Cass. civ., sez. III, sentenza 16/06/2003, n. 9616

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In tema di sottoscrizione delle sentenze civili, in caso di collocamento in pensione, dimissioni, o comunque in tutte le ipotesi ( diverse dal trasferimento ad altra sede o ad altro incarico ) in cui il magistrato abbia cessato di fare parte dell'ordine giudiziario, la sottoscrizione della sentenza da parte del medesimo - pur non sussistendo un impedimento assoluto alla sua materiale apposizione - non è coercibile, e ben può essere rifiutata senza che egli ne debba rispondere penalmente o disciplinarmente. Alla norma di cui all'art. 132, ultimo comma, cod. proc. civ. ( secondo cui, se il giudice non può sottoscrivere la sentenza "per morte o altro impedimento", questa è sottoscritta dal componente più anziano del collegio ) non può infatti riconoscersi natura eccezionale, risultando pertanto senz'altro consentita l'applicazione analogica ed estensiva dell'ipotesi di "altro impedimento" ivi contemplata , la quale deve considerarsi integrata ( anche ) dal collocamento a riposo del magistrato. Ne consegue che, ove il presidente del collegio che ha emesso la sentenza venga successivamente a cessare dal servizio e rifiuti per qualsiasi motivo di porre in essere gli adempimenti di competenza in ragione delle funzioni già esercitate ( verifica della conformità dell'originale della sentenza alla minuta e della rispondenza dei principi indicati nella motivazione della sentenza a quelli affermati nel corso della camera di consiglio; sottoscrizione della sentenza ), non è nulla la sentenza sottoscritta dal giudice componente anziano del collegio giudicante ( con l'annotazione di avere sottoscritto in vece del presidente "impedito", senza che sia peraltro necessario indicare - neppure sommariamente - la causa dell'impedimento, sufficiente essendo che egli ne attesti l'esistenza, con una statuizione non censurabile nei successivi gradi di giudizio, non risultando al riguardo prevista alcuna possibilità di impugnazione ), che a tale stregua ne esplichi le relative incombenze, giacché risultano a tale stregua osservati ( oltre alla funzione di presidenza del collegio ) i principi di ( estrema ) semplificazione degli atti processuali e di eccezionalità delle ipotesi di nullità ed inesistenza posti dalla legge n. 532 del 1977 ( la quale ha introdotto la regola secondo cui la sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta solo dal presidente e dal giudice estensore ).

In materia di procedimento civile, la facoltà attribuita al giudice dall'art. 2723 cod. civ. di ammettere la prova per testimoni di un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali attiene all'esercizio di un potere discrezionale che sfugge al sindacato del giudice di legittimità.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 16/06/2003, n. 9616
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9616
Data del deposito : 16 giugno 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente -
Dott. L A - rel. Consigliere -
Dott. L P M - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. C D - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L G, elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere della Vittoria n. 9, presso l'avv. Gian Pietro Dall'Ara, che lo difende giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
B C, D L;



- intimati -


avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna, n. 521/99 del 12 gennaio 1999, deliberata il 9 aprile 1999 e pubblicata il 28 maggio 1999 (R.G. 1355/97;
2003 15/98). udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 marzo 2003 dal Relatore Cons. Dott. A L, sostituito, dopo la discussione della causa dal Cons. Dott. M F;

Udito l'avv. G.P. Dall'Ara, per il ricorrente;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. S C, che ha concluso chiedendo la declaratoria di nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 161, comma 2, c.p.c. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto 14 luglio 1995 B C e D L convenivano in giudizio, innanzi al tribunale di Ferrara L G e F G, chiedendone la condanna al pagamento delle somma di lire 55 milioni.
Esponevano gli attori che essi istanti, soci della LABO s.n.c. unitamente a L G e a

LAZZARI

Lina, il 17 ottobre 1983 avevano ceduto a questi ultimi le loro quote con il contestuale impegno, assunto dal LATTA, amministratore della società e dal FERRI, preposto della stessa, di assumersi ogni responsabilità per qualsiasi debito della società e obbligo di tenere indenne il B delle pretese della Banca di Trento e Bolzano per una garanzia dallo stesso prestata per un debito della LABO s.n.c. Cedute anche dal LATTA e dalla LAZZARI le loro quote sociali e revocati gli affidamenti - proseguivano gli attori - la banca aveva chiesto e ottenuto, dal presidente del tribunale di Trento, un decreto ingiuntivo nei confronti del LATTA, della LAZZARI, del B e della D, quali fideiussori della LABO s.n.c, per la somma di lire 13.682.802 e promosso azione esecutiva immobiliare anche nei confronti di esso B e della D. Successivamente, evidenziavano ancora gli attori, dichiarato il fallimento della LABO nonché dei soci e revocato quello del B, l'azione immobiliare era stata proseguita nei confronti di esso B e della D e, quindi, dichiarata estinta a seguito del pagamento, da parte di essi concludenti della somma di lire 55 milioni, somma che, pertanto, in forza dell'accordo n ottobre 1983 il LATTA e il FERRI erano tenuti a rimborsare a essi attori.
Costituitosi in giudizio, ancorché tardivamente, esclusivamente il LATTA, il quale resisteva alla avversa pretesa eccependo che dopo la cessione delle quote i cessionari avevano riconosciuto come proprio il debito dei coniugi LATTA - B nei confronti e della Banca di Trento e Bolzano.
Svoltasi, in contumacia del FERRI, l'istruttoria del caso, l'adito tribunale, con sentenza 4 aprile 1997 accoglieva la domanda attrice. Gravata tale pronunzia sia da L G sia da F G, la corte di appello di Bologna con sentenza 9 aprile - 28 maggio 1999 da un lato ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione alla impugnazione proposta da F G (che aveva dichiarato di rinunciare agli atti del giudizio, rinunzia accettata dagli appellati B e D), dall'altro rigettava l'appello proposto da L G, con condanna di quest'ultimo al pagamento delle spese di quel grado di giudizio.
Per la cassazione di tale ultima pronunzia ha proposto ricorso, affidato a due motivi L G.
Non hanno svolto attività difensiva, in questa sede, gli intimati. MOTIVI DELLA DECISIONE


1. La sentenza in questa sede gravata reca, oltre alla sottoscrizione del consigliere relatore, la sottoscrizione del consigliere anziano con la seguente annotazione "ai sensi del secondo comma dell'art. 132 c.p.c. la presente sentenza viene sottoscritta dal consigliere più anziano ... per impedimento del Presidente del Collegio ... collocato a riposo dal 20 aprile 1999 successivamente alla data della deliberazione della sentenza in camera di consiglio, avvenuta il 9 aprile 1999 e anteriormente alla pubblicazione della stessa, in data 28 maggio 1999".

2. Preso atto di guanto sopra il procuratore generale ha rassegnato le proprie conclusioni chiedendo sia dichiarata la nullità della sentenza impugnata a norma dell'art. 161, comma 2, c.p.c.

3. Ritiene, in termini opposti, la Corte, che la dedotta nullità della sentenza impugnata non sussiste.
Ciò alla luce delle considerazioni che seguono.
Come noto, il momento della pronuncia della sentenza - momento nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all'ufficio per potere adottare un provvedimento giuridicamente esistente - va identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre le successive fasi dell'iter formativo dell'atto, e cioè la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la conseguente pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia. Deriva, da quanto precede, pertanto, che ai fini dell'esistenza, validità ed efficacia della sentenza è irrilevante che, dopo la decisione, il giudice singolo, o uno dei componenti di un organo collegiale, per circostanze sopravvenute, come il trasferimento, il collocamento fuori ruolo o a riposo, o la mancata riconferma nell'incarico di giudice onorario, sia cessato dalle funzioni presso l'ufficio investito della controversia. (In questo senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass., 8 ottobre 2001, n. 12324). Pacifico quanto precede si osserva che in applicazione del principio sopra riferito, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che non è causa di nullità della sentenza la circostanza che questa sia sottoscritta da un magistrato non più facente parte dell'ufficio che l'ha emessa, perché trasferito a altra sede, o perché collocato a riposo (tra le tantissime, Cass., sez. un., 7 dicembre 1999, n. 857;
Cass., 18 agosto 1999, n. 8710;
Cass., 10 aprile 1991, n. 3775;
Cass., sez. un., 18 aprile 1988, n. 3044;
Cass., 16 ottobre 1979, n. 5392). Con riguardo, peraltro, all'eventualità - come nella specie - in cui, per essere cessato dal servizio (per limiti di età o per altra causa, diversa dalla morte) il presidente del collegio o il giudice estensore, la sentenza non sia stata sottoscritta dal presidente o dall'estensore, occorre distinguere due eventualità. In particolare, ove la sentenza (in presenza del riferito impedimento del presidente o, per ventura, del giudice estensore rechi esclusivamente la sottoscrizione, rispettivamente del relatore- estensore o del presidente, senza che risulti menzionato l'impedimento del giudice che non ha sottoscritto l'atto (a norma dell'art. 132, ultimo comma, c.p.c.) non si dubita, a quel che risulti, che sussista la nullità radicale ed insanabile della decisione, rilevabile, anche di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (in questo senso, ad esempio, Cass., 5 ottobre 1999, n. 11051. Sempre al riguardo, nel senso che la menzione dell'impedimento dell'estensore deve necessariamente precedere la sottoscrizione del presidente essendo compito a lui riservato quello di controllarne e certificarne l'esistenza, per cui non è sufficiente, al riguardo, la mera annotazione dell'impedimento operata dal cancelliere, Cass., 18 settembre 1991, n. 9723). Diversamente, qualora la sentenza in presenza di uno degli impedimenti di cui sopra sia stata sottoscritta, oltre che dal giudice relatore o dal presidente del collegio, nel caso l'impedimento abbia investito il relatore dal componente più anziano del collegio stesso con la menzione dell'impedimento, questa Corte non ha assunto, nel tempo, un indirizzo univoco.

3.1. In alcune occasioni, sia risalenti nel tempo (in particolare, Cass., 19 luglio 1957, n. 3029) sia, recentemente (Cass., 29 ottobre 2002, n. 15249), infatti, si è affermato che la mancata sottoscrizione della sentenza da parte di un magistrato collocato a riposo successivamente alla deliberazione costituisce motivo di nullità della pronuncia ai sensi dell'art. 161 c.p.c. (ancorché sia presente, la sottoscrizione del magistrato più anziano). A fondamento della ritenuta nullità, della sentenza sottoscritta dal relatore e dal consigliere più anziano per impedimento del presidente del collegio, collocato a riposo, si è osservato, da parte di Cass., 29 ottobre 2002, n. 15249 che:
- la potestas iudicandi non si esaurisce nel deliberare la decisione, ma si estrinseca nel porre in essere tutti gli atti successivi dell'iter formativo della medesima e del documento nel quale essa è destinata a incorporarsi e, quindi, fondamentalmente, nella sottoscrizione, la quale rappresenta un requisito essenziale e inderogabile ai fini della giuridica esistenza della pronunzia stessa, la cui mancanza determina, pertanto, una nullità assoluta e insanabile, rilevabile anche d'ufficio;

- al dovere di assumersi, con la sottoscrizione la definitiva paternità della decisione da lui deliberata, il giudice non può sottrarsi se non "per morte o per altro impedimento", sebbene il giudice collocato a riposo cessi di appartenere allo stesso ordine giudiziario, "i doveri dello status rimangono inalterati, per una naturale ultrattività, in relazione alle decisioni da lui collegialmente deliberate prima di quel momento";

- data la natura eccezionale della norma che lo prevede l'impedimento contemplato dall'art. 132, ultimo comma c.p.c. ("morte o altro impedimento") deve tuttavia interpretarsi in senso restrittivo e cioè come una materiale impossibilità, anche se temporanea, che alla sottoscrizione ponga un ostacolo insuperabile, ossia un impedimento di carattere assoluto che tolga al giudice la possibilità di adempiere al suo diritto dovere, quale quello determinato da uno stato fisico o psichico o da una situazione irreparabile, ovvero da una prolungata assenza dal territorio dello Stato.


3.2. In altre occasioni, peraltro, la conclusione raggiunta da questa Corte, è stata diversa, ritenendosi, in particolare, che la ratio del combinato disposto degli art. 132 comma 3 e 161 comma 2 c.p.c. consiste nell'esigenza di sicura identificazione della
sentenza pubblicata come decisione riferibile al collegio che l'ha, con quella motivazione, deliberata.
Si è ritenuto, pertanto, che l'erroneo apprezzamento dell'impedimento dell'estensore, compiuto dal presidente del collegio, non comporta la sanzione dell'inesistenza della sentenza che, per quella ragione, sia stata sottoscritta dal solo presidente (Cass., 14 maggio 1999, n. 4771, resa con riguardo a una fattispecie in cui l'estensore era stato trasferito ad altro ufficio in epoca successiva al deposito della minuta, nonché Cass., 4 febbraio 1997, n. 1028, e, ancora, Cass., 17 aprile 1993, n. 4559, tra le altre). Si è osservato, in particolare, al riguardo:
- nella ipotesi, in cui il presidente del collegio sottoscriva egli solo la sentenza nel testo redatto dal diverso giudice relatore o da lui designato, menzionando un impedimento dello stesso giudice (attinente a una vicenda del relativo rapporto di servizio) che non possa obbiettivamente considerarsi impeditivo della sua sottoscrizione, non sussiste quella mancanza della sottoscrizione della sentenza che impedisce la sicura riferibilità della pronuncia, così come documentata nel testo pubblicato, all'organo collegiale che l'ha deliberata, atteso che con la propria sottoscrizione il presidente attesta, infatti, che la redazione della sentenza è avvenuta nel rispetto dell'art. 119, primo comma, disp. att. c.p.c, che egli, dunque, ha verificato la corrispondenza del testo redatto dal giudice prescelto come estensore alla pronuncia deliberata collegialmente e la conformità alla minuta (che il presidente ha sottoscritto "insieme all'estensore" e ha consegnato al cancelliere) dell'originale, da lui solo, infine, sottoscritto per il menzionato impedimento dell'estensore e in tale forma pubblicato (Cass., 14 maggio 1999, n. 4771, cit.);

- la omessa sottoscrizione del giudice estensore per l'impedimento, benché erroneamente, ritenuto dal presidente del collegio non può, dunque, lasciare margine alcuno di incertezza così sulla provenienza della sentenza dal collegio cui la causa era stata rimessa per la decisione (art. 275 c.p.c.) e secondo la composizione indicata nella intestazione del documento, come sulla corrispondenza di essa alla decisione deliberata in camera di consiglio (art. 276 c.p.c.):
sicché, la incompleta sottoscrizione, benché non riferibile a un impedimento fisico (assoluto) dell'estensore, non può rientrare nella previsione del secondo comma dell'art. 161 c.p.c. in ordine alla "mancanza" della sottoscrizione che esige, come ipotesi di non sentenza, la sanzione della nullità assoluta - inesistenza (Cass., 14 maggio 1999, n. 4771, cit.);

- se nella esigenza di sicura identificazione della sentenza pubblicata come la decisione riferibile al collegio che l'ha, con quella motivazione, deliberata, consiste la ratio del combinato disposto degli artt. 132, comma 3, e 161, comma 2, c.p.c. (anche in relazione agli artt. 118 e 119 disp. att.), si deve non solo negare che l'erroneo apprezzamento dell'impedimento dell'estensore compiuto dal presidente del collegio valga a comportare la sanzione della inesistenza della sentenza (per quella ragione) sottoscritta dal solo presidente, come radicalmente inidonea a conseguire la efficacia del giudicato, ma anzi riconoscere che un simile errore è irrilevante e alla pronuncia della nullità da esso - in ipotesi - derivante si oppone in ogni caso il principio di conservazione di cui all'art. 156, comma 3, c.p.c. (Cass., 14 maggio 1999, n. 4771, cit.);

- non ricorre alcun motivo di invalidità allorquando il presidente non possa sottoscrivere per morte o impedimento e la sentenza venga sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione venga menzionato l'impedimento (art. 132, comma 3, c.p.c.). In una tale evenienza al fine di sostenere la nullità
della sentenza non può addursi che non è stata specificata la natura dell'impedimento, e che ciò impedisce di valutarne la durata e di stabilire se detto impedimento assume carattere di gravita, traducendosi in una ipotesi di impossibilità assoluta a sottoscrivere così da legittimare la sola firma del giudice anziano (Cass., 4 febbraio 1997, n. 1028, cit. );

- un tale assunto trascura il dettato normativo, dal quale si ricava che spetta al giudice anziano il solo obbligo di fare menzione dell'impedimento, dopo averne - come è logico - valutato la natura e l'entità. Il volere devolvere, quindi, al giudice di impugnazione il potere di un sindacato sulla funzione certificatrice del giudice anziano, oltre a trascurare la lettera della legge ne dimentica anche la ratio, in quanto la norma in esame è stata modificata dall'art. 6 della legge 8 agosto 1977 n. 532 proprio al fine di abbreviare i tempi necessari alla pubblicazione della decisione e per mitigare contestualmente la severità del principio della nullità insanabile della sentenza per mancata sottoscrizione (Cass., 4 febbraio 1997, n. 1028, cit.).

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