Cass. pen., sez. I, sentenza 24/05/2023, n. 22534
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: D G nato a ARZANA il 31/07/1933 S M nato a LANUSEI il 28/12/1974 avverso la sentenza del 11/03/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di CAGLIARIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e d ricorsa);
udita la relazione svolta dal Consigliere AO V L;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore G D L, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi;
udito l'avv. P A D difensore delle PP.CC., che ha concluso per il rigetto del ricorso e deposita conclusioni e nota spese. uclitcEtEctifensom;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 gennaio 2020, la Corte di assise di Cagliari ha ritenuto G D responsabile dei delitti di cui agli artt. 4 e 7 legge 18 aprile 1975, n. 110 e 575 cod. pen., per aver cagionato la morte di R C e A C, esplodendo due colpi d'arma da fuoco all'indirizzo di ciascuno di essi, mediante una pistola marca Beretta, modello 81 calibro 7.65, che portava illegalmente in luogo pubblico. La Corte di assise di Cagliari, quindi: a) ha condannato il D, previa unificazione dei reati ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni trenta di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in custodia cautelare;
b) ha applicato all'imputato la pena accessoria dell'interdizione, in perpetuo, dai pubblici uffici;
e) ne ha ordinato la sottoposizione, a pena espiata, alla misura di sicurezza della libertà vigilata, per il periodo di anni tre. La medesima pronuncia ha ritenuto M S responsabile del delitto di cui all'art. 378 cod. pen.g perché - quale prossimo congiunto del D e pur essendo stato previamente reso edotto della facoltà di astenersi, a lui riservata - una volta ascoltato, in qualità di persona informata sui fatti, da personale appartenente alla Squadra Mobile della Questura di Nuoro in data 22/08/2016, riferiva falsamente circostanze inerenti ai fatti omicidiari di cui sopra, in tal modo aiutando il D ad eludere le investigazioni. La Corte di assise di Cagliari, quindi, ha condannato il Sumas - previa esclusione della contestata recidiva - alla pena di anni tre di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali;
ha applicato nei confronti dello stesso Sumas, inoltre, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per il periodo di anni cinque. La Corte di assise ha disposto, altresì, la confisca di quanto in sequestro e la conseguente distruzione di tale materiale, con versamento dell'arma e del relativo munizionamento alla competente Direzione di Artiglieria. A carico del D è stata pronunciata, inoltre, condanna al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separato giudizio - in favore delle costituite parti civili B C e Patrizia rara, alle quali è stata assegnata anche una provvisionale, quantificata nell'importo di euro 200.000,00 per la C e di euro 150.000,00 per la F. Il D, inoltre, è stato condannato alla rifusione - in favore delle medesime parti civili - delle spese di costituzione e assistenza sostenute, liquidate in euro 9.126,00, oltre rimborso delle spese generali al 15%, iva e cpa come per legge.
1.1. La tragica vicenda che ha dato origine all'incriminazione del D si è verificata in Arzana, nel pomeriggio 10 agosto 2016. Ivi all'epoca risiedeva - alla via Brigata Sassari - l'anziana e allettata M D, sorella dell'odierno imputato G D;
nell'abitazione di costei si dettero convegno, oltre che M e G D, anche G S, moglie di quest'ultimo, F F, madre di A e R C, nonché di B C, pure presente sul posto, e infine P F, compagna di A C. G D giunse in loco recando con sé la pistola sopra menzionata, che era stata già caricata con le relative munizioni. Immediatamente divampò, fra i presenti, un furibondo litigio, che vide schierati la S e il D da una parte e la F, la C e la F dall'altra;
la discussione verteva, in particolare, sull'individuazione dei soggetti deputati ad assicurare assistenza all'anziana M D, verosimilmente intendendo tutti - secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito - accaparrarsene la considerevole eredità. La lite, però, si accese sempre più, fino addirittura a degenerare in una vera e propria rissa, nel corso della quale G D esplose tre colpi d'arma da fuoco, due dei quali vennero diretti verso il soffitto e l'altro ad altezza d'uomo;
nessuno dei presenti, fortunatamente, venne attinto da tali esplosioni. Ciò fatto, l'imputato ridiscese le scale dirigendosi in strada. Si imbatté, purtroppo, in A e R C e subito, all'indirizzo di questi ultimi, esplose altri quattro colpi di pistola, attingendo ciascuno di essi al torace ed alla schiena e uccidendoli entrambi. Da ciò, l'incriminazione e la condanna, a carico di D Giuseppe, per gli omicidi delle succitate vittime e per il porto illegale di arma.
1.2. Nel corso delle indagini preliminari relative ai drammatici fatti sopra descritti, venne ascoltato M S, genero dell'imputato G D. Pur reso edotto della facoltà di astensione riservatagli, il Sumas riferì: a) di essersi sporto dal balcone della stanza nella quale al momento si trovava, che affaccia sulla Via Brigata Sassari di Arzana, al fine di rassicurarsi circa il fatto che il suocero si allontanasse, dirigendosi verso casa;
b) di aver avuto modo di vedere, pertanto, B C e i suoi fratelli A e Roberto, i quali stazionavano tutti dinanzi all'ingresso dell'abitazione;
c) di aver potuto scorgere parte del viso di G D, così avvedendosi del fatto che Roberto Crí sferrava a questi un pugno;
d) di aver udito, subito dopo, dei forti rumori e lo sbattere di una porta;
e) di essersi precipitato giù per le scale e di aver avuto modo di vedere, quindi, come al piano terra (per la precisione, nei pressi del primo pianerottolo della scala), vi fosse il suocero rannicchiato e quasi in ginocchio, con la schiena appoggiata alla porta di una cantina, mentre A e R C lo malmenavano e lo strattonavano;
f) di esser giunto sul pianerottolo e di aver tentato di convincere i due fratelli a desistere dall'azione aggressiva realizzata nei confronti del D;
g) di aver sentito, infine, dei colpi d'arma da fuoco, che venivano esplosi in rapida successione.
2. La Corte di assise di appello di Cagliari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia di primo grado, condannando G D e M S al pagamento delle ulteriori spese processuali, oltre che - il solo D - alla rifusione delle spese sostenute, nel grado di giudizio, dalle parti civili costituite P F e B C, quantificate tali spese in complessivi euro 1.531,00, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge.
3. Ricorre per cassazione G D, a mezzo del difensore avv. V V A, deducendo tre motivi, che vengono di seguito brevemente riassunti, entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell'art.173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, viene denunciato il vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per violazione ed erronea applicazione degli artt. 42, 52, 55, 575 e 589 cod. pen., in relazione all'art. 192 cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente si duole della mancata configurazione delle condotte perpetrate, quali espressione di eccesso colposo in legittima difesa. In particolare, deduce la difesa che, nei motivi d'appello, erano stati censurati i seguenti profili: - errata valorizzazione delle dichiarazioni rese dalla F, dalla C e dalla F e, in conseguenza, inesatta ricostruzione della vicenda sulla base, soprattutto, della narrazione resa dalla C, cosa che aveva condotto i primi giudici ad escludere che G D avesse agito al solo scopo di difendersi dall'aggressione condotta, in suo danno, dai fratelli C;
- errata conclusione della Corte di assise, nella parte in cui riteneva che il ricorrente avesse volontariamente cagionato il pericolo, conducendo immotivatamente l'arma con sé (l'imputato, infatti, aveva esposto il fine lecito che lo aveva determinato ad avere con sé la pistola;
non era previsto, del resto, che egli dovesse incontrare tanto le persone che assistevano la sorella, quanto i fratelli C);
- errata conclusione della Corte di assise, laddove riteneva che la colluttazione verificatasi all'interno dell'abitazione fosse del tutto scollegata, rispetto a quanto accaduto in seguito. Il ricorrente riassume, poi, nel modo seguente le risposte offerte, dalla Corte di assise di appello di Cagliari, a tali punti di critica: - la tematica circa l'attendibilità delle propalazioni di F, C e F sarebbe stata posta dalla difesa in maniera generica;
- la rissa non assumeva rilievo alcuno, in ordine a quanto verificatosi in seguito;
- il possesso della pistola, lungi dal costituire una mera dimenticanza da parte di G D, era una tipica espressione del fatto che questi - ben conscio dei pregressi contrasti esistenti. con coloro che prestavano assistenza alla sorella e ne frequentavano, per tale ragione, l'abitazione - avesse, in realtà, previsto e accettato il rischio di incontrare tali persone e di iniziare poi, con esse, una lite dalle conseguenze prevedibilmente drammatiche;
- la legittima difesa non era configurabile, posto che tale esimente postula la non volontaria causazione del pericolo, ad opera di chi la invoca;
- l'aver attinto le vittime alle spalle rendeva impensabile che l'imputato stesse subendo una aggressione, ad opera proprio di queste;
anzi, tale dinamica - sebbene contestualizzata in un evolversi concitato e subitaneo degli eventi - rende conto dell'esistenza di una chiara intenzione omicidiaria, che sorreggeva l'azione dell'imputato;
- tutti i colpi esplosi erano dotati della medesima micidialità, nonché attitudine a cagionare la morte delle vittime, cosa che rendeva impossibile pensare sia che il D si trovasse a fronteggiare la necessità di difendersi da un pericolo attuale, sia che fosse individuabile una effettiva proporzione, fra offesa e difesa.
3.2. Tanto premesso, sostiene il ricorrente l'illogicità dell'affermazione della Corte territoriale, laddove sostiene che le
udita la relazione svolta dal Consigliere AO V L;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore G D L, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi;
udito l'avv. P A D difensore delle PP.CC., che ha concluso per il rigetto del ricorso e deposita conclusioni e nota spese. uclitcEtEctifensom;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 gennaio 2020, la Corte di assise di Cagliari ha ritenuto G D responsabile dei delitti di cui agli artt. 4 e 7 legge 18 aprile 1975, n. 110 e 575 cod. pen., per aver cagionato la morte di R C e A C, esplodendo due colpi d'arma da fuoco all'indirizzo di ciascuno di essi, mediante una pistola marca Beretta, modello 81 calibro 7.65, che portava illegalmente in luogo pubblico. La Corte di assise di Cagliari, quindi: a) ha condannato il D, previa unificazione dei reati ascritti sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni trenta di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in custodia cautelare;
b) ha applicato all'imputato la pena accessoria dell'interdizione, in perpetuo, dai pubblici uffici;
e) ne ha ordinato la sottoposizione, a pena espiata, alla misura di sicurezza della libertà vigilata, per il periodo di anni tre. La medesima pronuncia ha ritenuto M S responsabile del delitto di cui all'art. 378 cod. pen.g perché - quale prossimo congiunto del D e pur essendo stato previamente reso edotto della facoltà di astenersi, a lui riservata - una volta ascoltato, in qualità di persona informata sui fatti, da personale appartenente alla Squadra Mobile della Questura di Nuoro in data 22/08/2016, riferiva falsamente circostanze inerenti ai fatti omicidiari di cui sopra, in tal modo aiutando il D ad eludere le investigazioni. La Corte di assise di Cagliari, quindi, ha condannato il Sumas - previa esclusione della contestata recidiva - alla pena di anni tre di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali;
ha applicato nei confronti dello stesso Sumas, inoltre, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per il periodo di anni cinque. La Corte di assise ha disposto, altresì, la confisca di quanto in sequestro e la conseguente distruzione di tale materiale, con versamento dell'arma e del relativo munizionamento alla competente Direzione di Artiglieria. A carico del D è stata pronunciata, inoltre, condanna al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separato giudizio - in favore delle costituite parti civili B C e Patrizia rara, alle quali è stata assegnata anche una provvisionale, quantificata nell'importo di euro 200.000,00 per la C e di euro 150.000,00 per la F. Il D, inoltre, è stato condannato alla rifusione - in favore delle medesime parti civili - delle spese di costituzione e assistenza sostenute, liquidate in euro 9.126,00, oltre rimborso delle spese generali al 15%, iva e cpa come per legge.
1.1. La tragica vicenda che ha dato origine all'incriminazione del D si è verificata in Arzana, nel pomeriggio 10 agosto 2016. Ivi all'epoca risiedeva - alla via Brigata Sassari - l'anziana e allettata M D, sorella dell'odierno imputato G D;
nell'abitazione di costei si dettero convegno, oltre che M e G D, anche G S, moglie di quest'ultimo, F F, madre di A e R C, nonché di B C, pure presente sul posto, e infine P F, compagna di A C. G D giunse in loco recando con sé la pistola sopra menzionata, che era stata già caricata con le relative munizioni. Immediatamente divampò, fra i presenti, un furibondo litigio, che vide schierati la S e il D da una parte e la F, la C e la F dall'altra;
la discussione verteva, in particolare, sull'individuazione dei soggetti deputati ad assicurare assistenza all'anziana M D, verosimilmente intendendo tutti - secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito - accaparrarsene la considerevole eredità. La lite, però, si accese sempre più, fino addirittura a degenerare in una vera e propria rissa, nel corso della quale G D esplose tre colpi d'arma da fuoco, due dei quali vennero diretti verso il soffitto e l'altro ad altezza d'uomo;
nessuno dei presenti, fortunatamente, venne attinto da tali esplosioni. Ciò fatto, l'imputato ridiscese le scale dirigendosi in strada. Si imbatté, purtroppo, in A e R C e subito, all'indirizzo di questi ultimi, esplose altri quattro colpi di pistola, attingendo ciascuno di essi al torace ed alla schiena e uccidendoli entrambi. Da ciò, l'incriminazione e la condanna, a carico di D Giuseppe, per gli omicidi delle succitate vittime e per il porto illegale di arma.
1.2. Nel corso delle indagini preliminari relative ai drammatici fatti sopra descritti, venne ascoltato M S, genero dell'imputato G D. Pur reso edotto della facoltà di astensione riservatagli, il Sumas riferì: a) di essersi sporto dal balcone della stanza nella quale al momento si trovava, che affaccia sulla Via Brigata Sassari di Arzana, al fine di rassicurarsi circa il fatto che il suocero si allontanasse, dirigendosi verso casa;
b) di aver avuto modo di vedere, pertanto, B C e i suoi fratelli A e Roberto, i quali stazionavano tutti dinanzi all'ingresso dell'abitazione;
c) di aver potuto scorgere parte del viso di G D, così avvedendosi del fatto che Roberto Crí sferrava a questi un pugno;
d) di aver udito, subito dopo, dei forti rumori e lo sbattere di una porta;
e) di essersi precipitato giù per le scale e di aver avuto modo di vedere, quindi, come al piano terra (per la precisione, nei pressi del primo pianerottolo della scala), vi fosse il suocero rannicchiato e quasi in ginocchio, con la schiena appoggiata alla porta di una cantina, mentre A e R C lo malmenavano e lo strattonavano;
f) di esser giunto sul pianerottolo e di aver tentato di convincere i due fratelli a desistere dall'azione aggressiva realizzata nei confronti del D;
g) di aver sentito, infine, dei colpi d'arma da fuoco, che venivano esplosi in rapida successione.
2. La Corte di assise di appello di Cagliari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia di primo grado, condannando G D e M S al pagamento delle ulteriori spese processuali, oltre che - il solo D - alla rifusione delle spese sostenute, nel grado di giudizio, dalle parti civili costituite P F e B C, quantificate tali spese in complessivi euro 1.531,00, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge.
3. Ricorre per cassazione G D, a mezzo del difensore avv. V V A, deducendo tre motivi, che vengono di seguito brevemente riassunti, entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell'art.173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, viene denunciato il vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per violazione ed erronea applicazione degli artt. 42, 52, 55, 575 e 589 cod. pen., in relazione all'art. 192 cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente si duole della mancata configurazione delle condotte perpetrate, quali espressione di eccesso colposo in legittima difesa. In particolare, deduce la difesa che, nei motivi d'appello, erano stati censurati i seguenti profili: - errata valorizzazione delle dichiarazioni rese dalla F, dalla C e dalla F e, in conseguenza, inesatta ricostruzione della vicenda sulla base, soprattutto, della narrazione resa dalla C, cosa che aveva condotto i primi giudici ad escludere che G D avesse agito al solo scopo di difendersi dall'aggressione condotta, in suo danno, dai fratelli C;
- errata conclusione della Corte di assise, nella parte in cui riteneva che il ricorrente avesse volontariamente cagionato il pericolo, conducendo immotivatamente l'arma con sé (l'imputato, infatti, aveva esposto il fine lecito che lo aveva determinato ad avere con sé la pistola;
non era previsto, del resto, che egli dovesse incontrare tanto le persone che assistevano la sorella, quanto i fratelli C);
- errata conclusione della Corte di assise, laddove riteneva che la colluttazione verificatasi all'interno dell'abitazione fosse del tutto scollegata, rispetto a quanto accaduto in seguito. Il ricorrente riassume, poi, nel modo seguente le risposte offerte, dalla Corte di assise di appello di Cagliari, a tali punti di critica: - la tematica circa l'attendibilità delle propalazioni di F, C e F sarebbe stata posta dalla difesa in maniera generica;
- la rissa non assumeva rilievo alcuno, in ordine a quanto verificatosi in seguito;
- il possesso della pistola, lungi dal costituire una mera dimenticanza da parte di G D, era una tipica espressione del fatto che questi - ben conscio dei pregressi contrasti esistenti. con coloro che prestavano assistenza alla sorella e ne frequentavano, per tale ragione, l'abitazione - avesse, in realtà, previsto e accettato il rischio di incontrare tali persone e di iniziare poi, con esse, una lite dalle conseguenze prevedibilmente drammatiche;
- la legittima difesa non era configurabile, posto che tale esimente postula la non volontaria causazione del pericolo, ad opera di chi la invoca;
- l'aver attinto le vittime alle spalle rendeva impensabile che l'imputato stesse subendo una aggressione, ad opera proprio di queste;
anzi, tale dinamica - sebbene contestualizzata in un evolversi concitato e subitaneo degli eventi - rende conto dell'esistenza di una chiara intenzione omicidiaria, che sorreggeva l'azione dell'imputato;
- tutti i colpi esplosi erano dotati della medesima micidialità, nonché attitudine a cagionare la morte delle vittime, cosa che rendeva impossibile pensare sia che il D si trovasse a fronteggiare la necessità di difendersi da un pericolo attuale, sia che fosse individuabile una effettiva proporzione, fra offesa e difesa.
3.2. Tanto premesso, sostiene il ricorrente l'illogicità dell'affermazione della Corte territoriale, laddove sostiene che le
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