Cass. civ., sez. II, sentenza 26/05/2020, n. 09766

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 26/05/2020, n. 09766
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 09766
Data del deposito : 26 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente SENTENZA sul ricorso 20174-2016 proposto da: CICCHINELLI FRANCA RAFFAELA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE MAZZINI

114/B, presso lo studio dell'avvocato F E A, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato G F giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

8018440587, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- ricorrente incidentale - avverso il decreto della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 11/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2019 dal Consigliere Dott. M C;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. C M, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato;
udito l'Avvocato G F per la ricorrente;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. C F R, con ricorso depositato presso la Corte d'appello di Firenze in data 11.5.2015, chiese la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell'indennizzo, pari ad C 1.500,00, per la irragionevole durata di un precedente giudizio di equo indennizzo, intrapreso dinanzi alla Corte d'Appello di Perugia e che si era protratto per oltre quattro anni, comprensivi della fase di merito dinanzi alla Corte d'Appello di Perugia, del successivo giudizio in cassazione e della fase di esecuzione dinanzi al Tribunale di Roma. Il Consigliere delegato della Corte d'Appello, con decreto del 26 maggio 2015 accoglieva parzialmente il ricorso, ravvisando, a fronte di una durata ragionevole del processo, individuata in due anni e sei mesi, un ritardo di anni 1, liquidando la somma di C 500,00. A seguito di opposizione del Ministero della Giustizia, la Corte d'Appello, in composizione collegiale, con decreto n. 254 dell'11/2/2016, accoglieva le doglianze dell'Amministrazione e rigettava integralmente la domanda della Cicchinelli. Disattesa l'eccezione di incompetenza del giudice adito, essendo a tal fine irrilevante che si fosse svolta l'esecuzione dinanzi al Tribunale di Roma, nonché quella di decadenza per il Ric. 2016 n. 20174 sez. 52 - ud. 05-12-2019 -2- decorso del termine semestrale di cui all'art. 4 della legge n. 89/2001, riteneva fondata la doglianza del Ministero che invocava la non computabilità ai fini della durata ragionevole del periodo di tempo intercorso tra la pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione ed il successivo pignoramento. Infatti, la Corte distrettuale riteneva che, anche a voler affermare l'unitarietà tra procedimento di cognizione e quello di esecuzione ai fini della Legge P, come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6312/2014, non poteva però ritenersi che tale unitarietà imponesse di considerare anche il tempo trascorso prima dell'inizio della procedura esecutiva. Infatti, l'indennizzo di cui alla legge n. 89/2001 copre solo i ritardi da irragionevole durata dei processi, e quindi solo il ritardo successivo alla concreta promozione dell'esecuzione forzata. Facendo applicazione di tale principio, risultava che il procedimento di equo indennizzo, in sede di cognizione aveva avuto una durata di anni 2 e mesi 5, mentre la procedura esecutiva si era esaurita in sei mesi, senza che quindi fosse maturato un ritardo meritevole di ristoro, atteso che il cumulo tra la fase di cognizione e quella di esecuzione eccedeva di un tempo inferiore al semestre il termine di durata ragionevole di due anni, sei mesi e 5 giorni, come delineato dalla giurisprudenza. Infine, la Corte distrettuale poneva le spese di lite a carico dell'originaria ricorrente.

2. Per la cassazione di tale decreto C F R ha proposto ricorso, sulla base di due motivi illustrati da memorie. Ric. 2016 n. 20174 sez. 52 - ud. 05-12-2019 -3- Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

3. Il primo motivo di ricorso principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge n. 89/2001, nella parte in cui i giudici di merito hanno escluso che potesse considerarsi ai fini della irragionevole durata del processo anche il periodo di tempo trascorso tra la data di pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione e la definizione del processo esecutivo. Si sostiene che è erronea l'affermazione secondo cui la fase di esecuzione, suscettibile di essere presa in esame ai fini della legge n. 896/2001 sia solo quella che inizia con la notifica del pignoramento, occorrendo invece valorizzare i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6312/2014 in punto di unitarietà tra fase di cognizione e fase di esecuzione. Per tale ipotesi, pur tenendo conto del periodo di sei mesi e cinque giorni assegnato all'Amministrazione per provvedere al pagamento del debito scaturente dalla sentenza che accolga la domanda di equo indennizzo, la durata complessiva deve tenere conto come dies a quo del giorno a partire dal quale diviene esecutivo il provvedimento che accorda l'indennizzo. Inoltre non deve trascurarsi che ai sensi dell'art. 14 del d.l. n. 669/1996 è stato concesso alle Pubbliche Amministrazioni un termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo che preclude prima del suo decorso la notifica del precetto, termine che deve essere preso in esame anche ai fini oggetto di causa.

3.1 II motivo è infondato. Ritiene il Collegio che debba darsi continuità al principio di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 19833/2019, secondo cui nel computo della durata Ric. 2016 n. 20174 sez. 52 - ud. 05-12-2019 -4- del processo di cognizione ed esecutivo, da considerare unitariamente ai fini del riconoscimento del diritto all'indennizzo I. n. 89 del 2001, ex art. 2, non va considerato come "tempo del processo" quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l'inizio della fase esecutiva, quest'ultimo invece potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell'esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo. In tale sentenza le Sezioni Unite, hanno fornito risposta all'ordinanza interlocutoria di questa Sezione (n. 802/2019), offrendo una ricostruzione del sistema che questo Collegio ritiene di dover condividere. La Corte, dopo aver richiamato la ricostruzione dei precedenti di legittimità offerta dall'ordinanza interlocutoria, ha sottolineato come una valutazione diacronica di tali pronunzie consenta di affermare che le Sezioni Unite abbiano fin dall'inizio avuto come obiettivo la conformazione di un sistema di protezione del diritto alla ragionevole durata del processo destinato progressivamente ad armonizzarsi con la disciplina concretamente declinata dall'art. 6 CEDU e dal diritto vivente della Corte Edu. In primo luogo, l'introduzione, all'interno della legge n. 89/2001, di un termine, previsto a pena di decadenza, di sei mesi per la proposizione dell'azione "P", decorrente - secondo quanto previsto dall'art. 4 qui in rilievo nella formulazione modificata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. d), conv. nella L. n. 134 del 2012, pure oggetto di una pronunzia parzialmente caducatoria resa dalla Corte costituzionale (sent. n. 88/2018) - dalla definitività della decisione che conclude il procedimento, ha imposto alla Ric. 2016 n. 20174 sez. 52 - ud. 05-12-2019 -5- Corte di delineare i rapporti fra fase di cognizione e fase di esecuzione ai fini della ragionevole durata del processo. Quindi, percorso l'iter giurisprudenziale succedutosi nel tempo, le Sezioni Unite hanno richiamato le sette sentenze del 19 marzo 2014 (dalla n. 6312 alla 6318) delle stesse S.U. con le quali è stata riconosciuta l'unità funzionale fra fase di cognizione e fase esecutiva, e proprio con specifico riferimento ai giudizi di equo indennizzo, ritenuti essere degli ordinari processi di cognizione soggetti all'esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, la quale è tanto più pressante in quanto finalizzata all'accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sè una condizione di sofferenza e un paterna d'animo che sarebbe ingiustificato non riconoscere anche per i procedimenti di cui alla L. n. 89 del 2001. Con tali sentenze le Sezioni Unite affermarono che in un'ottica costituzionale e convenzionale - protesa a realizzare l'interesse della parte alla concreta e piena soddisfazione del diritto riconosciuto giudizialmente, i due processi (di merito e di esecuzione) non potevano che considerarsi avvinti all'interno di un unico procedimento "(...) che, cioè, ha inizio con l'accesso al giudice e fine con l'esecuzione della decisione, definitiva ed obbligatoria, dallo stesso pronunciata in favore del soggetto riconosciuto titolare della situazione giuridica soggettiva sostanziale di vantaggio fatta valere nel processo medesimo". Pertanto, laddove la decisione presa in sede di cognizione non sia stata spontaneamente ottemperata dall'obbligato ed il titolare abbia scelto di promuovere l'esecuzione del titolo così ottenuto (fase processuale dell'esecuzione forzata o dell'ottemperanza) - la garanzia costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale e l'art. 6, par. 1, della CEDU, come Ric. 2016 n. 20174 sez. 52 - ud. 05-12-2019 -6- interpretato dalla Corte di Strasburgo, impongono di considerare tale articolato e complesso procedimento come un unico processo scandito, appunto, da fasi consequenziali e complementari. Quindi, le sentenze del 2014 hanno ritenuto che in caso di ritardo della P.A. nel pagamento delle somme riconosciute in forza di decreto di condanna "P" definitivo, pronunciato ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, l'interessato, ove il versamento delle somme spettanti non sia intervenuto entro il termine dilatorio di mesi sei e giorni cinque dalla data in cui il provvedimento è divenuto esecutivo, ha diritto - sia che abbia esperito azione esecutiva per il conseguimento delle somme a lui spettanti, sia che si sia limitato ad attendere l'adempimento spontaneo della P.A. - ad un ulteriore indennizzo commisurato al ritardo nel soddisfacimento della sua pretesa eccedente al suddetto termine nonchè, ove intrapresa, all'intervenuta promozione dell'azione esecutiva, che, tuttavia, può essere fatto valere esclusivamente con ricorso diretto alla CEDU (in relazione all'art. 41 della Convenzione EDU) e non con le forme e i termini della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, la cui portata non si estende alla tutela del diritto all'esecuzione delle decisioni interne esecutive. E' poi intervenuta la sentenza n. 9142/2016, sempre delle Sezioni Unite che ha temperato il principio dell'unitarietà delle fasi (di cognizione ed esecuzione), riconoscendolo unicamente nel caso in cui la parte di un processo civile concluso con il riconoscimento di un diritto avesse iniziato entro il termine di decadenza previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4,1a fase esecutiva. In tal modo il termine per promuovere il giudizio P poteva farsi coincidere con la definitività della fase esecutiva, Ric. 2016 n. 20174 sez. 52 - ud. 05-12-2019 -7- decorrendo dalla piena soddisfazione del diritto stesso, purchè tale fase fosse iniziata prima della scadenza del termine semestrale per promuovere l'azione P in seguito alla definitività della sentenza che accerta l'esistenza del diritto. In mancanza di attivazione della fase esecutiva nel termine di decadenza previsto dall'art. 4, non era quindi possibile sommare, ai fini dell'individuazione della ragionevole durata del processo, il tempo occorso per la definizione della fase di cognizione, potendosi invece profilare un'irragionevole durata del processo unicamente per la durata della fase esecutiva. Tuttavia, successivamente è intervenuta la sentenza della Corte Edu nel caso Bozza c. Italia resa il 14 settembre 2017, la quale nel fornire risposta al problema circa l'incidenza della fase esecutiva ai fini del rispetto del termine decadenziale rapportato alla definizione della fase di cognizione, ha ricordato come la propria giurisprudenza riconosca l'esecuzione quale parte integrante del "processo" ai sensi dell'art. 6 CEDU affermando testualmente che ".... il diritto a un tribunale sarebbe illusorio se l'ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanesse inoperante a scapito di una delle parti. L'esecuzione di una sentenza, indipendentemente da quale giudice l'abbia pronunciata, deve essere dunque considerata come facente parte integrante del processo ai sensi dell'art. 6 (si veda anche Bourdov c. Russia (n. 2), ric. n. 33509/04, p. 65,
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