Cass. civ., sez. III, sentenza 27/10/2005, n. 20904

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In sede di ricorso per cassazione la determinazione del giudice di merito relativa alla liquidazione delle spese processuali può essere censurata solo attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali lo stesso giudice sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che il mero riferimento a prestazioni che sarebbero state riconosciute in violazione della tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice, è da qualificarsi generico, con derivante inammissibilità dell'inerente motivo.

La disposizione dell'art. 1194 cod. civ., secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi od alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell'altro, accessorio, per interessi o spese. Pertanto, in tema di risarcimento del danno derivante da atto illecito, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio previsto dal citato art. 1194 cod. civ., che presuppone, appunto, l'esistenza di un debito pecuniario, da considerarsi, invece, in questo caso, inesistente fino alla liquidazione.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 27/10/2005, n. 20904
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20904
Data del deposito : 27 ottobre 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F G - Presidente -
Dott. P L R - Consigliere -
Dott. T F - rel. Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FAGONE VINCENZA, PIRRACCHIO GIUSEPPE, PIRRACCHIO ENZO, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA NICOLA FABRIZI

1, presso lo studio dell'avvocato B D S, difesi dall'avvocato P S W, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
SAI - SOC. ASSICURATRICE INDUSTRIALE S.P.A., n.q. di Impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, in persona del legale rappresentante pro tempore Vice Presidente e A.D. Dott. C C, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA DELLA CONCILIAZIONE

44, presso lo studio dell'avvocato P M A, che la difende, giusta delega in atti;



- controricorrente -


e contro
AMBRA ASSIC S.P.A. IN LCA, BELLUARDO BIAGIO, BELLUARDO GRAZIA, BELLUARDO FEBRONIA, BRANCATO CARMELA, UNICA ASSIC S.P.A. IN LCA;



- intimati -


avverso la sentenza n. 20/2001 della Corte d'Appello di CATANIA, sezione seconda civile, emessa il 26/02/2001, depositata il 28/04/2001, R.G. nn. 181 - 309/1997;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/09/05 dal Consigliere Dott. Francesco TRIFONE;

udito l'Avvocato MARIA ANTONIETTA PERILLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO

Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del 1^ e 3^ motivo e per l'accoglimento del 2^ motivo di ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione innanzi al tribunale di Caltagirone notificata il 23 e 26 febbraio 1987 V F, Giuseppe Pirracchio ed Enzo Pirracchio convenivano in giudizio B e N B nonché le società Ambra Assicurazioni s.p.a. in l.c.a. e Unica Assicurazioni s.p.a., quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni (reclamati nella misura di lire 375.000.000), derivati dalla morte del loro congiunto Salvatore Pirracchio, avvenuta a seguito di sinistro stradale provocato dall'automezzo di proprietà del primo, guidato dal secondo ed assicurato per la responsabilità civile con la predetta compagnia di assicurazione. Gli attori assumevano che la responsabilità del sinistro era da attribuire alla esclusiva condotta di guida di B B, siccome era risultato dalle sentenze penali del medesimo tribunale e della Corte d'appello di Catania.
I convenuti Belluardo contrastavano la domanda e, in subordine, assumevano che il sinistro si era verifi-cato anche per colpa della vittima.
La società Ambra Assicurazioni deduceva di essere tenuta al risarcimento nell'ambito del massimale di lire 20.000.000 e, avendo già corrisposto ai danneggiati l'importo di lire 12.361.000, chiedeva che la condanna nei suoi confronti fosse mantenuta nei limiti della differenza di lire 7.639.000.
I convenuti Belluardo, reiterando la loro richiesta di manleva nei confronti della compagnia di assicurazione, chiedevano di essere tenuti indenni anche oltre il massimale di polizza in relazione alla cd. mala gestio dell'assicuratore.
Il processo, interrotto a seguito della morte di N B e della sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa della società Unica Assicurazioni s.p.a., era riassunto nei confronti degli eredi del convenuto defunto (C B G B e F B) e della società di assicurazione S.A.I. s.p.a.. Con sentenza depositata il 25 marzo 1996 il tribunale, ritenuta l'esclusiva responsabilità di B B in ordine al sinistro, condannava i convenuti in solido - tutti fino al limite del massimale di polizza, aumentato della rivalutazione e degli interessi legali, e, in via esclusiva, B B, C B, G B e F B per la somma superiore - a corrispondere agli attori la somma complessiva di lire 180.311.500, oltre interessi legali, rivalutazione e spese processuali. Sulle separate impugnazioni della società Ambra Assicurazioni s.p.a., di B, G e F B e C B e su quelle incidentali di costoro e di V F e G e E P provvedeva, nel simultaneo processo del procedimenti riuniti, la Corte d'appello di Catania con la sentenza pubblicata il 28 aprile 2002, la quale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, determinava in complessive lire 346.998.500 all'attualità la somma ancora dovuta a titolo di risarcimento di danni a favore di V F e di G e E P;
condannava al pagamento di detta somma B B, C B, G B e F B in solido con le società Ambra Assicurazioni s.p.a. in liquidazione e S.A.I. s.p.a., quale impresa designata;
dichiarava le predette società tenute a rivalere gli altri convenuti limitatamente all'importo di lire 19.885.000;

condannava in solido tutti i convenuti alle spese del grado a favore dei danneggiati.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso vincenza Fagone e G e E P, i quali hanno affidato l'impugnazione a tre motivi.
Ha resistito con controricorso la società S.A.I. s.p.a., quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada. Non hanno svolto difese gli altri intimati Ambra Assicurazioni s.p.a., B B, C B, G B, F B ed Unica Assicurazioni s.p.a..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d'impugnazione - deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 1193 e 1194 cod. civ. - i ricorrenti criticano la sentenza di secondo grado assumendo che il giudice del merito avrebbe dovuto imputare gli acconti di lire 12.361.000 e di lire 7.639.000 (corrisposti, rispettivamente, prima dell'introduzione del giudizio e nel corso di esso) alle spese, agli interessi ed alla rivalutazione e non invece al capitale liquidato a titolo di risarcimento dei danni.
Il motivo non può essere accolto.
La disposizione dell'art. 1194 cod. civ., secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi od alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell'altro, accessorio, per interessi o spese.
Pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio previsto dall'art. 1194 cod. civ., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario,
inesistente fino alla liquidazione del danno.
il principio è del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., n. 8333/2004;
Cass., n. 11450/2003;
Cass., n. 6022/2003) e della suddetta regola di diritto il giudice del merito ha fatto corretta applicazione, avendo imputato al capitale i versamenti effettuati dall'assicuratore prima della definizione della controversia.
Con il secondo motivo d'impugnazione - deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 91 e 112 cod. proc. civ. nonché l'omessa motivazione su un punto decisivo della
controversia - i ricorrenti denunciano che, pure avendo essi lamentato con il gravame dell'appello che il giudice di primo grado aveva omesso di condannare la società S.A.I. s.p.a. alle spese del giudizio di tribunale a loro favore, su detta richiesta il giudice di secondo grado non aveva provveduto.
Il motivo è fondato.
Il giudice d'appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo d'impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorché, invece, riforma in tutto o in parte la sentenza impugnata ha il potere, in conseguenza della pronuncia adottata, di provvedere d'ufficio ad un nuovo regolamento di dette spese, dovendo il relativo onere essere attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite (ex plurimis: Cass., sez. un., n. 15559/2003). Ciò basta per l'accoglimento della censura, senza che occorra anche aggiungere che nelle conclusioni del giudizio di secondo grado, secondo espresso gravame devoluto con l'appello, era stata richiesta la condanna della società S.A.I. s.p.a., oltre che ai danni in solido con gli altri obbligati, anche al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, istanza sulla quale la Corte territoriale ha omesso di statuire ed in ordine alla quale dovrà provvedere il giudice del rinvio, che si indica in altra sezione della Corte d'appello di Catania, cui è rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di Cassazione.
Con il terzo motivo d'impugnazione - deducendo l'omessa, insufficiente ed apparente motivazione su un punto decisivo della controversia nonché la violazione della norma di cui all'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794 - i ricorrenti assumono che sul
motivo d'appello (con cui essi avevano censurato la decisione del tribunale di liquidazione delle spese del giudizio di primo grado in quanto non corrispondente al dettaglio della relativa nota, dalla quale il primo giudice si sarebbe discostato senza addurre adeguata motivazione) il giudice d'appello non avrebbe, a sua volta, fornito una motivazione congrua e sufficiente, in quanto l'impugnata sentenza si era limitata ad esporre che il tribunale aveva "correttamente liquidato dette spese, riferendosi agli onorari medi stabiliti dalla tariffa professionale".
La censura non può essere accolta.
in tema di liquidazione delle spese processuali occorre ribadire che la relativa determinazione può essere censurata solo attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, per cui il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state riconosciute in violazione della tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice, è eccessivamente generico e rende il motivo inammissibile.
Nella specie, nel giudizio d'appello la parte si era limitata a denunciare che le spese giudiziali non sarebbero state liquidate in conformità alla richiesta della relativa nota depositata in atti e, di conseguenza, non avendo specificato per quali voci la tariffa forense sarebbe stata disattesa, non aveva consentito al giudice di secondo grado un più dettagliato esame della questione in ordine al quale si dovesse fornire una motivazione diversa da quella sufficiente di aderenza della liquidazione alla tariffa stessa. In questa sede la ricorrente ha riprodotto la nota delle spese del giudizio di primo grado, ma neppure ha censurato in modo specifico i punti sui quali vi sarebbe stata violazione della tariffa, assumendo soltanto che il richiamo agli onorari medi stabiliti dalla tariffa professionale era possibile solo con riferimento agli onorari di avvocato, ma non anche agli onorari di procuratore ed alle spese. È mancata, pertanto, l'analitica indicazione delle voci e degli importi considerati, necessaria per consentirne il controllo in sede di legittimità.

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