Cass. civ., SS.UU., sentenza 12/11/2004, n. 21500

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 12/11/2004, n. 21500
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 21500
Data del deposito : 12 novembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente aggiunto -
Dott. D V - Presidente di sezione -
Dott. P E - Consigliere -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. C A - rel. Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. D N L F - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO N. 56422 GEOPROGET S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FRANCESCO SIACCI

2/B, presso lo studio dell'avvocato C D M, che lo rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
C.R.M. S.R.L., RICOTTA SALVATORE;



- intimati -


e sul 2^ ricorso n. 31101/01 proposto da:
SOCIETÀ C.R.M. - COSTRUZIONI ROMANE MACCHINE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FRANCESCO DE SANCTIS

4, presso lo studio dell'avvocato G T, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
FALLIMENTO N. 56422 GEOPROGET S.R.L., RICOTTA SALVATORE;



- intimati -


avverso la sentenza n. 17842/01 del Tribunale di ROMA, emessa il 15/02/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/09/04 dal Consigliere Dott. Alessandro CRISCUOLO;

udito l'Avvocato Corrado DE MARTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI

Marco che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 30 luglio 1996 il fallimento di GEOPROGET s.r.l., in persona del curatore, convenne in giudizio dinanzi al Pretore di Roma la società C. R. M. - Costruzioni Romane Macchine - s.r.l., dichiarando di aver consegnato a quest'ultima una sonda affinché fossero eseguite alcune riparazioni, in realtà mai effettuate, ed aggiungendo che la sonda stessa era stata sottoposta a pignoramento da parte di Salvatore Ricotta, creditore della società convenuta. Su tali premesse chiese che, accertato l'inadempimento di C. R. M., essa fosse condannata a restituire un acconto già riscosso nell'importo di lire quattro milioni nonché a risarcire i danni cagionati.
La società convenuta contestò la pretesa azionata dall'attore, sostenendo che la sonda era stata riparata e che GEOPROGET non aveva provveduto a ritirarla ed a pagare il saldo di lire 13.218.110. In relazione al pignoramento promosso dal Ricotta affermò che la responsabilità era soltanto di quest'ultimo per aver fatto pignorare il bene di un terzo, benché di ciò fosse stato avvertito. Chiese, quindi, la chiamata in causa del detto Ricotta e, nel merito, il rigetto della domanda del fallimento. Inoltre, spiegò domanda riconvenzionale chiedendo che, accertato l'inadempimento di GEOPROGET, il fallimento stesso fosse condannato al pagamento della somma di lire 13.218.110.
Autorizzata la chiamata in causa del Ricotta, quest'ultimo si costituì respingendo ogni responsabilità per non avere mai saputo che la sonda appartenesse ad un terzo.
Così instaurato il contraddittorio, il fallimento eccepì l'improcedibilità della domanda riconvenzionale, adducendo che ogni pretesa creditoria nei confronti della procedura concorsuale doveva essere fatta valere, ai sensi degli artt. 52 e 93 L. F., nel concorso collettivo.
Il Pretore adito, con sentenza del 3 ottobre 1998, dichiarò la propria incompetenza, ritenendo competente il Tribunale fallimentare di Roma davanti al quale rimise le parti, sull'assunto che, in presenza della menzionata domanda riconvenzionale, tutta la causa andava devoluta al detto Tribunale ai sensi dell'art. 36 c.p.c.. Su impugnazione del fallimento il Tribunale di Roma, con sentenza depositata il 15 maggio 2001, rigettò il gravame e, in accoglimento dell'appello incidentale proposto da C. R. M. avverso il capo della sentenza di primo grado che l'aveva condannata a rimborsare metà delle spese processuali in favore del Ricotta, dichiarò compensate tali spese tra quest'ultimo e la detta società e dichiarò compensate tra tutte le parti le spese processuali del giudizio di secondo grado.
Il Tribunale osservò che, siccome la decisione della controversia dipendeva dall'esame di un unico rapporto contrattuale e dalla valutazione di reciproche pretese strettamente collegate, era palese l'esigenza di attribuire l'intera causa alla cognizione di un unico giudice, da identificare in quello funzionalmente competente per la domanda riconvenzionale.
Contro la suddetta pronuncia il fallimento di GEOPROGET s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico articolato motivo, illustrato con due memorie.
La società C. R. M. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale in relazione al regolamento delle spese del processo adottato in sede di merito.
Il Ricotta non ha spiegato in questa sede attività difensiva. La prima sezione civile di questa Corte, cui la causa era stata assegnata, con ordinanza n. 10298 del 2003 ha osservato che sulla questione posta dal fallimento ricorrente (secondo cui la regola del simultaneus processus, e quindi della translatio delle due cause inscindibilmente connesse dinanzi al giudice munito di competenza inderogabile in ordine ad una di esse, non troverebbe applicazione qualora vi sia conflitto tra due competenze del pari inderogabili, dovendo le due cause in tali ipotesi essere necessariamente separate) si era registrato per lungo tempo un orientamento costante di questa Corte. Infatti, si era affermato che "qualora nel giudizio promosso dal curatore fallimentare per il recupero di un credito contrattuale del fallito il convenuto, invocando contrapposte ragioni derivanti dal medesimo contratto, proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, ai fini del concorso fallimentare entrambe le pretese, inscindibilmente devolute alla cognizione di un unico giudice (art. 36 c.p.c.), vanno trasferite, su iniziativa spettante tanto all'una
che all'altra parte, nella sede concorsuale del procedimento di accertamento e verificazione dello stato passivo, tenuto conto che solo in tale sede, secondo i principi fissati dall'art. 52 L. F., è ammissibile la costituzione di un titolo creditorio nei confronti della massa.
Se poi l'indicato procedimento si concluda evidenziando un saldo attivo in favore del fallimento, e quindi con il rigetto della domanda di ammissione al passivo contenuta in quella riconvenzionale, resta onere del curatore di agire in sede ordinaria per conseguire l'accertamento del relativo credito e la condanna della controparte al pagamento".
La menzionata ordinanza ha proseguito rilevando che dal suddetto consolidato orientamento si era consapevolmente discostata una pronunzia della stessa prima sezione civile di questa Corte (Cass., 10 gennaio 2003, n. 148), con l'affermazione del seguente principio di diritto: "Ove il debitore convenuto in un giudizio ordinario promosso dal curatore del fallimento creditore proponga domanda riconvenzionale per la quale opera il rito speciale dell'accertamento del passivo, l'intero processo non deve essere trasferito in sede fallimentare, ma il giudice adito dal curatore in via ordinaria deve trattenere e decidere la domanda principale, previa separazione dei giudizi, salva la sospensione per pregiudizialità". Così individuati i termini del contrasto, e dopo avere illustrato le ragioni giuridiche prospettate a sostegno delle diverse tesi, l'ordinanza ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite.
La causa, quindi, è stata assegnata alle sezioni unite civili di questa Corte ed è stata chiamata all'odierna udienza di discussione. MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Il ricorso principale e il ricorso incidentale, proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. 2. Con l'unico mezzo di cassazione il fallimento ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 52 L. F., nonché dell'art. 36 c.p.c., e motivazione insufficiente, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, c.p.c..
La sentenza impugnata, confermando la pronuncia di primo grado, avrebbe dichiarato improcedibili sia la domanda riconvenzionale proposta da C. R. M. s.r.l. sia la domanda principale proposta dal medesimo fallimento, così adeguandosi alla tradizionale giurisprudenza di questa Corte, costante nell'affermare che, qualora contro la pretesa di un fallimento, che agisca per il recupero di un credito del fallito, sia formulata dal convenuto domanda riconvenzionale diretta all'accertamento nei confronti del fallimento di una contrapposta ragione creditoria derivante dal medesimo contratto, entrambe le pretese, ai fini del concorso fallimentare inscindibilmente devolute alla cognizione di un unico giudice, devono essere trasferite nella sede concorsuale di accertamento e verifica dello stato passivo, che è l'unica sede nella quale il legislatore ha consentito la costituzione di un credito nei confronti della massa.
Questo orientamento, tuttavia, meriterebbe una revisione. Esso sarebbe fondato su due pilastri: da un lato, il principio dettato dall'art. 36 c.p.c., alla stregua del quale, quando il convenuto, nel resistere ad una domanda contro di lui avanzata, invocando opposte ragioni di credito derivanti dal medesimo rapporto obbligatorio proponga domanda riconvenzionale (in senso proprio), diretta non soltanto a paralizzare la domanda dell'attore ma anche ad ottenere una pronuncia di accertamento della sua opposta pretesa, entrambe le domande devono essere devolute alla cognizione di un unico giudice, sicché, quando la competenza a conoscere della riconvenzionale sia inderogabilmente devoluta ad un giudice diverso da quello adito dall'attore, entrambe le domande vanno portate dinanzi al giudice competente per la riconvenzionale stessa;

dall'altro la regola secondo cui la pretesa, concretizzata nella domanda di pagamento di una certa somma nei confronti del fallimento, deve essere fatta valere soltanto nelle forme e nella sede previste per l'accertamento del passivo, perché il titolo creditorio giudiziale nei confronti del fallimento si può formare soltanto in quella sede.
In linea di principio, le azioni esercitate dalla curatela per realizzare i diritti di credito del fallito (non derivanti dal fallimento ma già presenti nel patrimonio del fallito stesso al momento dell'accertamento dello stato di crisi) non sarebbero sottratte alle ordinarie regole di competenza e dovrebbero svolgersi dinanzi al loro giudice naturale, cioè dinanzi al giudice la cui competenza è fissata dalle ordinarie regole del codice di procedura. E la fondatezza della regola concernente la necessaria concentrazione presso un unico organo giudiziario (il tribunale fallimentare) di tutte le azioni dirette a far valere diritti verso il fallimento ed a partecipare al concorso, con disciplina affidata ad un rito inderogabile e peculiare, non potrebbe essere messa in discussione, in quanto il sistema della legge fallimentare non consentirebbe opzioni diverse.
Pertanto la domanda riconvenzionale, proposta dal convenuto in un giudizio introdotto dal fallimento per far valere un credito del fallito, e mirante ad ottenere un titolo giudiziale verso il fallimento stesso, sarebbe certamente improcedibile. Questa conclusione, però, non dovrebbe necessariamente comportare l'attrazione in sede fallimentare della pretesa fatta valere in via principale dalla curatela, come invece ritenuto dalla tradizionale giurisprudenza di questa Corte. Quell'attrazione, infatti, realizzerebbe un evidente "strappo" al sistema complessivo della legge fallimentare ed alle regole che lo governano e, al contempo, costituirebbe una deviazione dal principio di precostituzione del giudice.
Inoltre, la richiamata giurisprudenza disegnerebbe un percorso procedimentale, ai fini della prosecuzione del giudizio, in aperto contrasto con altri principi cardine della legge fallimentare. Infatti, secondo l'insegnamento di queste sezioni unite (sentenza n. 3878 del 1979), la dichiarazione d'improcedibilità di entrambe le azioni - principale e riconvenzionale - dovrebbe comportare il trasferimento dell'una e dell'altra in sede fallimentare, nelle forme e nei modi dettati per l'accertamento del passivo. Si tratterebbe, in definitiva, di una sorta di "riassunzione" delle due cause inscindibilmente connesse dinanzi al giudice funzionalmente competente.
Secondo la citata sentenza del 1979 il trasferimento del processo potrebbe avvenire su iniziativa di entrambe le parti, e tale iniziativa potrebbe essere assunta anche dal curatore con ricorso al giudice delegato nella sede di cui all'art. 101 c.p.c.. Ma detta operazione si porrebbe in contrasto sia con la regola secondo cui la curatela non è legittimata - salvo casi eccezionali (art. 102 L. F.) - a chiedere la modificazione dello stato passivo, sia con la regola generale secondo cui la curatela non avrebbe il potere di chiedere d'ufficio, o comunque di propria iniziativa, raccoglimento o H rigetto di una domanda di ammissione al passivo. Il ricorrente prosegue osservando che utili indicazioni per pervenire ad una soluzione più appagante del problema potrebbero trarsi dai principi affermati da questa Corte per i casi nei quali una domanda riconvenzionale sia proposta con opposizione a decreto ingiuntivo (casi in cui è stata affermata la necessità di separazione dei giudizi, considerando, da un lato, la competenza funzionale e inderogabile del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo e, dall'altro, l'esigenza imprescindibile che il credito dedotto in riconvenzionale dall'opponente sia vagliato in sede fallimentare). Peraltro anche in altre fattispecie questa Corte avrebbe ritenuto che la competenza per connessione non opera in presenza di due diverse competenze per materia.
Pertanto la regola di cui all'art. 36 c.p.c. non si applicherebbe nei casi in cui vi sia conflitto tra due competenze del pari inderogabili. Inoltre, l'applicazione di tale regola in tutti i casi in cui sia proposta una domanda riconvenzionale finirebbe per attribuire al giudice fallimentare una competenza che non gli appartiene. D rito fallimentare dovrebbe applicarsi in quanto la domanda azionata con quel rito sia proposta nei confronti di un fallimento ed al fine di ottenere la partecipazione al concorso. E, se è vero che il rito fallimentare è esclusivo, tale esclusività dovrebbe essere intesa sia come cognizione esclusiva in ordine a tutte le domande correlate all'accertamento del passivo, sia come impossibilità di adottare quel rito per conoscere di domande non funzionali a tale accertamento e alla costituzione di un titolo nei confronti della massa.
Elementi decisivi per una revisione dell'orientamento fissato con la sentenza n. 3878 del 1979 sarebbero desumibili dalla più recente giurisprudenza di questa Corte in ordine ai limiti di proponibilità delle domande riconvenzionali da parte della curatela, cioè da quella giurisprudenza formatasi in tema di riconvenzionale c.d. acquisitiva.
Richiamata tale giurisprudenza (Cass., 21 maggio 1979, n. 2910;
15 aprile 1995
, a 4300;
1 agosto 1996, n. 6936;
14 gennaio 1998, n. 255
;

22 gennaio 1998, n. 559;
2 aprile 1999, a 3151), il ricorrente afferma che da essa andrebbero tratti i seguenti principi: a) il procedimento di accertamento del credito, ai fini della sua ammissione al passivo fallimentare, è caratterizzato da una peculiare specialità del rito, essendo soggetto alle specifiche forme e cadenze di cui agli artt. 92 e ss. L. F.;
b) tale rito è connotato da uno scopo tipico, costituito dalla verifica e dall'accertamento del passivo fallimentare;
c) esso ha carattere esclusivo, nel senso che la partecipazione al concorso può essere accertata soltanto con quel procedimento;
d) esclusività e specialità del rito sono poste in funzione dello scopo tipico assegnato al procedimento, nel duplice senso che lo scopo tipico può essere conseguito soltanto con quel rito e che esso è dettato soltanto in relazione allo scopo tipico di ottenere una pronuncia che accerti il diritto al concorso;
e) il giudice fallimentare (giudice delegato o tribunale in sede di opposizione al passivo o d'insinuazione tardiva) non ha il potere di emettere pronunzie di condanna nei confronti di un terzo, perché queste sono estranee all'accertamento del passivo o del diritto al concorso. Sulla base di tali principi non sarebbe possibile sottrarre alla sede naturale (il giudizio ordinario) le domande proposte dal fallimento per ottenere la condanna del terzo (debitore o coobbligato), sia perché esse non potrebbero essere trattate e decise con il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo, sia perché il giudice fallimentare sarebbe carente del potere di decidere su tali domande.
Pertanto, mentre la domanda riconvenzionale diretta a far valere un credito nei confronti della massa, e proposta nella sede ordinaria, andrebbe dichiarata inammissibile o improcedibile, la domanda proposta dal fallimento nei confronti del terzo, previa separazione delle due domande, dovrebbe essere trattata e decisa dal suo giudice naturale, adito dal fallimento.
La sentenza impugnata non si sarebbe attenuta ai suddetti principi e, quindi, andrebbe cassata.

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