Cass. civ., SS.UU., sentenza 26/07/2004, n. 13975
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Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente Aggiunto -
Dott. D V - Presidente di sezione -
Dott. P E - Consigliere -
Dott. M A - rel. Consigliere -
Dott. L E - Consigliere -
Dott. P R - Consigliere -
Dott. D N L F - Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C L, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE APPIO CLAUDIO 289, presso lo studio dell'avvocato G G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato L A, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI REGGIO EMILIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 236/03 del Consiglio nazionale forense, depositata il 21/07/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/04 dal Consigliere Dott. A M;
udito l'Avvocato L A;
udito il P.M. in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di invio, da parte del Pretore di Reggio Emilia, di copia della sentenza con la quale l'8 luglio 1994 quel giudice aveva condannato l'avvocato LUIGI CORRADI alla pena di anni 3 di reclusione ed a L. 5 milioni di multa (pene condonate nella misura di anni due di reclusione e di L. 500.000 di multa) per i reati di cui agli artt. 110 e 648 c.p., il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di quella
città deliberava l'apertura di procedimento disciplinare nei confronti del professionista contestandogli l'addebito di esser venuto meno ai principi di dignità e decoro professionali tenendo comportamenti integranti i vari delitti di ricettazione come rubricati dal Pretore, commessi il 4.11.91 il primo ed in data imprecisata, comunque anteriore al 24 ottobre 1989 gli altri. Poiché con la sentenza 2.7.99, confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza del 6 luglio 2000, la Corte d'appello di Bologna, assolvendo il C da un addebito di ricettazione e concedendogli la diminuente del rito abbreviato, aveva rideterminato la pena in anni uno e mesi otto di reclusione e L. 2 milioni di multa con il beneficio della sospensione condizionale,nella seduta del 29 gennaio 2001 il C.O.A. di Reggio Emilia riformulava i capi di incolpazione secondo la parziale riforma della decisione pretorile operata in sede di gravame e confermata dal giudice di legittimità.
In esito al giudizio disciplinare, con decisione del 17 settembre 2001, depositata il successivo 26 novembre, veniva riconosciuta la responsabilità dell'incolpato cui veniva irrogata la sanzione della sospensione dall'esercizio professionale per la durata di mesi sei. Avverso tale decisione l'avv.to C proponeva ricorso al Consiglio Nazionale Forense deducendo:
1) estinzione del giudizio disciplinare per mancata riassunzione del giudizio stesso nel termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo penale;
2) incostituzionalità degli artt. 50 e 54 R.D.L. 27 settembre 1933 n. 1578 in relazione all'art. 111 della Costituzione;
3) erronea e falsa applicazione dell'art. 653, comma 1^-bis, c.p.p., come modificato dalla Legge 97/01, nel procedimento disciplinare avanti il Consiglio dell'Ordine, sia in forza della stessa Legge 97/01, che riguarda il rapporto di pubblica dipendenza, sia per
incompatibilità con il R.D.L. 27.1.33 n. 1578;
4) eccessività della sanzione per tipo e durata. Con decisione del 20 febbraio 2003, depositata il successivo 21 luglio, il C.N.F. respingeva in quanto non fondate le doglianze del C ed in parziale accoglimento del ricorso riduceva la sanzione della sospensione dall'esercizio professionale da mesi sei a mesi quattro. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione alle Sezioni Unite di questa Corte l'avvocato Luigi C sulla base di quattro motivi, integrati con motivo aggiunto con atto del 22 marzo 2004.
Gli intimati non hanno svolto alcuna attività in questa sede. Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va innanzi tutto dichiarata l'inammissibilità dei profili di doglianza prospettati nella memoria integrativa poiché il principio della consumazione del diritto d'impugnazione si applica anche con riguardo al ricorso per Cassazione avverso le pronunce del C.N.F. in materia disciplinare il quale è disciplinato, in mancanza di diversa previsione, dalle regole del processo civile, con la conseguenza che, dopo la proposizione di tale ricorso, resta preclusa alla parte la possibilità di introdurre ulteriori censure con atti successivi (v. Cass. S.U. n. 626/88, n. 39/99, n. 1732/2002, n. 6295/2003). Venendo all'esame del ricorso, con il primo motivo si denunzia, in riferimento all'art. 360 n. 4 c.p.c., violazione degli artt. 297 stesso codice, 615 terzo comma, 625, 648 secondo comma c.p.p., 27 del DM 30.9.89 n. 334. Insiste il ricorrente sull'eccezione di estinzione del giudizio disciplinare per mancata riassunzione dello stesso nel termine di sei mesi dalla data di cessazione della causa di sospensione, così come disposto dall'art. 297 c.p.c.. Il C.N.F., nel respingere tale eccezione, aveva statuito che tale termine non decorre dalla data della pronuncia della sentenza, bensì dal deposito della medesima completa nei suoi requisiti formali di cui all'art. 474 c.p.p., tal che, risultando la sentenza della Corte di Cassazione definente il giudizio penale pubblicata con deposito in Cancelleria il 19 agosto 2000, la riapertura del procedimento disciplinare (notificata all'incolpato il 9 febbraio 2001) era ritualmente intervenuta dieci giorni prima della scadenza del suindicato termine semestrale (19 febbraio 2001). Reputa al contrario il C, alla luce delle norme del vigente codice di procedura penale richiamate in premessa (in particolare dell'art. 648 secondo comma c.p.p.), che, divenendo Irrevocabile la sentenza,se vi è stato
ricorso per Cassazione, dal giorno in cui è pronunciata la sentenza che rigetta il ricorso,la decisione della Corte d'appello di Bologna del 2 luglio 1999 era passata in giudicato il 6 luglio 2000,data della pronunzia della Corte di Cassazione che l'aveva confermata e da questa data decorreva il termine semestrale di riassunzione del procedimento disciplinare,termine scaduto il 6 gennaio 2001, non beneficiando il C.O.A., organo amministrativo e non giurisdizionale,della sospensione feriale del medesimo. La doglianza non può essere accolta dovendosi confermare la statuizione del C.N.F. che ha negato si fosse verificata nel caso di specie l'estinzione del procedimento disciplinare. Deve innanzi tutto disattendersi l'assunto del P.M. di udienza secondo cui al procedimento in discorso non si applicherebbe, in quando procedimento amministrativo, il disposto di cui all'art. 297 c.p.c. Invero, per consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite di
questa Suprema Corte (v. tra le tante Cass. n. 2178/67, n. 1 988/98) nei procedimenti disciplinari relativi agli avvocati si devono seguire, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale, in mancanza delle quali, come nel caso che ne occupa, si deve far ricorso alle norme del codice di procedura civile, al contrario di quanto avviene con riguardo alle norme del codice di procedura penale la cui applicazione è limitata a quelle cui la legge professionale fa espresso rinvio, ovvero a quelle relative ad istituti (amnistia, indulto) che trovano la loro regolamentazione soltanto nel codice anzidetto (v. in particolare, con riguardo alla riassunzione a norma dell'art. 297 epe,Cass. S.U. n. 3763/88). Ciò premesso,se,alla stregua del disposto del secondo comma dell'articolo 648 c.p.p., nel testo introdotto con la riforma Vassalli, qualora, come nella fattispecie in esame, vi sia stato ricorso per Cassazione, la sentenza penale è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata la decisione che rigetta il ricorso, tal che, secondo l'assunto del ricorrente, il termine semestrale di cui all'art. 297 primo comma c.p.c. per la riassunzione del procedimento disciplinare sospeso
dovrebbe decorrere dalla data della pronuncia della Suprema Corte avvenuta il 6 luglio 2000, tuttavia, non essendo il C.O.A, parte del procedimento penale a carico dell'incolpato, il termine in questione non può che decorrere dalla conoscenza effettiva della cessazione della causa di sospensione, ossia dalla conoscenza effettiva, da parte dell'organo titolare dell'azione disciplinare, della definizione del processo penale (v. Corte Cost. n. 34/70 e 68/94, Cass. Sez. Lav. n. 10482/94 ed altresì Sez. 3^ n. 5684/89). Conoscenza che va fissata ad epoca non anteriore al deposito in cancelleria della relativa, decisione, nel caso di specie verificatosi il 19 agosto 2000, dato che solo a partire da siffatto deposito può realizzarsi la conoscenza concreta della pronuncia medesima da parte di tale Organo, estraneo, ripetesi, al processo penale, non ravvisabile alla data di pubblicazione in udienza, subito dopo la deliberazione mediante lettura del dispositivo ai sensi dell'art. 615 terzo comma c.p.p. Donde la ritualità della riapertura del procedimento disciplinare, notificata all'incolpato il 9 febbraio 2001, dieci giorni prima della scadenza del termine semestrale di cui all'art. 297 c.p.c. (19 febbraio 2001), sia pur strettamente rapportato alla data del deposito della sentenza della Corte di Cassazione (19 agosto 2000). Senza contare, poi, che sarebbe spettato al C, che eccepiva l'avvenuta estinzione del procedimento disciplinare per tardiva riapertura,provare che la conoscenza effettiva della cessazione della causa di sospensione da parte del C.O.A.,estraneo alla causa pregiudiziale, fosse stata acquisita da tale Organo in epoca anteriore di sei mesi alla riapertura medesima (v. Cass. n. 7865/95, nonché, in ordine alla irrilevanza di una "potenziale conoscibilità" della cessazione, della causa di sospensione in un periodo anteriore a quello della effettiva conoscenza di essa, Cass. Sez. 1 n. 7784/91). Con il secondo motivo si deduce l'incostituzionalità degli artt. 50 e 54 RDL 27.11.1933 n. 1578 in relazione all'art. 111 Cost.. Osserva il ricorrente che limitandosi la norma cardine della fase giurisdizionale del giudizio disciplinare (art. 54) ad affermare che il C.N.F. "pronuncia sui ricorsi ad esso proposti a norma di questa legge", la totale genericità di tale affermazione porterebbe a ritenere che il giudizio dinanzi a tale Organo non sia regolato dalla legge e che pertanto esso non è "giusto", a nulla rilevando che, come sostenuto dallo stesso C.N.F., nel dichiarare manifestamente infondata la sollevata questione,il processo è "giusto perché si svolge in contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti ad un giudice terzo ed imparziale".
In sostanza, poiché il legislatore costituzionale, novellando l'art. 111 della Costituzione, non si è accontentato di prescrivere i
requisiti minimi del processo (principio del contraddittorio e principio della terzietà ed imparzialità del giudice) ma ha preteso altresì che esso, per essere giusto, abbia una normativa che lo regoli, tale normativa non esisterebbe nel giudizio disciplinare, tanto vero che la totale assenza di norme di rito consente il riferimento e l'applicazione di principi a volte propri del processo civile, a volte propri del processo penale. Ad avviso del Collegio la questione di legittimità costituzionale come prospettata dal ricorrente è manifestamente infondata.
Ed invero non si vede proprio come il C possa validamente sostenere che il giudizio disciplinare dinanzi al C.N.F. non abbia una normativa che lo regoli quando, oltre alla disciplina di tale organo contenuta negli artt. da 52 a 56 del R.D.L. n. 1578/33, esiste una specifica normativa del procedimento che dinanzi ad esso si svolge contenuta negli articoli da 59 a 65 del R.D. 22 gennaio 1934 n. 37 (norme integrative e di attuazione del R.D.L. n. 1578/33) ed
una altrettanto specifica normativa concernente il procedimento sui ricorsi alle Sezioni Unite di questa Corte avverso le decisioni di tale Organo (artt. 66-68).
Con il terzo motivo si denunzia erronea e falsa applicazione dell'art. 653 comma 1^ bis c.p.p. come modificato dalla legge 97/01 nel procedimento disciplinare avanti il C.O.A., sia in forza della stessa legge n. 97/01 che riguarda il rapporto di pubblica dipendenza, sia per incompatibilità con il RDL n. 1578/33. Rileva il ricorrente che il rinvio operato dal C.O.A. e con esso dal C.N.F. all'art. 653 c.p.p. non sia corretto dal momento che detta norma opera solo nei confronti di giudizi disciplinari avanti "pubbliche autorità".
Osserva che il CNF ha superato l'obiezione ricorrendo alla creazione di un vero e proprio assurdo giuridico:la qualifica di "ENTE PUBBLICO" al locale Consiglio dell'Ordine, così adombrando un rapporto di "dipendenza" di esso ricorrente verso tale Organo. La doglianza non può essere accolta. A parte, invero, la esattezza della qualifica di ente pubblico attribuita, per inciso, dal C.N.F. al C.O.A. (vedi Cass. S.U. n. 579/61 che ha dato atto della natura pubblica dell'Ordine dei medici, organizzazione in persona giuridica di questi professionisti che esercitano un servizio di pubblica necessità),correttamente il giudice "a quo", nel disattendere l'omologa censura avanzata dal C con il gravame di merito,statuendo che, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione 19 agosto 2000, il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Reggio Emilia non poteva non dare per definitivamente accertato che l'incolpato avesse commesso i fatti oggetto dell'incolpazione e che tali fatti integrassero il reato di ricettazione, ha richiamato Cass. n. 10393/2001, dai cui principi non vi è ragione di discostarsi,
che, in motivazione, ha statuito come la nuova legge n. 97 del 2001, la quale ha modificato sia l'art. 653 c.p.p. concernente l'efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare, sia l'art. 445 stesso codice il cui nuovo testo esclude il giudizio disciplinare dal principio secondo cui il patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi, pure se ha un titolo riferito espressamente ai "dipendenti delle pubbliche amministrazioni", concerne in realtà anche i procedimenti disciplinari dei professionisti e trova applicazione anche a quelli in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa. Con il quarto motivo si deduce, infine, violazione del principio della congruità della sospensione dall'esercizio della professione, con violazione dell'art. 133 c.p.. Osserva il ricorrente che il C.N.F., il quale aveva ritenuto equo ridurre la durata della sospensione dall'esercizio della professione da mesi sei a mesi quattro, tenuto conto del fatto che il caso "de quo" non rientrava tra quelli che "ex lege" comportavano una misura interdittiva temporanea, non avrebbe dovuto operare secondo equità ma secondo legge. E poiché, nulla prevedendo la legge professionale, la legge operante in materia era da ritenersi il citato art. 133 c.p., il CNF non aveva valutato alcuna delle circostanze di cui a
tale norma, tutte favorevoli all'incolpato, applicando una sanzione che per durata era superiore, nei criteri edittali, a quella comminata per il reato.
Anche tale ultima doglianza non si sottrae alla sorte delle precedenti.
Invero, in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il potere di irrogare la sanzione, adeguata alla gravità ed alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari che,in mancanza di contraria previsione di legge, si avvarranno, in via di applicazione analogica, dei principi desumibile dagli artt. 132 e 133 c.p. (v. in materia di procedimento disciplinare a carico di magistrati, Cass. n. 2336/89). Pertanto, la determinazione della sanzione inflitta all'incolpato dal Consiglio nazionale forense non è censurabile in sede di giudizio di legittimità con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso per Cassazione che tenda ad ottenere un sindacato sulle scelte discrezionali del Consiglio in ordine al tipo, all'entità e alla durata della sanzione applicata (v. da ultima Cass. S.U. n. 1229/2004). Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va respinto, senza che si dia luogo a pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, data la mancata costituzione delle altre parti.
Non occorre neppur provvedere in ordine alla istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della qui gravata decisione poiché su di essa si sono già pronunciate, respingendola, queste Sezioni Unite con ordinanza del 15 gennaio 2004.