Cass. civ., SS.UU., sentenza 29/12/2016, n. 27455

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Massime1

Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in tutte le controversie in cui si denunci un comportamento della P.A. privo di ogni interferenza con un atto autoritativo, non potendosi reputare neanche mediatamente espressione dell’esercizio del potere autoritativo, o quando l’atto o il provvedimento di cui la condotta dell’amministrazione sia esecuzione non costituisca oggetto del giudizio, facendosi valere unicamente l’illeicità del comportamento del soggetto pubblico ex art. 2043 c.c., suscettibile di incidere su posizioni di diritto soggettivo del privato. (Nella specie, relativa ad una domanda volta al risarcimento dei danni subiti per effetto della chiusura forzosa di un esercizio commerciale, la S.C. ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario in quanto la pretesa non era stata fondata sull’illegittimità dell’atto amministrativo che tale chiusura aveva inizialmente disposto, bensì sull’ingiustificata protrazione dei suoi effetti, nonostante il sopravvenuto rilascio del nulla osta da parte dalla stessa amministrazione).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 29/12/2016, n. 27455
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 27455
Data del deposito : 29 dicembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

IN CALCE ANNOTAZIONE ☐ 27455/16 Oggetto REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO RESPONSABILITA' EXTRACONTRATTUALE LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE DELLA P.A. - GIURISDIZIONE SEZIONI UNITE CIVILI R. G. N. 29822/2015 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Cron. 27455 Dott. GIOVANNI CANZIO Primo Presidente Rep. Presidente Sezione Dott. GIOVANNI AMOROSO Ud. 06/12/2016 Dott. VINCENZO MAZZACANE Rel. Pres. Sezione PU 그고, Dott. GIACOMO TRAVAGLINO Presidente Sezione Consigliere Dott. BRUNO BIANCHINI Dott. PIETRO CAMPANILE - Consigliere Dott. LUCIA TRIA Consigliere Dott. CA DE CHIARA - Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 29822-2015 proposto da: ROMA CAPITALE (già Comune di Roma), in persona del 016 elettivamente domiciliato in Sindaco tempore,pro 64 ROMA, VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso 1'Avvocatura i Capitolina, rappresentato e difeso dall'avvocato SERGIO SIRACUSA, per delega in calce al ricorso;
ricorrente

contro

NI ER, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DUILIO 7, presso lo studio dell'avvocato CLAUDIO FEDERICO, che lo rappresenta e difende, per delega in calce al controricorso;
controricorrente - nonchè

contro

RU AN ES, NI MI, NI FA, NI CA;
intimati - avversO la sentenza n. 5008/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 09/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/12/2016 dal Presidente Dott. VINCENZO MAZZACANE;
uditi gli avvocati Sergio SIRACUSA e DI FEDERICO;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. FRANCESCO AU OV, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato ER AN conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Comune di Roma e AR PP per sentir "accertare e dichiarare, ex art. 2043 c.c. in capo al funzionario dell'Amministrazione convenuta, Dott. AR PP, gli estremi della colpa per illegittimo esercizio della funzione pubblica, sostanziatosi nell'emanazione dell'ordinanza di chiusura n. 6180 del 2.3.94, eseguita il 18.4.1994, sull'asserito presupposto dell'esercizio abusivo, da parte dell'attore, di attività commerciale;
accertare e dichiarare, che il colpevole illegittimo esercizio della funzione pubblica, ad opera del funzionario municipale convenuto, è stato fonte di danno ingiusto nei confronti dell'attore, condannandolo, per l'effetto, in solido con il Comune di Roma al risarcimento in favore dell'attore delle seguenti voci di danno: a) danno patrimoniale, b) danno non patrimoniale". I convenuti si costituivano in giudizio contestando le avverse deduzioni. Successivamente spiegavano intervento volontario MI AN, AB AN ed NA RE TR i quali, qualificandosi anch'essi titolari dell'impresa familiare asseritamente danneggiata dall'operato dei convenuti, chiedevano la condanna dei medesimi al risarcimento del danno patrimoniale ad essi derivato. Il Tribunale adito con sentenza del 28-2-2011, accogliendo parzialmente la domanda attrice, condannava la convenuta Roma Capitale al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali prodottisi nel periodo compreso tra il 17-7-2001 ed il 17-7-2006, liquidati in complessivi euro 252.339,33 oltre rivalutazione monetaria ed interessi, rigettava la domanda attrice nei confronti del PP e la domanda proposta dagli intervenuti nei confronti dei convenuti;
il Tribunale riteneva sussistente un comportamento antigiuridico del Comune di Roma con riferimento al solo periodo 1995-2001 per effetto della illegittima protrazione del provvedimento di chiusura 1 dell'esercizio commerciale di cui era titolare il AN, nonostante l'intervenuto nulla osta rilasciato dagli stessi uffici comunali in pendenza del procedimento instaurato da quest'ultimo dinanzi al TAR del Lazio, ed aggiungeva che il diritto risarcitorio era in parte prescritto per avvenuto decorso del termine quinquennale ex art. 2947 c.c. Proposta impugnazione da parte del AN resisteva al gravame Roma Capitale che introduceva altresì appello incidentale;
il PP restava contumace. Successivamente intervenivano in giudizio NA RE TR, AB AN e MI AN mediante deposito di una comparsa di costituzione. La Corte di appello di Roma con sentenza del 9-9-2015 ha rigettato entrambi gli appelli ed ha compensato interamente tra le parti costituite le spese del grado, dichiarandole non ripetibili quanto all'appellato PP. La Corte territoriale, per quanto ancora interessa in questa sede, ha disatteso l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata preliminarmente da Roma Capitale, posto che la responsabilità invocata nel presente giudizio dal AN era fondata su di una condotta omissiva del Comune di Roma (e per esso dei suoi funzionari), quindi in termini aquiliani in quanto ricollegabile all'ipotesi delittuosa dell'abuso d'ufficio (ricorrendo di esso gli elementi oggettivi e soggettivi), anziché all'atto amministrativo poi annullato dal Consiglio di Stato. La sentenza impugnata ha poi ritenuto sussistente l'elemento soggettivo dell'illecito aquiliano in relazione causale con i danni allegati dall'attore. In ordine a tale ultimo profilo, il giudice di appello ha evidenziato la genericità della censura di Roma Capitale relativamente alla quantificazione del danno patrimoniale subito dal AN come operata dal CTU per effetto della prolungata chiusura dell'esercizio commerciale, posto che le 2 reiterate critiche all'accertamento tecnico d'ufficio espletato in primo grado non si erano tradotte in alcuna richiesta di integrazione o di rinnovazione del mezzo istruttorio nelle conclusioni definitive rassegnate in primo grado e nella comparsa di costituzione depositata nel giudizio di appello. Per la cassazione di tale sentenza Roma Capitale ha proposto un ricorso affidato a quattro motivi cui ER AN ha resistito con controricorso;
NA RE TR, MI AN, AB AN e AR PP non hanno svolto attività difensiva in questa sede;
le parti costituite hanno successivamente depositato delle memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo Roma Capitale, deducendo violazione dell'art. 7 in combinato disposto con l'art. 30 secondo comma c.p.a., sostiene il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda attrice, basata sul presupposto che il PP avesse "arbitrariamente ed illegittimamente sanzionato la totale mancanza di autorizzazione comunale all'esercizio di attività commerciale", affermando poi che "l'illegittima chiusura forzosa della propria attività commerciale vanificava gli innumerevoli sacrifici dell'attore";
pertanto il AN si era doluto di un provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo, cosicché inspiegabilmente il giudice di appello aveva correlato la responsabilità della P.A. alla condotta abusiva di ignoti funzionari per il mancato svolgimento delle funzioni di autotutela. La ricorrente assume che, anche volendo ascrivere la responsabilità della P.A. al comportamento da essa tenuto mediatamente attraverso i suoi funzionari e non al provvedimento, le conclusioni erano le stesse;
infatti, partendo dall'assunto che il riparto di giurisdizione tra G.O. e G.A. si basa, come sancito dall'art. 103 Cost. e ribadito dall'art. 7 del c.p.a sul criterio della "causa petendi", ossia. sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, e che detta distinzione si fonda a 3 sua volta sul criterio della carenza - cattivo uso del potere, è legittimo concludere che sono attratti nella cognizione del G.O. solo i meri comportamenti violativi delle regole di diritto comune, ossia tutte le situazioni in cui la P.A. agisce in veste privatistica, in assenza di poteri

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi