Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 24/05/2023, n. 14381

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 24/05/2023, n. 14381
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14381
Data del deposito : 24 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 2158/2019 R.G. proposto da: VODAFONE ITALIA S.P.A. (già VODAFONE OMNITEL B.V., già VODAFONE OMNITEL N.V.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO n. 8, presso lo studio dell’avvocato A M che larappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all'avvocato F T;
-ricorrente-

contro

ALBARELLA D'AFFLITTO PAOLA;
BERTELLI STEFANIA ;
BRUSEGAN DANIELA;
TAMAGNINI EMUELE ;
VERINI FRANCESCO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMICO n. 172, presso lo studio de gli avvocatiPIER LUIGI PANICI e C G , che li rappresenta no e difendono -controricorrenti- nonchécontro COMDATA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliatain ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI n. 20, presso lo studio Legale Piacci De Vivo Petracca, rappresentata e difesa dagli avvocatiNICOLA DOMENICO PETRACCA e C M;
-controricorrente- nonchécontro FERLISI MUELA JENNIFER;GREGORIO CRISTINA;
-intimati- avverso la SENTENZA d ella CORTE D'APPELLO DI ROMA n. 781/2018 , depositata il09/07/2018, R.G.N. 4968/2013;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/03/2023 dal Consigliere Dott. C P. Rilevato che:

1. La Corte d’appello di Roma, dichiarata cessata la materia del contendere nei confronti di D A, Katiuscia Bianchi, Francesca Boria, Federico Corsi, Marina Gasparini, Mauro Nicchi, Francesca Romana Nicolò, Manuela Orsini, Monica Provinciali, Viviana Terranova e Daniela Volterra, ha respinto l’appello principale di Vodafone Omnitel N.V. ed ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale di Comdata s.p.a., confermando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittima la cessione dei rapporti di lavoro conseguente alla cessione del ramo di azienda da Vodafone Omnitel N.V. a Comdata s.p.a. e ordinato alla società cedente il ripristino degli originari rapporti di lavoro.

2. Il giudice di appello, premesso che ai fini della configurabilità di una vicenda traslativa riconducibile all’art. 2112 c.c., anche nella formulazione successiva alla modifica attuata dall’art. 32 d. lgs. n. 276/2003, applicabile ratione temporis, si richiedeva che l’oggetto della cessione costituisse un’articolazione autonoma, capace di perseguire con propri autonomi mezzi lo scopo economico prefissato, ha escluso che tali caratteri connotassero il complesso oggetto del contratto di cessione tra la società Vodafone e la società Comdata;
i servizi ceduti –di back office consumer, back office corporatee gestione del credito – costituivano, infatti, segmenti di attività rientranti nel più ampio contesto del customer care, vale a dire del reparto che in Vodafone si occupava della gestione del cliente e richiedevano, pur dopo la cessione, una continua interazione con i dipendenti della società cedente, un’imprescindibile integrazione organizzativa ed una stretta interdipendenza funzionale del ramo trasferito con la struttura rimasta nell’impresa cedente.

3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Vodafone Italia s.p.a. ( già Vodafone Omnitel B.V., già Vodafone Omnitel N.V.) nei confronti di Paola Albarella D’Afflitto, Stefania Bertelli, D B, Manuela Jennifer Ferlisi, Cristina Gregorio, Emanuele Tamagnini, Francesco Verini, sulla base di un unico articolato motivo, formulando in via preliminare richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE. Paola Albarella D’Afflitto, Stefania Bertelli, D B, Emanuele Tamagnini, Francesco Verini hanno resistito con tempestivo controricorso;
Manuela Jennifer Ferlisi, Cristina Gregorio non hanno svolto difese;
Comdata s.p.a. ha depositato “controricorso” con il quale ha dichiarato di aderire integralmente alla questione pregiudiziale sollevata da Vodafone Italia s.p.a. e al motivo di ricorso da quest’ultima formulato ed ha a sua volta formulato istanza di rinvio pregiudiziale ed articolato un motivo di ricorso;
tanto induce a qualificare il “controricorso” di Comdata s.p.a. quale ricorso incidentale.

4. Vodafone Italia s.p.a. e i lavoratori controricorrenti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.

5. Vodafone Italia spa ha comunicato l’intervenuta la cessazione della materia del contendere con la sig.ra D B, in base a verbale di conciliazione sottoscritto dinanzi a Unindustria il 31.1.2019.

Considerato che:

1. Preliminarmente, deve dichiararsi cessata la materia del contendere tra Vodafone Italia spa e D B, con compensazione delle spese di lite.

2. Con l’unico motivo di ricorso Vodafone Italia s.p.a. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. per essere la sentenza impugnata frutto di un’interpretazione della norma codicistica non rispettosa dei principi fissati dalla Direttiva 2001/23/CE quali enucleati dalla Corte di Giustizia;
il giudice comunitario aveva, infatti, chiarito che: l’entità economica oggetto del trasferimento è costituita dal complesso di persone ed elementi che consente lo svolgimento di un’attività economica che persegue un proprio obiettivo ed è sufficientemente strutturata ed autonoma nel perseguirlo;
il requisito dell’identità è riferito all’attività economica svolta dall’entità considerata;
la nozione di autonomia si riferisce ai poteri riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori trasferiti di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno al citato gruppo;
è inconferente la circostanza che l’entità in cui sono riassunti il materiale ed una parte dell’organico venga integrata, senza conservare la sua struttura organizzativa autonoma, in una nuova struttura del cessionario in quanto ciò che rileva è il mantenimento del nesso di interdipendenza funzionale tra, da un lato, tale materiale e personale trasferiti e, dall’altro, la prosecuzione delle attività prima svolte dall’alienante;
è irrilevante il trasferimento della proprietà degli elementi immateriali;
la mancata riassunzione da parte del nuovo imprenditore di una quota sostanziale, in termini di quantità e di competenze, del personale che il predecessore destinava all’esecuzione della stessa attività non è sufficiente ad escludere l’esistenza di un trasferimento di un’entità che mantenga la sua identità ai sensi della Direttiva 2001/23. Infine, secondo parte ricorrente, l’art. 29, comma 3, d. lgs. n. 276/2003 in tema di cambio di appalto non escludeva la configurabilità di una vicenda circolatoria rilevante ai sensi della Direttiva con riferimento al trasferimento delle risorse umane intese come gruppo organizzato che in presenza di adeguate risorse, comunque reperite, svolga un servizio avente valore di mercato.

3. Il motivo di ricorso di Comdata s.p.a. deduce anch’esso violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ. sotto il profilo della contrarietà della decisione impugnata alla Direttiva n. 23/2001, richiamando argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle sviluppate ad illustrazione del ricorso della società Vodafone.

4. I motivi sono entrambi infondati, in base ai principi e agli argomenti esposti nelle sentenze di questa S.C. n. 24687 del 2021, n. 24688 del 2021, n. 29919 del 2021, n. 39414 del 2021, che qui si richiamano anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod proc. civ.. In premessa occorre ribadire l’oramai costante insegnamento di questa Corte secondo il quale la verifica dei presupposti fattuali che consentono l'applicazione o meno del regime previsto dall'art. 2112 c.c. implica una valutazione dimerito che, ove espressa con motivazione sufficiente e non contraddittoria, sfugge al sindacato di legittimità (v. Cass. n. 20422 del 2012;
Cass. n. 5117 del 2012;
Cass. n. 1821 del 2013;
Cass. n. 2151 del 2013;
Cass. n. 24262 del 2013;
Cass. n. 10925 del2014;
Cass. n. 27238 del 2014;
Cass. n. 22688 del 2014;
Cass. n. 25382 del 2017;
di recente, ancora, Cass. n. 2315 del 2020 e Cass. n. 6649 del 2020). Ciò inevitabilmente, considerato che l’accertamento in concreto dell’insieme degli elementi fattuali idonei o meno a configurare la fattispecie legale tipica del trasferimento di ramo d’azienda, delineata in astratto dal comma 5 dell’art. 2112 c.c., implica prima una individuazione ed una selezione di circostanze concrete e, poi, il loro prudente apprezzamento, traducendosi in attività di competenza del giudice di merito, cui non può sostituirsi il giudice di legittimità. In particolare non può negarsi che la valutazione, nella concretezza della vicenda storica, dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto e della sua preesistenza è di certo una quaestio factiche opera, come tale, sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, per l’accertamento della ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo dell’art. 2112 c.c.. Come già ritenuto da questa Corte “spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (testualmente in motivazione Cass. n. 15661 del 2001, con la copiosa giurisprudenza ivi citata;
v. pure Cass. n. 18247 del 2009 e n. 7838 del 2005).

4.1. Tanto premesso è da rilevare che in relazione alla ricostruzione fattuale della vicenda, ritenuta dalla Corte di merito non riconducibile all’ipotesi regolata dall’art. 2112 cod. civ., le società ricorrenti non prospettano, neppure formalmente, omesso esame di fatto rilevante e decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., come necessario onde incrinare l’accertamento alla base del decisum ;
tanto esclude, a fortiori, che possa conferirsi rilievo alle deduzioni che, non veicolate da tale specifico mezzo, sviluppano valutazioni meramente contrappositive a quelle del giudice di merito in relazione ad alcuni aspetti, quali ad es. in tema di asserito specifico know how riconoscibile ai lavoratori ceduti.

4.2. In punto di diritto, il Collegio reputa che il giudice d’appello abbia deciso le questioni in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte ed ai principi della Direttiva e l’esame dei motivi di ricorso non offre elementi per mutare condivisi orientamenti. Secondo un risalente principio di legittimità la cessione di ramo d'azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi (Cass. n. 17919 del 2002;
Cass. n. 13068 del 2005;
Cass. n. 22125 del 2006). Detta nozione di trasferimento di ramo d'azienda è coerente con la disciplina in materia dell'Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui "è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria" (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23). La ratiodella disciplina comunitaria è intesa ad assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’attività economica indipendentemente dal cambiamento del proprietario e, quindi, è finalizzata a proteggere i lavoratori nella situazione in cui siffatto cambiamento abbia luogo(Corte di Giustizia, 7 febbraio 1985, C-186/83, Botzen ea., punto 6;
Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, C - 24/85, Spijkers , punto11);
essa, infatti, riguarda il “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti”, per cui non è direttamente incidente nelle ipotesi in cui non si controverta del “mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti” presso la cessionaria, in difetto dei presupposti previsti dal diritto dell’Unione (cfr. Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a., punti 35 e 37). La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario vivente (ex plurimis: Cass. n. 19740 del 2008), ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C-13/95, Süzen , punto 13;
Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C- 340/2001, Abler , punto 30;
Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C- 232/04 e C - 233/04, Guney - Gorres e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, Hernandez Vidal e a., C-127/96, C- 229/96, C-74/97, punti 26 e 27;
Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31;
Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/ 10, Scattolon, punto 60;
Corte di Giustizia, 20 luglio 2017, C-416/16, Piscarreta Ricardo, punto 43;
Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C- 664/2017, Ellinika Nafpigeia AE, punto 60). Anche in relazione al testo modificato dall'art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003, questa Corte ha ribadito che, ai fini del trasferimento di ramo d'azienda previsto dall'art. 2112 c.c., rappresenta elemento costitutivo della cessione “l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere - autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario -il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione” (sul tema v. diffusamente Cass. n. 11247 del 2016;
di analogo tenore, assunte in decisione nella medesima udienza pubblica del 26 febbraio 2016, Cass. nn. 9682, 10243, 10352, 10540, 10541, 10542, 10730, 11248 del 2016;
tra le successive conformi v.: Cass. n. 19034 del 2017;
Cass. n. 28593 del 2018). Tali pronunce sono significative anche nel caso che ci occupa perché hanno confermato la sentenza d’appello che aveva escluso l’operatività dell’art. 2112 c.c., nella sua formulazione successiva al 2003, tra l’altro, per “la mancata cessione dei programmi e dei sistemi informatici che venivano utilizzati dai dipendenti prima dello scorporo”, sancendo poi, nel principio di diritto enunciato in funzione nomofilattica, l’indipendenza “dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti” (analogamente v. poi Cass. n. 1316 del 2017 e Cass. n. 19034 del 2017, in ipotesi di cessione di un call center in cui i program mi informatici erano rimasti nella proprietà esclusiva della cedente). Si è inoltre sottolineato che il “fatto che la nuova disposizione abbia rimesso al cedente e al cessionario di identificare l'articolazione che ne costituisce l'oggetto non significa che sia consentito di rimettere ai contraenti la qualificazione della porzione dell'azienda ceduta come ramo, così facendo dipendere dall'autonomia privata l'applicazione della speciale disciplina in questione, ma che all'esito della possibile frammentazione di un processo produttivo prima unitario, debbano essere definiti i contenuti e l'insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di autonomia organizzativa e funzionale apprezzabile da un punto di vista oggettivo”;
tanto in continuità con una tradizionale impostazione secondo cui non è consentita la creazione di una struttura produttiva ad hoc in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito (tra altre, Cass. n. 2429 del 2008;
Cass. n. 21711 del 2012;
Cass. n. 8757 del 2014;
Cass. n. 19141 del 2015). Negli arresti in discorso non si è poi disconosciuta la legittimità di cessioni di rami aziendali "dematerializzati" o "leggeri" dell'impresa, nei quali il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, in conformità con principi, anche comunitari (Corte di Giustizia 11 marzo 1997,Süzen, C-13/95, punto 18;
Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, C-127/96, C- 229/96, C-74/97, Hernandez Vidal e a., punto 31;
Corte di Giustizia, 20 gennaio 2011, C-463/09, CLECE , punto 36), che si sono affermati essenzialmente nel campo della successione negli appalti laddove sono i lavoratori ad invocare l’applicazione dell’art. 2112 c.c. per transitare nell’impresa subentrante, per i quali principi oggetto del trasferimento del ramo può essere anche un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune, senza elementi materiali significativi (in precedenza, tra molte, v. Cass. n. 17207 del 2002;
Cass.n. 206 del 2004;
Cass. n. 20422 del 2012;
Cass. n. 5678 del 2013;
Cass.n. 21917 del 2013;
Cass. n. 9957 del 2014);
ma si è tuttavia confermato il compito del giudice del merito di verificare quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato “di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio”, così “scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto dev'essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato” (in termini Cass. n. 11247/2016 cit.;
di recente anche Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C- 664/2017, Ellinika Nafpigeia AE , punto 69, ha sottolineato come l’autonomia del ramo ceduto, dopo il trasferimento, non debba dipendere da scelte economiche effettuate “unilateralmente” da terzi, senza che vi siano garanzie sufficienti che le assicurino l’accesso ai fattori di produzione). Nel complesso di pronunce assunte in decisione nel febbraio del 2016, l’elemento costitutivo rappresentato dall’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto viene letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza di esso, “nel senso che il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell'ambito dell'impresa cedente anteriormente alla cessione”, perché l’indagine non deve “basarsi sull’organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di appalto, ma all'organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo costituita dalramo ceduto”. A conforto si richiama anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui l'impiego del termine “conservi” nell'art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva, “implica che l'autonomia dell'entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento", (Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C- 458/12, Amatori ed a., punto 34). Anche dopo le modifiche introdotte dall’art. 32 del d. lgs. n. 276 del 2003, con l’insieme delle decisioni citate si conferma, dunque, la necessità della preesistenza del ramo al fine di sussumere la vicenda circolatoria nell’alveo dell’art. 2112 c.c.;
principio già presente nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 19842 del 2003;
Cass. n. 8017 del 2006;
Cass. n. 2489 del 2008;
Cass. n. 8757 del 2014) - pure sul rilievo ch e la conservazione dell’identità dell’entità ceduta di matrice comunitaria (da ultimo v. Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C-664/2017, Ellinika Nafpigeia AE, punti 61, 62 e 63) postula che possa conservarsi solo qualcosa che già esista - e costantemente ribadito sino ai giorni nostri con innumerevoli sentenze (tra le più recenti v. Cass. n. 30667 del 2019;
Cass. n. 6649 del 2020;
Cass. n. 18954 del 2020;
Cass. n. 20240 del 2020), tanto da assurgere oramai a principio consolidato del diritto vivente, dal quale, per evidenti ragioni dettate anche dall’esigenza di non recare vulnus all’eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, non si ravvisa ragione per discostarsi.
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