Cass. pen., sez. I, sentenza 09/02/2021, n. 05064

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 09/02/2021, n. 05064
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 05064
Data del deposito : 9 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI NAPOLInel procedimento a carico di: LO RUSSO CARLO nato a NAPOLI il 23/12/1967 pure ricorrenti: BUONO ANTONIO nato a NAPOLI il 06/01/1990 C LUIGI nato a NAPOLI il 05/05/1995 nel procedimento a carico di questi ultimi parte civile: SABATINO ETTORE avverso la sentenza del 09/07/2019 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere G R;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARCO DALL'OLIO che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio sulla determinazione della pena nei confronti di B e ne richiede la determinazione, inammissibile nel resto il ricorso di B;
annullamento con rinvio nei confronti di L R in accoglimento del ricorso del P.G.;
inammissibilità del ricorso di C. L'avvocato D'ADAMO SILVIA conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso del P.G. e il rigetto dei ricorsi degli imputati. L'avvocato D F E chiede l'accoglimento del ricorso. L'avvocato D M V chiede il rigetto del ricorso del P.G..

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Napoli, in riforma di quella del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli emessa nei confronti di B Antonio, C L e L R Carlo, assolveva L R dal delitto di concorso in omicidio volontario aggravato contestato al capo A, condannava B Antonio alla pena di anni due di reclusione per il delitto di occultamento di cadavere contestato al capo B, previa esclusione dell'aggravante di cui all'art. 7 legge 203 del 1991 e riduceva la pena inflitta a C L ad anni 17 e mesi quattro di reclusione;
confermava nel resto la sentenza impugnata. B Antonio, C L e L R Carlo sono imputati del delitto di concorso nell'omicidio volontario di S Francesco, commesso in Napoli il 5/10/2013, aggravato dal motivo abietto della volontà di eliminare un affiliato che aveva intrapreso un percorso di autonomia rispetto al capo clan L R Antonio e con l'ulteriore aggravante di cui all'art. 7 legge 203 del 1991 sotto entrambi i profili del metodo mafioso e del fine di agevolare il clan camorristico L R di cui gli imputati facevano parte. B e C sono, inoltre, imputati di concorso nel delitto di occultamento del cadavere di S, trasportato e gettato in un dirupo, con l'aggravante di cui all'art. 7 legge 203 del 1991. Il Giudice di primo grado aveva assolto B da entrambi i reati per non aver commesso il fatto;
previo riconoscimento nei confronti di L R dell'attenuante di cui all'art. 8 legge 203 del 1991, lo aveva condannato alla pena di anni 16 di reclusione;
aveva condannato C per i reati contestati, previa esclusione delle aggravanti. Accogliendo la richiesta del Pubblico Ministero appellante la Corte territoriale aveva proceduto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante escussione di numerosi testimoni. • Numerosi elementi sono pacifici e non contestati in questa fase: in primo luogo, la responsabilità materiale di C nell'omicidio di S, delitto compiuto in un locale dove erano state rinvenute anche le sue tracce di sangue;
è, altresì, definitivamente stabilito dalle due sentenze di merito che B Antonio era presente al fatto ma non aveva attivamente partecipato all'omicidio, ma solo alla fase successiva di trasporto ed occultamento del cadavere nel luogo dove, quindici giorni dopo il delitto, era stato rinvenuto: in effetti il Procuratore generale non ha proposto ricorso per cassazione avverso la conferma della sentenza di assoluzione di B dal delitto di omicidio volontario pronunciata dal giudice di primo grado, pure appellata dal Procuratore della Repubblica. Ad essere oggetto dei ricorsi sono, in primo luogo, i temi della causale dell'omicidio, delle modalità del fatto e dell'idoneità della condotta di occultamento del cadavere;
in secondo luogo, l'incidenza sulla consumazione del delitto del mandato di uccidere S emesso da Carlo L R. Secondo il racconto di C e di alcuni collaboratori di giustizia (che riferivano, peraltro, de relato), l'omicidio di S era avvenuto all'esito di un litigio;
C, infatti, invocava la scriminante della legittima difesa, sostenendo che S aveva con sé il coltello, che egli era riuscito a sottrargli per poi colpirlo, temendo per la sua vita;
C e B, inoltre, sostenevano l'inidoneità del trasporto e dell'abbandono del cadavere per integrare il delitto di occultamento di cadavere, in quanto il luogo dell'abbandono era vicino ad una strada molto frequentata. La figura della vittima dell'omicidio, peraltro, permetteva una ricostruzione dei fatti diversa da quella del litigio con C: si trattava del figlio di un collaboratore di giustizia, che aveva preso parte al tentativo di scissione dal clan L R, operato nel 2011 da S, che era stato ucciso per tale condotta. Inoltre, dalle stesse parole di Carlo L R, emergeva che egli, nel mese di luglio 2013, aveva conferito dal carcere al figlio C j il mandato di uccidere S, sia pure condizionandolo all'assenso di Mario L R che, in quel periodo, era l'unico capo del clan presente sul territorio (Carlo L R era detenuto, mentre Antonio L R era latitante);
Mario L R - come riferito da Carlo L R e dallo stesso confermato - aveva negato il suo assenso. Tuttavia, costituiva un dato significativo il fatto che, all'epoca dell'omicidio, C fosse vicino al figlio di Carlo L R, incaricato del mandato omicidiario, e che, subito dopo il delitto, si fosse rivolto proprio a lui per essere aiutato a rendersi irreperibile. Il Giudice di primo grado aveva ritenuto che l'assenso di Mario L R, cui Carlo L R aveva condizionato l'esecuzione dell'omicidio di S, era, in realtà, un "passaggio meramente formale", sottolineando che Carlo L R, quando aveva saputo della scomparsa di B e C, aveva immediatamente pensato all'omicidio di S e che quando, nel 2015, era tornato a Napoli, aveva raccolto da C le confidenze sull'omicidio e sulle mire scissioniste di S. Tuttavia il Giudice non aveva ritenuto provato il coinvolgimento di C nella causale camorristica dell'omicidio: da una parte, vi era la narrazione, proveniente da più fonti, di un litigio tra i due giovani finito in tragedia, dall'altra non vi era la prova che C conoscesse le ragioni per cui S doveva essere ucciso, mancando su questo punto il riscontro alle dichiarazioni di Carlo L R: cosicché C era stato condannato per l'omicidio volontario ma con l'esclusione delle aggravanti del motivo abietto e di quella di cui all'art. 7 legge 203 del 1991. La Corte territoriale adottava una diversa ricostruzione: il mandato omicidiario conferito nel mese di luglio 2013 da Carlo L R al figlio C j (detto "L") non era stato portato a compimento in quanto il reggente del clan, Mario L R, aveva negato il proprio assenso alla esecuzione del delitto, assenso cui Carlo L R aveva condizionato l'esecuzione dell'omicidio. La circostanza che, tre mesi dopo quel mandato, S era stato effettivamente ucciso da C non poteva essere collegata a quel mandato omicidiario in quanto, come riferito dal collaboratore T M, escusso in appello in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, C non era intraneo al clan al momento dell'uccisione di S e, verosimilmente, aveva consumato il delitto per fare "un piacere al clan", per mettersi in mostra e per farsi conoscere come soggetto capace dal punto di vista criminale. In sostanza, l'omicidio veniva considerato frutto di un'iniziativa autonoma di C: nessuna fonte collegava il delitto al mandato di Carlo L R, né risultava che C fosse a conoscenza di quello specifico ordine;
di conseguenza Carlo L R veniva assolto dall'imputazione di omicidio per non aver commesso il fatto. La Corte territoriale escludeva la sussistenza dei presupposti della legittima difesa invocata dalla difesa di C: il collaboratore T M, riferendo le confidenze ricevute da C, aveva sottolineato che la cicatrice che l'imputato presentava sul polso non era stata provocata da una coltellata inferta da S, trattandosi di un taglio che C si era procurato mentre colpiva l'avversario;
inoltre, l'imputato aveva riferito al collaboratore di essersi messo sopra S, che era caduto dopo la colluttazione, e di averlo colpito con il coltello al petto. C aveva anche riferito a T che, quella mattina, aveva deciso che avrebbe ucciso S. Di conseguenza, il numero 'di coltellate (25) e la posizione di netta inferiorità assunta da S, atterrato e immobilizzato, permettevano di ritenere superati i limiti della legittima difesa, anche volendo ritenere che fosse stato S ad iniziare la contesa violenta armato di coltello. In realtà, a voler credere alla versione di un coltello sottratto a S, C avrebbe dovuto evitare che la colluttazione si sviluppasse ulteriormente, allontanandosi da quel luogo. La Corte negava anche l'attenuante della provocazione (si tratta di motivo non riproposto con il ricorso per cassazione). Sussistevano, infine, i presupposti del delitto di occultamento di cadavere contestato a C e B: la sentenza mette in evidenza che il cadavere era stato rinvenuto quindici giorni dopo l'evento non perché notato da un passante, ma per il cattivo odore della putrefazione;
di fatto, il luogo dove il corpo era stato posizionato ne impediva l'avvistamento. L'occultamento era funzionale all'esigenza di C di far perdere le proprie tracce. La Corte, previa esclusione dell'aggravante di cui all'art. 7 legge 203 del 1991 contestata per il delitto di cui all'art. 412 cod. pen., irrogava la pena di anni due di reclusione a B Antonio;
respingeva il motivo di appello con cui la difesa di C chiedeva la concessione delle attenuanti generiche, ma riduceva la pena inflitta dal giudice di primo grado.
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