Cass. civ., sez. III, sentenza 04/02/2020, n. 02466

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 04/02/2020, n. 02466
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 02466
Data del deposito : 4 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso 29276-2016 proposto da: MARINO GIANLUCA, MARINO VITTORIO, domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato N L;

- ricorrenti -

contro 1638 PARZIALE PAOLO, PARZIALE CATERINA, ALTIERI ELENA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LIBERIANA, 17, presso lo studio dell'avvocato F V, che li rappresenta e difende;

- controricorrenti -

nonchè

contro

COOPERATIVA EDILIZIA FIAMME ORO ;
- intimata - avverso la sentenza n. 694/2016 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 13/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/09/2019 dal Consigliere Dott. A P;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A C che ha concluso per il rigetto;
udito l'Avvocato LOCONTE NICOLA;
udito l'Avvocato VERILE FABIO;

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2002, P P, C P ed E A, convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani, G M, V M e la Cooperitiva Edilizia Fiamme Oro a r.l. per sentirli condannare, per quel che qui ancora rileva, alla restituzione della somma di Euro 15.493,71 (Lire 30.000.000) indebitamente percepita. Esposero gli attori che P P ed E A, genitori di C P, fidanzata nel 1997 con G M, avevano effettuato versamenti per la somma di Lire 30.000.000 nelle mani del futuro suocero V M, all'epoca socio unico della cooperativa, avente ad oggetto la costruzione di immobili per civile abitazione da destinare ai soci;
che tale pagamento era stato effettuato in ragione della destinazione del costruendo immobile a casa coniugale dei nubendi G e Caterina;
che, medio tempore C P era subentrata nella cooperativa edilizia al futuro marito, già socio, versando complessivamente Lire 23.776.945;
che, celebrato nel 2000, il matrimonio tra la P e il M era cessato nel 2001;
che, nel 2002, la cooperativa aveva chiesto alla P il versamento di Lire 35.173.055, così come previsto dallo statuto, nonostante la quota d'ingresso fosse da considerarsi interamente versata, poiché la restante somma era già stata pagata in precedenza dei suoi genitori;
che, al rifiuto della P di pagare l'importo richiesto, la cooperativa aveva dichiarato la nullità del recesso di G M, in ragione del mancato subentro della di lui moglie. Costituitisi in giudizio, i convenuti eccepirono l'infondatezza della domanda, in quanto il versamento da parte degli attori, per espressa ammissione di questi ultimi, configurava una donazione obnuziale. Con un nuovo atto di citazione notificato nel 2004 i medesimi attori convennero nuovamente in giudizio i convenuti dinanzi al Tribunale di Trani per ivi sentir accertare l'avvenuta donazione della somma di Euro 30.445,13 da parte di G M in favore della nubenda C P, attuata attraverso il subentro della stessa nella quota della cooperativa;
accertarsi l'avvenuta estromissione da parte della cooperativa di C P con il reintegro di G M, condannare quest'ultimo alla restituzione della somma di Euro 30.445,13 indebitamente percepita;
in via subordinata, condannare i M in solido al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 15.493,71 indebitamente percepita. Riuniti i giudizi, il Tribunale adito, con sentenza n. 952/2011, rigettò le domande attoree. In particolare, quanto alla domanda di accertamento dell'avvenuta donazione, da parte di G M in favore di C P della somma di Euro 30.445,13, il Tribunale osservò che la donazione obnuziale, essendo un negozio formale tipico, caratterizzato dall'espressa menzione nell'atto pubblico delle finalità dell'attribuzione patrimoniale, è incompatibile con l'istituto della donazione indiretta, in cui lo spirito di liberalità viene perseguito mediante il compimento di atti diversi da quelli previsti dall'articolo 769 c.c. Il Tribunale ritenne invece che i versamenti per complessivi Lire 30 milioni effettuati da P P e E A ai M, in favore del futuro genero ed in vista del futuro matrimonio costituissero valida donazione obnuziale, pure in mancanza di un negozio formale.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte di Appello di Bari, con la sentenza n. 5694/2016, depositata il 13 luglio 2016. In particolare, la Corte d'appello dopo aver confermato che i versamenti effettuati dai coniugi P/Altieri in favore dei M fossero da qualificare quale donazione obnuziale, ha tuttavia ritenuto che anche tale donazione fosse nulla per mancanza della forma prescritta, accogliendo di conseguenza la richiesta restitutoria formulata dagli appellanti.Il giudice di secondo grado ha poi ritenuto infondata l'eccezione con cui i M contestavano l'appartenenza delle somme versate ai P, evidenziando come la prova di tale appartenenza emergesse dalla produzione documentale relativa ai singoli pagamenti e che comunque era rafforzata dalla mancata contestazione, da parte dei convenuti, dell'ammontare complessivo dei versamenti per un totale di Lire 30 milioni.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, G e V M.

3.1. P P, E A e C P resistono con controricorso. Hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all'art.360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità del procedimento per violazione dell'art. 112 c.p.c. La sentenza impugnata sarebbe viziata perché, con essa, la Corte d'appello ha accolto la domanda di ripetizione di indebito oggettivo proposta dagli attori con l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado", condannando però i M alla restituzione della somma pagata indebitamente solo in favore di P P e E A, e non anche di C P, nonostante pure quest'ultima avesse formulato la predetta domanda in primo grado. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse. Si rileva, innanzitutto, che poiché la soccombenza determinata dalla ipotetica omessa pronuncia era riferibile solo a C P, esclusivamente essa avrebbe potuto lamentarsene. Né i ricorrenti indicano un qualche loro interesse ad ottenere il riconoscimento del loro obbligo di pagamento in restituzione di indebito nei confronti di tutti coloro nei cui confronti sarebbero stati coobbligati.Infatti in materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell'attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l'eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa, concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l'annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorché nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata" (Cass. civ. Sez. III, 25 gennaio 2012, n. 1029;
Cass. 7 febbraio 2011, n. 3024;
Cass. 23 febbraio 2010 n. 4340). Nella specie, i ricorrenti non hanno dedotto l'interesse che sarebbe stato in concreto leso, né quale pronuncia per loro più favorevole potrebbero ottenere nell'eventuale giudizio di rinvio. Tanto si osserva non senza doversi rilevare che la sentenza impugnata riferisce l'obbligo restitutorio ad un pagamento fatto soltanto da p P ed E ;Utieri.

4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all'art.360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità del procedimento per violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. Sarebbe stata del tutto inammissibile, perché nuova, la domanda formulata dalle controparti con l'atto di citazione introduttivo del giudizio di secondo grado, con la quale si chiedeva in via principale di dichiararsi "l'inapplicabilità dell'art. 785 c.c. ai pagamenti effettuati" dai signori P (P) e A e, "dichiaratane la nullità" di condannare i M "alla restituzione della somma di Euro 15.493,71".Con il primo atto di citazione in primo grado, infatti, gli attori avevano fondato la loro domanda di pagamento della suddetta somma sul presupposto che la stessa fosse stata indebitamente percepita. Allo stesso modo, con il secondo atto di citazione del 2004, gli attori
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