Cass. pen., sez. IV lav., sentenza 29/10/2018, n. 49372

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. IV lav., sentenza 29/10/2018, n. 49372
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 49372
Data del deposito : 29 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: IMA IMA nato il 22/09/1990 avverso la sentenza del 19/01/2018 della CORTE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA PICARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore S T che ha concluso chiedendo l'inammissibilita del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado con cui il G.u.p. del Tribunale di Torino ha condannato I I alla pena di mesi sei e giorni 20 di reclusione ed euro 1.400,00 di multa per il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale (cessione di gr. 6 di cocaina al prezzo di euro 10,00 a F B, in data 28 maggio 2016), assolvendolo dall'altro reato contestato perché il fatto non sussiste.

2.Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l'imputato che ha dedotto la mancanza e manifesta illogicità dì motivazione in merito all'omessa esclusione degli effetti sanzionatori della recidiva reiterata, non potendosi evincere la maggiore pericolosità dell'imputato dalla mera presenza di più condanne in materia di stupefacenti concernenti episodi di spaccio da strada.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è manifestamente infondato.

2. Occorre premettere che, secondo il più recente e preferibile orientamento giurisprudenziale (v. Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014 Ud. - dep. 08/05/2015, Rv. 263464;
Sez. 6, n. 14550 del 15/03/2011 Ud.- dep. 12/04/2011, Rv. 250039), l'applicazione dell'aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all'esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all'apprezzamento dell'idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo. Più precisamente, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull'arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016 Ud. - dep. 10/07/2017, Rv. 270419). Del resto, tale orientamento è conseguenziale al principio enunciato da Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010 Cc. - dep. 05/10/2010, Rv. 247838, secondo cui la recidiva, operando come circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, va obbligatoriamente contestata dal pubblico ministero, in ossequio al principio del contraddittorio, ma può non essere ritenuta configurabile dal giudice - in tale occasione, difatti, la Corte ha precisato che, in presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell'art. 99 cod. pen., è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali. A tale conclusione si è pervenuti rilevando che il verbo essere è utilizzato nell'art. 99, terzo e quarto comma, con riferimento al quantum e non all'an, trattandosi di forme di recidiva che costituiscono una specificazione di quella semplice, da cui diversificano, esclusivamente per le conseguenze sanzionatorie che comportano, le quali sono state previste con la riforma, diversamente dal precedente regime, in misura fissa anziché variabile. Si è, inoltre, osservato che laddove il legislatore ha inteso elidere gli spazi di discrezionalità giudiziale a favore di un vero e proprio ritorno all'inderogabilità della recidiva, ha reso palese la sua intenzione prevedendo al quinto comma un regime vincolato per una serie di delitti, evidentemente valutati di particolare gravità, in relazione ai quali l'aumento della pena per la .recidiva è espressamente definito obbligatorio. Ad ogni modo, tale soluzione interpretativa, oltre che maggiormente aderente al testo della legge, appare altresì quella più conforme ai principi costituzionali in tema di ragionevolezza, proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa della risposta sanzionatoria, in quanto l'interpretazione che ritiene l'obbligatorietà della recidiva qualificata e degli effetti commisurativi della sanzione ad essa riconnessi finisce per configurare una sorta di presunzione assoluta di pericolosità sociale del recidivo reiterato ed un conseguente duplice automatismo punitivo indiscriminato e, dunque, foriero di possibili diseguaglianze - nell'an e nel quantum (previsto in misura fissa), operante sia nei casi in cui la ricaduta nel reato si manifesti quale indice di particolare disvalore della condotta, di indifferenza del suo autore alla memoria delle precedenti condanne e in definitiva verso l'ordinamento, di specifica inclinazione a delinquere dell'agente, sia nei casi in cui, al di là del dato meramente oggettivo della ripetizione del delitto, il nuovo episodio non appaia concretamente significativo in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 cod.pen. sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo (così anche la Corte cost., nella sentenza n. 192 del 2007). È, pertanto, compito del giudice, quando la contestazione concerna una delle ipotesi contemplate dai primi quattro commi dell'art. 99 cod.pen. e, perciò, anche nei casi di recidiva reiterata quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto, secondo quanto precisato dalla indicata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell'eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali.
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