare, con riferimento specifico alla questione dibattuta nel presente giudizio, si rileva che il quadro normativo di contenimento della spesa per il personale del cd. "pubblico impiego allargato" è costituito dal settimo comma dell'art. 2 del d.l. n. 333/1992 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 359/1992) - il 16 : cui scopo era quello di evitare comunque il superamento del tasso programmato di inflazione sicché il divieto riguardava non solo l'adozione di nuovi provvedimenti di aumenti “in materia di retribuzione e normazione del personale dipendente", ma anche ±1 l'attuazione di incrementi retributivi già contrattati" e dai primo e - quarto commi dell'art. 7 del d.l. n. 384/1992 (convertito, con modificazione, nella legge n. 438/1992) - secondo cui il fatto che il cennato art. 7 fosse intitolato "misure, in materia di pubblico impiego, non impediva che le disposizioni con esso dettate si riferissero anche ad enti non ricompresi fra gli enti pubblici in senso stretto (Cass. 10 giugno 1999 n. 5719, 11 febbraio 2002 n. 1996 e, implicitamente, su tale punto Corte Cost. n. 242/1999) -. A conferma della conclusione testé enunciata occorre ulteriormente rimarcare per contrastare funditus le argomentazioni ل ا ت ا alla base della decisione a cui è pervenuto il Giudice di appello nella sentenza impugnata - che già il primo comma dell'art. 7 cit. estende la sua efficacia "al personale comunque dipendente da enti pubblici non economici, nonché a quello degli enti, delle aziende o società produttrici di servizi di pubblica utilità", tanto che questa Corte ha avuto occasione di precisare che il blocco degli incrementi retributivi previsto da tale comma riguarda anche gli "enti autonomi portuali", ai quali, pertanto, devono ritenersi inconcedibili, per tutto l'anno 1993, i 17 miglioramenti economici previsti da contratti collettivi (se non nella misura forfettariamente stabilita di lire 20.000 mensili) e gli incrementi retributivi conseguenti ad automatismi stipendiali (Cass., 1° agosto 2000 n. 10084). La formulazione del quinto comma, che indubbiamente ha una portata minore del "blocco" disposto dal primo comma, lascia chiaramente intendere che la corresponsione, per l'anno 1993, di indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, comprensivi, per legge, atto amministrativo o disposizione contrattuale, di una quota di indennità integrativa speciale o dell'indennità di contingenza o, comunque, rivalutabili in relazione alla variazione del costo della vita, nella stessa misura dell'anno 1992, non può non riguardare tutto il personale individuato con il primo comma. La conclusione è confortata dalla considerazione del fine di risanamento della finanza pubblica>>, avviato con il d.l. n. 333/1992 (convertito nella legge n. 359/1992), proseguito con il d.l. n. 384/1992 e con le cd. "leggi finanziarie" del 1994 e del 1996 - che hanno prorogato le disposizioni dei commi quinto e sesto dell'art. 7 del d.l. n. 384/1992 dapprima al triennio 1994/1996 (art. 3, comma 36, della legge n. 537/1994), poi al triennio 1997/1999 (art. 1, comma 66, della n. 662/1996) - per cui impedire ai lavoratori delle aziende o società produttrici di servizi di pubblica utilità di stipulare nuovi accordi economici collettivi - congelando per il 1993 la disciplina 18 anche contrattuale vigente-ed esonerarli, invece, dal blocco della crescita automatica (per effetto di meccanismi di indicizzazione) disposto dal quinto comma, sarebbe risultato quanto meno contraddittorio, considerata la ricordata ratio della normativa summenzionata. La fissazione di tetti di spesa per la finanza pubblica non può non estendersi a tutti quegli enti quale ne sia la loro formale - qualificazione giuridica - dei quali lo Stato mantenga, quale unico azionista, la gestione e le responsabilità economiche e finanziarie (così Cass. n. 1996/2002 cit.). III/c. L'applicabilità del quinto comma dell'art. 7 del d.l. n. 384/1992 non esaurisce, peraltro, la questione affrontata nel giudizio in esame, in quanto alla tesi sostenuta sostanzialmente dalla società ricorrente "a mente della quale la cennata disposizione contiene "le indennità, i compensi, le gratifiche e gli emolumenti di qualsiasi natura, in quanto comprensivi di indennità integrativa speciale, indennità di contingenza o, comunque rivalutabili in relazione al costo della vita", sicché l'applicazione della disposizione comporta il congelamento ai valori del 1992 dell'intera misura di tali emolumenti>>
si contrappone quella dei controricorrenti e sostenuta dal giudice di appello nella sentenza impugnata - secondo cui l'interpretazione della norma de qua, ove fosse così intesa, si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della 19 Costituzione, in quanto bloccare l'intera misura della quota oraria dovuta per lo straordinario e non la sola parte di essa soggetta a rivalutazione economica sarebbe irrazionale considerando che il blocco della retribuzione base, disposto dal primo comma dell'art. 7, non è stato prorogato oltre il 1992, mentre la proroga (dapprima al 1996 e, poi, al 1999) del blocco disposto dal quinto comma porterebbe all'assurdo che un'ora di straordinario finirebbe per essere pagata di meno di un'ora di lavoro ordinario, nonostante la maggiore penosità del primo;
sicché il quinto comma dell'art. 7 cit. andrebbe interpretato nel senso che la norma avrebbe riguardo unicamente ai meccanismi automatici di indicizzazione e soltanto su questi ultimi avrebbe prodotto effetti di "blocco" (nei casi, invece, in cui la dinamica retributiva sia agganciata non a voci indicizzate, ma a voci contrattate, la crescita di queste, che non sarebbe vietata dal primo comma dell'art. 7, non impedisce neppure la crescita del compenso per lavoro straordinario) -. Siffatta interpretazione, fatta propria (come si è rilevato) dal Tribunale di P e sulla quale si basa la sentenza impugnata, appare sicuramente errata in quanto risulta in contrasto con la chiara formulazione della norma da interpretare e con le stesse finalità con la stessa perseguite. 2 20 0 ÷ Va, in primo luogo, rimarcato che norme dal contenuto identico, o analogo, all'art. 7, quinto comma, del d.l. n. 284/92 sono già state in passato emanate: a) così, l'art. 7, sedicesimo comma, della legge n. 887/1984, disponeva, per le categorie indicate nell'articolo (il personale dell'impiego pubblico “allargato”, compreso, in particolare, il personale dipendente dalle aziende esercenti pubblici servizi di trasporto in regime di concessione), che tutti gli emolumenti, compensi, gratifiche ed assegni a qualsiasi titolo corrisposti, ad eccezione della tredicesima mensilità comprensivi, per disposizione di legge o atto amministrativo previsto dalla legge o per disposizione contrattuale, di una quota dell'indennità integrativa speciale di cui alla legge n. 324/1959, o dell'indennità di contingenza prevista per il settore privato, o che siano in altro modo rivalutabili in ER relazione ai predetti istituti, sono corrisposti, per il 1985, in misura non superiore a quella corrisposta nel 1984>>;
b) parimenti, l'ottavo comma dell'art. 6 della legge n. 41/1986 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato") statuiva: Tutte le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, con esclusione della tredicesima mensilità e di eventuali, altre mensilità per le categorie che le percepiscano, comprensivi, per disposizione di legge od atto amministrativo previsto dalla legge o per disposizione contrattuale, di una quota dell'indennità integrativa 21 speciale di cui alla legge n. 324/1959, e successive modificazioni, o dell'indennità di contingenza prevista per il settore privato, o che siano in altro modo rivalutabili in relazione ai predetti istituti, sono corrisposti, per gli anni 1986, 1987 e 1988 nella stessa misura i dell'anno 1985, salva l'applicazione del disposto di cui al precedente comma>>
(comma che prevede la possibilità di rivalutazione dei trattamenti economici accessori, solo se diretta ad incentivare la produttività). Con riferimento alle disposizioni del 1984 e del 1986, questa Corte ha precisato che le stesse non contenevano solo la prescrizione di un "tetto di spesa" complessivo, ma stabilivano il blocco della "misura retributiva unitaria" di tali compensi in relazione ai singoli lavoratori, in tal senso modificando l'obbligazione retributiva del datore di lavoro (Cass. 14 maggio 1992 n. 5722, 1 giugno 1992 n. 64579, 10 gennaio 1994 n. 186, 10 giugno 1999 n. 5719). Così come - con riferimento all'art. 7, sedicesimo comma, della legge n. 887/1984 ed all'art. 6, ottavo comma, della legge n. 41/1986 - non si è mai dubitato che ad essere "congelata" era la "misura retributiva unitaria" di tali compensi [con l'unica eccezione, limitatamente al "blocco" del 1986, di una rivalutazione contrattuale degli stessi connessa ad incentivi di produttività (prevista dal settimo comma dell'art. 6 della legge n. 41/86)], così non vi è motivo di 22 dubitare che la identica formulazione usata dal legislatore con il comma quinto dell'art. 7 del d.l. n. 384/1992 abbia inteso prescrivere che, per l'anno 1983, tutte le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, comprensivi dell'indennità integrativa speciale o di contingenza o, comunque, rivalutabili, fossero corrisposti nella stessa misura dell'anno 1992;
tutte le "indennità, compensi ecc.", e non solo la quota della indennità integrativa speciale o dell'indennità di contingenza in essi compresa. Tanto più che il meccanismo della scala mobile, posto a base dell'indennità di contingenza, era stato anche formalmente superato con "il protocollo di intesa tra governo e parti sociali" del luglio 1992. A questo riguardo è il caso di precisare che, contrariamente a quanto pure si è osservato che cioè interpretare l' art. 7 (comma 5) - del d.l. 384/92 nel senso accolto da questa Corte- dovrebbe comportare la conseguenza - inaccettabile logicamente - di un blocco generalizzato dell' intero sistema retributivo ai valori del 1992 (con la ulteriore conseguenza che, anche negli anni successivi al 1993 M dovrebbe operare questa limitazione alla dinamica retributiva), non risponde al vero. Ed infatti, il legislatore ha tenuto ben distinto il blocco della retribuzione, previsto per il solo 1993 dal primo comma della norma in esame (con una sorta di “compensazione” mediante la erogazione di una somma forfetaria mensile di L. 20.000), dal blocco 23 degli altri emolumenti, di cui al quinto comma, nel quale è adoperata l' espressione (come nella legislazione successiva sul punto) di "stessa misura dell' anno 1992", il che sta ad indicare che il legislatore ha inteso riferirsi alla "tariffa unitaria" (così Cass. 6579/1999 e 5719/1999 per le leggi finanziarie rispettivamente per gli anni 1985 e 1987) dei summenzionati compensi. Ed al riguardo è appena il caso di chiarire che la soluzione accolta è in perfetta continuità con la precedente giurisprudenza formatasi su quelle "leggi finanziarie", in quanto le decisioni richiamate – essendo solamente tale l' oggetto del contendere - hanno esaminato il problema dell' incidenza delle variazioni dell' indennità integrativa speciale (o di simili meccanismi di adeguamento al costo della vita) sul computo del compenso del lavoro straordinario, affermando che il valore unitario di tale compenso doveva essere mantenuto nel suo ammontare inalterato (e gli accordi contrattuali avrebbero potuto prevedere rivalutazioni solo se diretti ad incentivare la produttività individuale o di gruppo). III/d -. In merito, infine, alla questione della eventuale illegittimità costituzionale della norma nell'interpretazione dinanzi accolta (che aveva determinato la rimessione della questione stessa alla Corte Costituzionale), con la summenzionata ordinanza del 7 marzo 2002 questa Corte aveva ritenuto non manifestamente infondato il "dubbio" della legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 36 Cost., del 24 quinto comma dell'art. 7 del d.l. n. 384 cit. nella parte in cui lo stesso disponendo che tutte le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, comprensivi, per disposizioni di legge 0 atto amministrativo previsto dalla legge o per disposizione contrattuale, di una quota di indennità integrativa speciale di cui alla legge n. 324/1959, e successive modificazioni, o dell'indennità di contingenza prevista per il settore privato o che siano, comunque, rivalutabili in relazione alla variazione del costo della vita>>, debbano essere corrisposti per l'anno 1993 nella stessa misura dell'anno produceva il risultato ovvero consentiva che il lavoro 1992>> - straordinario prestato dai dipendenti delle "Ferrovie dello Stato" venisse retribuito in misura inferiore al lavoro ordinario o comunque non garantisse un compenso proporzionato alla maggiore penosità del lavoro protratto oltre i limiti dell'orario normale>>. -La Corte Costituzionale nel dichiarare, con la sentenza n. 470/2002, non fondata la cennata questione di legittimità costituzionale - ha ribadito il principio, enunciato nella sentenza n. 141/1979, R D secondo cui l'art. 36 Cost., nel proclamare il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata al suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa, non può essere riferito alle singole fonti della retribuzione del lavoratore, ma alla sua globalità>>, esplicitamente statuendo - a proposito della disciplina (art. 25 1, comma terzo, della legge n. 734/1973) dell'assegno perequativo, la quale comporterebbe una retribuzione del lavoro straordinario inferiore a quella per il lavoro prestato nell'orario di servizio>>
- che, al fine di accertare la legittimità della retribuzione dei lavoratori dipendenti in relazione al disposto dell'art. 36 Cost., occorre fare riferimento non già alle singole componenti, ma al complesso della retribuzione>>
(Corte Cost. n. 227/1982, Corte Cost. n. 164/1994, Corte Cost. n. 15/1995, Corte Cost. ord. n. 368/1999, Corte Cost. ord. n. 263/2002). In tale decisione la Consulta ha, inoltre, precisato - in relazione all'affermazione contenuta nella precedente sentenza n. 242/1999, erroneamente posta dal giudice di appello a fondamento del suo - che il principio del "compenso proporzionato alla decisum maggiore penosità del lavoro protratto oltre i limiti dell'orario normale" trascura di considerare: a) che tale preteso principio (maggiorazione necessaria del compenso) non è conforme a quello pretesamente fissato dalla sentenza n. 242/1999 (non inferiorità del р compenso);
b) la rilevanza che, in tale preteso principio, è riconosciuta п alla contrattazione collettiva;
c) la natura descrittiva, più che precettiva dell'effetto, della riportata proposizione;
e pertanto d) l'assenza di ogni argomentazione a sostegno della costituzionale necessità di quell'effetto>>
e, conclusivamente, ha affermato che il mero rinvio 26 ad una proposta interpretativa formulata da questa Corte non giustifica di per sé una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata>>: per cui, non solo deve ribadirsi [così, testualmente, al termine della motivazione della sentenza n. 470/2002] il principio consolidato secondo cui la proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione va riferita non già alle sue singole componenti, ma alla globalità di essa, ma altresì il corollario che questa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 164/1994, ne ha tratto affermando che "il silenzio dell'art. 36 Cost. sulla struttura della retribuzione e sull'articolazione delle voci che la compongono significa che è rimessa insindacabilmente alla contrattazione collettiva la determinazione degli elementi che concorrono a formare, condizionandosi a vicenda, il trattamento economico complessivo dei lavoratori, del quale il giudice potrà poi essere chiamato a verificare la corrispondenza ai minimi garantiti dalla norma costituzionale">>. -La cennata conclusione in base alla quale l'art. 36 Cost. è diretto a garantire l'adeguatezza della retribuzione ("la giusta retribuzione") come corrispettivo globale del lavoro prestato e non consente un giudizio atomistico di insufficienza e non proporzionalità delle singole componenti del corrispettivo stesso si riallaccia - coerentemente con l'indirizzo costantemente affermato da questa Corte secondo cui la retribuzione costituzionalmente garantita si identifica, di 27 regola, con quella determinata dai contratti collettivi. Principio questo che assume specifico valore al fine della ricerca dell'effettiva volontà contrattuale, idest dell'assetto (perseguito e convenzionalmente realizzato) degli interessi economici dei contraenti sindacali: nella A -specie ribadendosi quanto rilevato, in generale, nella premessa sub "capo III/a" l'esistenza del "blocco" statuito dalla normativa summenzionata come presupposto di fatto>>
per la trattativa sindacale non è stata certamente estranea al raggiungimento degli equilibri economici realizzati con la contrattazione collettiva e, anche sotto tale profilo, viene confermata la validità della conclusione assunta. Né vale osservare che, in tal modo, prolungandosi l' orario di lavoro oltre quello normale contrattualmente definito, si ridurrebbe il compenso unitario delle singole ore straordinarie o non - perché, - come si è più volte detto, è il trattamento economico complessivo che va considerato nella sua conformità al precetto costituzionale. p A In definitiva, è legittimo il "blocco" del valore dello straordinario operato in forza del quinto comma dell'art. 7 del d.l. n. 384/1992 che deve essere applicato tenuto conto che, ad essere corrisposti per l'anno 1993 nella stessa misura dell'anno 1992, sono tutte le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere comprensivi di una quota di indennità integrativa speciale o 28 dell'indennità di contingenza o comunque rivalutabili in relazione alla variazione del costo della vita, e non le sole quote di indennità integrativa speciale o di indennità di contingenza contenute nei ricordati emolumenti. Siffatta applicazione non si pone in contrasto con il primo comma dell'art. 36 della Costituzione, non potendosi riferire il concetto di sufficienza e proporzionalità della retribuzione ad un singolo elemento della stessa. IV L'accoglimento del ricorso principale non può che determinare l'assorbimento del ricorso incidentale, poichè il rigetto integrale della domanda proposta (in via monitoria) dall'originario ricorrente vale ad evidenziare, ante omnia, la soccombenza definitiva dello stesso e, quindi, l'improponibilità della sua pretesa ad essere ristorato delle ا spese di giudizio. ل گ V In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso "principale" proposto dalla s.p.a. "Ferrovie dello Stato" deve essere accolto e il ricorso “incidentale" proposto dai controricorrenti deve essere dichiarato assorbito, per cui la sentenza impugnata deve essere cassata e decidendo nel merito ex art. 384 (ult. alinea del primo - comma) cod. proc. civ. poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto - va accolto "il ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo" proposto dinanzi al Pretore di P dalla società ricorrente, va revocato il decreto ingiuntivo opposto e va rigettata la 29 domanda giudiziale originariamente proposta dagli odierni controricorrenti. Ricorrono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio. P. Q. M. La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e decidendo nel merito accoglie il - "ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo" proposto dinanzi al Pretore-Giudice del Lavoro di P dalla s.p.a. "Ferrovie dello Stato- Società di Trasporti e Servizi", revoca il decreto ingiuntivo opposto e rigetta la domanda giudiziale originariamente proposta dagli attuali controricorrenti. Compensa tra le parti le spese dell'intero processo. Così deciso, in Roma, il giorno 4 giugno 2003. Il Consigliere estensore II Presidente би блять LCANCELLIERE Depositato in Cancelleria 85 SET 2003 oggi, IL CANCELLIERE 30 ESENTE DA IMPOSTA DI BOLLO, DI REGISTRO, E DA OGNI SPESA, TASSA O DIRITTO AI SENSI DELL'ART. 10

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