Cass. civ., SS.UU., sentenza 17/07/2003, n. 11190

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È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 379 cod. proc. civ., là dove, in merito all'ordine di intervento nella discussione nell'udienza del giudizio di cassazione avverso la decisione pronunciata dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, prevede il potere del procuratore generale di esporre oralmente le sue conclusioni motivate dopo che l'avvocato dell'incolpato ha svolto le proprie difese, e ciò in quanto la norma in oggetto non preclude, nel quadro della generale disciplina del ricorso per cassazione, il pieno dispiegarsi del diritto di difesa nel contraddittorio di tutte le parti (cfr. Corte cost., sent. n. 403 del 1999).

Posto che l'essenza del coordinamento in generale, e in particolare di quello concernente indagini in materia di associazione di stampo mafioso, è costituita dalla diffusione, tra i vari uffici interessati alle indagini collegate, delle conoscenze acquisite da ciascun ufficio, e che la diffusione circolare delle conoscenze e delle iniziative è assicurata dallo scambio di informazioni e notizie, tale attività deve ritenersi doverosa e, conseguentemente, al suo espletamento i magistrati coinvolti nel coordinamento devono ritenersi vincolati. Ne discende che, qualora un coordinamento investigativo, in relazione ad indagini tra loro collegate, sia stato effettivamente instaurato, sorge, nei confronti dei procuratori che a tale coordinata attività partecipano, il dovere di cooperare con lealtà ed efficacia al reciproco scambio di atti, informazioni e notizie circa le indagini svolte e da svolgere e le iniziative che intendono adottare, e la violazione del detto dovere di cooperare in funzione del coordinamento costituisce violazione di norma processuale, suscettiva di integrare l'elemento oggettivo dell'illecito disciplinare costituito dalla "mancanza ai doveri", ai sensi dell'art. 18 del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511.

In tema di responsabilità disciplinare, la perdita della fiducia e della considerazione della quale il magistrato deve godere non è necessario che si verifichi nei confronti dell'ambiente esterno, ma ben può determinarsi nell'ambito degli appartenenti all'ordine giudiziario, qualora sia coinvolto un significativo numero di uffici. (Principio espresso in fattispecie di interruzione, da parte di un pubblico ministero, della cooperazione in vista del coordinamento investigativo tra procuratori).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 17/07/2003, n. 11190
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11190
Data del deposito : 17 luglio 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. A G - Primo Presidente f.f. -
Dott. P V - Consigliere -
Dott. A E - Consigliere -
Dott. R P - rel. Consigliere -
Dott. L F D N - Consigliere -
Dott. M G L - Consigliere -
Dott. F R - Consigliere -
Dott. S E - Consigliere -
Dott. G M B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME1, elettivamente domiciliato in LOCALITA1, presso lo studio dell'avvocato NOME2, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA;



- intimati -


avverso la sentenza n. 27/02 del Consiglio superiore magistratura, depositata il 14/05/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/03 dal Consigliere Dott. R P;

udito l'Avvocato NOME2;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. V M che ha concluso per il rigetto del primo motivo e accoglimento del secondo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di dichiarazioni con le quali il Procuratore della Repubblica di LOCALITA2 ed altri magistrati della stessa procura e della DNA, nella seduta del 9.2.2000 della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia, avevano segnato anomalie nel funzionamento degli uffici della Procura generale della Repubblica della Corte d'appello di LOCALITA2, il Ministro della giustizia disponeva accertamenti ispettivi.
La relazione redatta all'esito riferiva:
- che il procedimento penale noto come NOME3, che vedeva sottoposte ad indagini 257 persone, e tra queste gli imprenditori NOME4, NOME5 ed NOME6, il 25.7.1994 era stato trasmesso per
competenza territoriale dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di LOCALITA3 (alla quale erano pervenuti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di LOCALITA4) alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di LOCALITA2, ed in data 4.10.1996, previa separazione da altro, più vasto, cui era stato nelle more riunito, inviato per competenza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di LOCALITA5;

- che 1'11.5.1998, stante l'inerzia degli inquirenti, il procedimento era stato avocato dalla Procura generale presso la Corte d'appello di LOCALITA2, ed assegnato dal Procuratore generale Dott. NOME7 al sostituto procuratore generale Dott. NOME1 e al Dott. NOME8, applicato presso la detta
Procura Generale;

- che la Procura generale di LOCALITA2 aveva iscritto i nomi di 250 persone nel registro di quelle sottoposte ad indagini ai sensi dell'art. 416-bis c.p. ed iniziato a svolgere altre indagini con riferimento alì ipotesi delittuosa di cui all'art. 416 c.p.;

- che il 9.12.1998 si era tenuta presso la sede romana della Procura Nazionale Antimafia una riunione di coordinamento investigativo, alla quale avevano partecipato il Procuratore Nazionale Antimafia, il Dott. NOME1, il Dott. NOME8 ed i rappresentanti delle Procure di LOCALITA6, LOCALITA2 e LOCALITA3 interessate alle indagini nei confronti dei fratelli NOME4, nel corso della quale il Dott. NOME1 si era mostrato convinto della sussistenza di elementi di colpevolezza a carico dei predetti in relazione all'ipotesi delittuosa di cui all'art. 416-bis c.p.;

- che la riunione si era conclusa con l'accordo di continuare le indagini e di scambiarsi informazioni;

- che la DDA di LOCALITA2, sei giorni dopo, aveva sollecitato tali informazioni alla Procura generale di LOCALITA2, senza ottenerle;

- che il 10.1.1999, alcuni giorni dopo che il Dott. NOME8, in prossimità della scadenza della sua applicazione, aveva redatto una bozza di provvedimento che prevedeva la trasmissione per competenza degli atti alla DDA di LOCALITA2, limitatamente all'ipotesi delittuosa di cui all'art. 416 c.p., ed il trattenimento di quelli relativi al procedimento oggetto di avocazione concernenti l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 416-bis c.p., il Dott. NOME7 ed il Dott. NOME1 avevano chiesto al Gip l'archiviazione degli atti limitatamente all'ipotesi di associazione mafiosa;

- che il 7.6.1999, il Gip di LOCALITA2 aveva enunciato nuovi temi di indagine, da espletarsi entro il semestre successivo, circa la configurabilità del reato associativo;

- che tali indagini non erano state espletate dopo nove mesi, allorché la relazione ispettiva era stata redatta.
Il Ministro della giustizia in data 9.2.2000 promuoveva azione disciplinare nei confronti del Dott. NOME1.
Espletata l'istruttoria sommaria, nel corso della quale il Dott. NOME1 respingeva gli addebiti, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione disponeva il rinvio a giudizio dell'incolpato. Le contestazioni, in punto di violazione dei doveri di correttezza e diligenza, avevano ad oggetto:
a) l'omesso coordinamento con i magistrati di altre procure e con quelli della DNA relativamente al procedimento penale, noto come NOME3 (a carico, tra gli altri, degli imprenditori NOME4, NOME5 ed NOME6, sottoposti ad indagini per associazione a
delinquere di stampo mafioso ed altro, procedimento che lo stesso incolpato aveva avocato al proprio ufficio a causa della dichiarata inerzia della procura originariamente procedente), che lo aveva portato a richiedere al Gip l'archiviazione degli atti;

b) l'omessa proposizione delle conclusioni nel medesimo procedimento, già da lui avocato da circa 22 mesi, anche dopo la scadenza dell'ulteriore termine per le indagini stabilito ai sensi dell'art. 409 c.p.c. dal Gip;

c) l'omesso compimento delle indagini stesse, disposte dal Gip. La Sezione disciplinare del CSM, con decisione del 14.5.2002, dichiarava il Dott. NOME1 responsabile dell'incolpazione ascrittagli al capo a) e gli infliggeva la sanzione
dell'ammonimento;
assolveva l'incolpato dagli altri addebiti perché il fatto non costituisce illecito disciplinare. Considerava:
- che emergeva dal verbale redatto il 9.12.1998 che la riunione di coordinamento investigativo tra i rappresentanti dei vari uffici titolari di indagini afferenti alle persone (i fratelli NOME4) o alla materia confluita nel procedimento NOME3, della cui trattazione l'incolpato era dal maggio dello stesso anno assegnatario a seguito di avocazione per inerzia dei precedenti titolari, aveva portato alla conclusione che occorreva mirare al coordinamento delle indagini ed allo scambio di informazioni per il conseguimento di efficaci risultati investigativi;

- che in coerenza ed a rafforzamento dell'intesa si poneva la richiesta di informazioni sollecitata subito dopo l'incontro dalla DDA di LOCALITA2 all'incolpato;

- che quest'ultimo non solo aveva eluso la collaborazione legittimamente richiestagli, così ponendo le premesse per indebolire le probabilità di successo di indagini incrociate, ma aveva addirittura provveduto, subito dopo la cessazione dell'applicazione presso il suo ufficio dell'altro magistrato incaricato delle indagini, a richiedere al Gip l'archiviazione del procedimento, omettendo qualunque informazione agli altri uffici interessati;

- che il comportamento dell'incolpato era stato perfettamente antitetico dal punto di vista formale rispetto a quanto era stato concordato e dal punto di vista sostanziale addirittura antagonista dell'intesa raggiunta, che si fondava sullo scambio informativo anche in ordine alla evoluzione delle indagini che furono invece bruscamente ed inaspettatamente chiuse dall'incolpato;

- che, così operando, l'incolpato aveva posto in essere una condotta in violazione del dovere di lealtà, costituente la necessaria manifestazione di quello di coordinamento, che traeva origine da una intesa raggiunta in base ad una espressa previsione di legge;

- che l'incolpato doveva essere assolto dalle restanti accuse, considerato che, sia pur in tempi dilatati, aveva condotto una non trascurabile attività istruttoria, e tenuto conto, altresì, sia della straordinaria farraginosità dell'inchiesta, difficilmente governabile, che si andava ad aggiungere ad altre, delicate e complesse, che aveva in carico, ed a servizi non meno impegnativi, quale quello della esecuzione penale, svolti in grave carenza di organico, sia delle precarie condizioni di salute.
Avverso la sentenza il Dott. NOME1 ha proposto ricorso per cassazione, affidandone l'accoglimento a due motivi, illustrati con memoria.
L'intimato Ministero della giustizia non ha svolto difese. MOTIVI DELLA DECISIONE

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