Cass. pen., sez. V, sentenza 04/05/2022, n. 17758
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: IL EL HD nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 01/12/2020 della CORTE ASSISE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore VINCENZO SENATORE che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso. udito il difensore L'avvocato GASPARINI ALESSANDRO si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso.
FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di assise di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza con cui la corte di assise si Torino, in data 28.6.2019, aveva condannato LI El AH alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai reati ex artt. 270 bis, co. 2, c.p., e 81, co. 2, 414, co. 4, c.p., 1, d.l. 15.12.1979, n. 625, convertito dalla I. n. 15/80, rispettivamente ascrittigli nei capi A) e B) dell'imputazione, assolveva l'imputato dal reato di cui al capo B), perché il fatto non sussiste, limitatamente alle condotte diverse da quella inerente "il materiale audio sulla piattaforma Soundcloud", ed, esclusa la contestata recidiva, ritenuto, inoltre, il vincolo della continuazione anche con il fatto reato giudicato con la sentenza emessa dal G.U.P. del tribunale di Torino il 26.11.2015, irrevocabile dal 17.12.2015, rideterminava in senso più favorevole al prevenuto l'entità del trattamento sanzionatorio, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza del tribunale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all'art. 270 bis, c.p., avendo "specifico riguardo ai punti concernenti la rilevanza ai fini dell'integrazione della condotta partecipativa dei contatti antecedenti al 2013;
dei riconoscimenti privi di alcun contatto;
dei tentativi dell'imputato di accreditarsi presso OM RI e DU OS;
2) violazione di legge, in ordine alla previsione dell'art. 238 bis, c.p.p., avendo la corte territoriale utilizzato, ai fini della prova della condotta partecipativa, le trascrizioni delle conversazioni telefoniche riportate nelle sentenze prodotte dal pubblico ministero;
3) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento dell'incidenza delle pur riconosciute attenuanti generiche nella loro massima estensione sulla pena-base, ridotta, per effetto delle menzionate circostanze attenuanti, in misura inferiore a un decimo 3. Il ricorso va rigettato, per le seguenti ragioni.
4. Al ricorrente vengono addebitate una serie di condotte riconducibili al paradigma normativo, di cui agli artt. 270 bis, co. 1 e 2, c.p., per avere partecipato "all'organizzazione terroristica denominata Stato Islamico (IS) ovvero Daesh, associazione che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo" (capo A), e agli artt. 81, co. 2, 414, co. 4, c.p., 1, d.l. 15.12.1979, n. 625, convertito dalla I. n. 15/80, per avere fatto apologia del delitto di attentato per finalità terroristiche (art. 280, c.p.) di cui all'art. 270 bis, c.p. (capo B). Orbene, in via preliminare, va risolta la questione processuale sollevata con il secondo motivo di ricorso. Il ricorrente ritiene che, ai fini di dimostrare la partecipazione dell'imputato all'organizzazione terroristica di cui si discute, non è possibile valorizzare, come fatto dalla corte di appello, "i contatti operativi" dell'LIi con HI HM e, indirettamente, con l'amico di quest'ultimo, MO BD, nel periodo in cui, come evidenzia la corte territoriale, questi ultimi, "coerenti alla loro manifestazione di piena disponibilità per l'ISIS, fino al martirio, iniziano ad esaminare la possibilità di compiere la loro missione con un attentato terroristico in Italia". Ciò in quanto tali contatti sono stati dimostrati da una serie di conversazioni telefoniche oggetto di captazione, riportate nelle motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado, rese nell'ambito di diverso procedimento penale, prodotte, ai sensi dell'art. 238 bis, c.p.p., dal pubblico ministero. Conversazioni, tuttavia, ad avviso del ricorrente, non utilizzabili in quanto, da un lato, il pubblico ministero non ha prodotto i verbali relativi alle operazioni di trascrizione delle menzionate intercettazioni, eseguite in un procedimento diverso, dall'altro, il difensore dell'imputato non ha partecipato all'assunzione della prova in tale procedimento. Si tratta di una carenza, ad avviso dell'imputato, non risolvibile facendo riferimento al disposto dell'art. 238 bis, c.p.p., alla luce del quale le sentenze divenute irrevocabili possono costituire prova dei soli fatti intesi come eventi storici esterni al processo.Tale censura va ritenuta inammissibile, ai fini della decisione del proposto ricorso. Come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, infatti, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (cfr. Cass., Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Rv. 269218;
Cass., Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, Rv. 270303;
Cass., Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Rv. 279829). Siffatto onere non risulta adempiuto dal ricorrente, a fronte di un articolato percorso motivazionale, in cui, come si vedrà nel prosieguo della motivazione, i contatti dell'LIi con HI HM e e RI IM, non assumono un valore assorbente nel fondare la responsabilità dell'imputato.
5. Ciò posto, va innanzitutto rilevato che l'LIi non contesta la natura terroristica dell'associazione a delinquere denominata Isis, ma esclusivamente il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito e, in particolare, dalla corte territoriale, per giungere alla conclusione della partecipazione a pieno titolo dell'imputato a tale sodalizio criminoso. Si tratta di un profilo di particolare complessità ermeneutica, in quanto, secondo una tecnica di tipizzazione della fattispecie associativa già sperimentata nello stesso codice penale, il Legislatore non ha indicato in cosa consista l'attività di "partecipazione" ovvero il "prendere parte" a un'associazione di natura criminale come quella prevista dall'art. 270 bis, c.p. ("Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico"), lasciando, dunque, all'interprete il non facile compito di riempire di concreto contenuto espressioni che possono apparire indefinite, proprio perché idonee a ricomprendere in sé una serie potenzialmente infinita di condotte.Sarebbe un errore di prospettiva, ad avviso del Collegio, pretendere di pervenire a una nozione astratta di "partecipazione", valevole per ogni tipo di reato associativo. "Partecipare" significa prendere parte o essere parte rispetto a qualcosa di diverso dal soggetto che "partecipa";
ne consegue che il modo con cui si declina la "partecipazione" non può non essere determinato dalle caratteristiche proprie della entità alla quale si "partecipa". Se è vero, pertanto, che, alla luce di un'ovvia esigenza di coerenza sistematica, non sembra esercizio sterile rinvenire un minimo comune denominatore delle diverse condotte partecipative penalmente rilevanti, è altrettanto vero che ogni condotta di "partecipazione" presenta dei connotati peculiari, in ragione della particolare natura e struttura della associazione a delinquere cui si "partecipa". Ciò vale massimamente nel caso che ci occupa, tenuto conto delle peculiarità dell'organizzazione criminale in esame, che si manifestano, come si dirà in seguito, sia sul piano organizzativo, sia su quello culturale, trattandosi di un'organizzazione le cui attività terroristiche sono finalizzate alla realizzazione di un disegno di eversione dell'ordine internazionale e di singoli Stati, sostenuto da una "teologia politica", in cui gioca un ruolo determinante la condivisione, da parte dei singoli aderenti, della religione islamica, nella sanguinaria interpretazione fornitane dall'Isis, quale fondamento del jihad ("guerra santa"), che conduce (e, in parte, ha storicamente condotto in alcune zone della Siria e dell'Iraq) alla nascita di un nuovo califfato ovvero di una nuova entità statuale, nota come "Stato islamico".
5.1. Così delimitato il perimetro della questione di diritto sottoposta all'attenzione del Collegio, appare opportuno svolgere lo sguardo, sia pure sinteticamente, alla elaborazione maturata in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimità nel corso degli anni. Punto di partenza dell'excursus proposto, si individua in un orientamento affermatosi in passato, secondo cui in relazione al delitto di associazione con finalità di terrorismo, che è reato di pericolo presunto, per la configurabilità della responsabilità del partecipe non è sufficiente l'adesione a un'astratta ideologia, per quanto caratterizzata dal progetto di abbattere le istituzioni democratiche, ma è necessaria l'effettiva pratica della violenza come metodo di lotta politica e la predisposizione di un programma di azioni terroristiche, da intendersi come proposito concreto ed attuale di atti di violenza (cfr. Cass., Sez. 1, n. 30824 del 15/06/2006, Rv. 234182). Non è sufficiente, dunque, per tale orientamento, successivamente ripreso, la sola adesione ideale al programma criminale o la comunanza di pensiero e di aspirazioni con gli associati, occorrendo invece l'effettivo inserimento nella struttura organizzata, con lo svolgimento di attività preparatorie per l'esecuzione del programma e l'assunzione